IGOR STRAVINSKIJ, LA MUSICA DA VEDERE

Mostra alla Biblioteca Sormani di Milano

Lo straordinario compositore russo Igor Stravinsky, giunge a Parigi alla fine della prima decade del ‘900, trovando una metropoli elettrizzata dal primitivismo che l’aveva conquistata dall’entusiasmante Esposizione Universale d’inizio secolo, influenzando anche la musica con la leggerezza luminosa del giapponismo ascoltato con curiosità da Ravel e Debussy. Formatosi alla severa scuola di Rimsky-Korsakov, Stravinsky contribuirà ad aggiungere un ulteriore orizzonte orientale a quelle recenti seduzioni, portando all’attenzione del mondo l’antica cultura popolare sedimentata nella musica fino allora circoscritta all’immenso perimetro del paganesimo russo. A rendere addirittura sfolgoranti i poliritmi sincopati, i colori timbrici che mettono in primo piani gli strumenti a fiato rispetto agli archi, e le rimembranze melodiche, ci ha pensato Diaghilev che, a capo dei Ballets Russes dove danzava l’irragiungibile Nijinsky, stringe con Stravinsky una collaborazione esplosiva che tra il 1910 e i 1913 darà luogo a L’uccello di fuoco, Petrucka e La sagra della Primavera. 


Ancora fortemente legati ai modelli di Rimsy-Korsakov i primi due, assolutamente innovativo il terzo, tanto da essere accolto come un vero e proprio scandalo anche dal pubblico parigino, curioso ed abituato all’eccentrico. Questa pietra miliare della musica novecentesca, cambia letteralmente il paradigma del linguaggio e della sua concezione formale, con la stessa energia creatrice che ha avuto l’ars nova del XIV° secolo. Dall’altro canto l’audacia stravinskiana nel proporre un passaggio di tale sconvolgente esotismo, non può essere associata al fervore avanguardistico che attraversava la cultura di quel periodo, ma inaugura quello che Andrè Gide battezza paradossalmente come una forma di classicismo-moderno. Una declinazione dove non trova posto la radicalità che sarà di Schoemberg e della seconda scuola di Vienna, ma l’incontro tra forme d’arcaismo folklorico con il trattamento delle orchestrazioni votato a presentare sonorità stranianti, il formalismo strutturale e dinamico con un sistema armonico clamorosamente aperto a ripetute dissonanze. 


La percezione complessiva può far immaginare ad un parallelismo con il cubismo di Picasso dove innocenza e primitivismo si associano in un legame espressivo eleggibile come la più accreditata chiave di volta che ha portato l’arte nella sua mutevole condizione novecentesca. In accordo con l’effervescenza dell’epoca, Stravinsky muta anche lui migrando progressivamente dal periodo russo, dopo essere passato da capolavori quali La Noces (iniziata nel 1917)  e l’Historire d’un Soldat (1918). La metamorfosi si compie con il balletto Pulcinella del 1920, dove l’autore “scopre il passato” attraverso Pergolesi che non sarà solo l’ispiratore di questo lavoro, ma anche l’inconsapevole prestatore di diversi passaggi, colonizzati per essere inseriti nella partitura. Per almeno due decenni il compositore agisce contromano rispetto le esperienze più estreme dell’avanguardia, istallando la sua musica nell’ambito di una tendenza alla restaurazione, definita neoclassicismo e fondamentalmente circoscritto al periodo compreso tra le due guerre mondiali. 


Se Stravinsky si apparenta idealmente a questa sensibilità per via dei soggetti ripresi dal passato e dell’impianto armonico tonale. Tuttavia il suo desiderio è quello di “realizzare una nuova musica a partire da quella del settecento” e per realizzarlo abbina ai vecchi principi costitutivi, progressive ricerche evolutive sui temi del ritmo, delle sonorità e delle strutture, con un effetto fortemente contrastante Una volta stabilitosi negli Stati Uniti, avverrà per gradi il terzo sorprendente cambiamento, quando, visitato dalle sirene della serialità, ne imbocca il complesso sentiero. La svolta decisiva risale al 1951 e i capolavori non mancheranno neanche da questo ulteriore approdo: tra di essi Agon ancora non perfettamente seriale; Threni; Movements; Variations; Requiem Canticles già nel 1966.


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