RAUL LAVIE', VOCE DI BUENOS AIRES




“La voce di Buenos Aires”: questa è la metaforica medaglia che Raul Laviè può orgogliosamente appuntare sul petto, perché a conferirgliela è stato Astor Piazzolla, uno dei principali musicisti del ‘900 che non è mai brillato per generosità nel distribuire encomi agli artisti connazionali. E basterebbe questa onorificenza luccicante a dare significato ad una carriera iniziata in età adolescenziale nella sua Rosario quando ancora il suo cognome Peralta non era stato sostituito con Laviè, secondo una prassi comune a molti cantanti di tango quell’epoca d’oro che stava fatalmente tramontando proprio in quegli anni. Con questa nuova identità artistica creata nel 1955 dall’intuito commerciale del direttore artistico di Radio el Mundo, Antonio Carrizo, il giovanissimo interprete muoveva i primi passi radiofonici dagli studi di questa prestigiosa emittente di Buenos Aires acquisendo immediatamente la popolarità che anno dopo anno si è moltiplicata in varie forme. La principale era dipesa dalla televisione, soprattutto per via della fortunatissima trasmissione El Club del Clan, in onda dalla fine del 1962 con un taglio che convertiva Laviè ad un repertorio estraneo al tango e più conforme ai gusti dei giovani dell’epoca. 


A questo si sono aggiunti i successi riportati calcando i palcoscenici del teatro musicale con una trentina di  partecipazioni tra le quali De Borges a Piazzolla, con il celebre ballerino Juan Carlos Copes. Inoltre le proposte arrivavano anche dalla prolifica cinematografia argentina in cui Laviè compare con una ventina di ruoli, alcuni diretti da illustri  maestri della regia quali Leopoldo Torre Nilsson o Lucas Demare. E a proposito di questa versatilità, sul retro della medaglia in cui risplende il commento lapidario di Piazzolla, c’è un tributo altrettanto prestigioso che definisce con precisione e in pochissime parole la traiettoria artistica di Raul Laviè: «È un cantante eccellente, con l'anima di un grande attore». A rilasciare perfetta sintesi del personaggio è niente di meno che il poeta Horacio Ferrer che ha reinventato insieme ad Astor Piazzolla il tango cancion, scrivendo testi all’altezza della trasformazione radicale che il musicista stava creando rispetto al tango tradizionale. Tra le varie circostanze in cui Raul Laviè ha stretto un sodalizio con Piazzolla e con il suo repertorio vocale, la turnee del 1982 negli Stati Uniti e in Giappone, l’operata Maria de Buenos Aires presentata a New York nel 1999 sotto la guida di Gidon Kremer e il recentissimo omaggio per il centenario della nascita di Astor nel 2021 intitiolato Piazzolla immortal. 


La sua relazione sentimentale con il tango classico che sembrava essersi appannata dopo le prime incisioni del 1957 con l’orchestra di Hector Varela, quelle con Hector Stamponi del 1960 o con Angel D’Agostino del 1963 e qualche sporadica collaborazione con Horacio Salgan e Osvaldo Fresedo, riprende luce ed energia per via della partecipazione ad uno spettacolo che due visionari quali Claudio Segovia y Héctor Orezolli hanno intitolato Tango Argentino. Uno show a cui oggi diamo il valore di pietra miliare dalla quale è partito l’interesse per il tango, questa volta su scala mondiale e con effetti che si stanno ancora ripercuotendo sul presente e in varie forme. In quello spettacolo che ha debuttato a Parigi nel 1983, “El Negro” Laviè ha ricoperto un ruolo da protagonista fino al 1999, riprendendo una serie di indimenticabili classici del tango che non sono il rifugio per qualche esteta nostalgico, bensì le formule di verità con cui si esprimono i sentimenti più profondi del popolo argentino. 


Laviè affronta l’eredità di questa memoria essenziale a definire l’identità nazionale, con un fraseggio profondamente tanguero in quanto di stirpe gardeliana, sottolineato dai laceranti effetti scaturiti dal portamento delle note, dal teatro vocale inscenato dalla sua gestualità attoriale e dallo spontaneo carisma scenico della sua figura. Ed è proprio durante le innumerevoli occasioni che hanno portato questo show emblematico e irripetibile in tutti i continenti, che il cantante ha stretto l’amicizia e la collaborazione con il mitico ballerino Miguel Angel Zotto, il quale si è fatto promotore di portarlo in Italia dopo dieci anni dalla sua prima visita artistica circoscritta a Roma. 



Ora ad attenderlo ci sono due serate imperdibili programmate a Milano e Venezia, le città dove il Maestro Zotto ha radicato la sua Accademia, offrendo con generosità la sua arte nell’insegnamento della più seducente tra le danze di nobili origini popolari. Laviè che coltivava nella sua prima gioventù il sogno di diventare un artista plastico, nella sua sfolgorante carriera ha realizzato questo desiderio secondo un’espressività che non poteva prevedere negli anni della sua adolescenza. Lo ha fatto con la voce, cesellando le melodie dei tangos con il tratto granulare del suo registro baritonale dal timbro matericamente minerale che coinvolge per l’intensità del suo pathos, ed evocando sinestesicamente variopinti acquarelli accordati all’accesa e goduta ostinazione coloristica della sua calorosa emissione sonora che mescola la musica alle parole. 


E in tutta questa magia resiste il prodigioso dono fisiologico che qualche divinità benevola ha voluto regalare al suo talento. Non si riesce a spiegare altrimenti come un cantante con oltre sessant’anni di carriera e già ultraottuagenario, possa conservare la limpidezza, il fervore, l’intonazione, l’estensione della voce che hanno fatto di lui uno dei pochissimi cantanti di tango in grado di incarnare l’essenza di questa musica nella seconda metà del novecento. Per questo sortilegio, le serate in cui Laviè sarà ospite in Italia non si configurano come l’omaggio ad un’artista che il viale del tramonto ha trasformato nella commovente ombra di se stesso, bensì l’occasione per ascoltare a bocca aperta le inesauribili gemmazioni foniche di un interprete nella piena agevolezza della sua vitalità artistica. Ancora oggi Buenos Aires può riconoscere in Raul Laviè la sua voce.

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