KARI HOTAKAINEN E L'IMMIGRAZIONE URBANA




Questo scrittore finlandese ci racconta in forma narrativa un’altra inquietante tipologia di immigrazione: quella che sta spopolando campagne e montagne, a vantaggio di una pressione sempre più insostenibile che riguarda le città, tendenza che oggi ha già interessato il 50% dell’intera umanità. Il suo libro intitolato La grande migrazione, tradotto da Nicola Rainò per Iperborea, è mosso da un’inquietudine che scopriamo attanagliare anche i Paesi del Nord come il suo, che indichiamo come esempio di civiltà emancipata ed equilibrata. Insomma anche la situazione di Helsinki è turbata dai problemi che in altri luoghi del mondo sono ancora più dolorosi e, per essere ottimisti, vicinissimi a giungere ad un punto di non ritorno. Anche la capitale finlandese  risulta divisa in cerchi concentrici. Il primo  è quello destinato alla famosa gentrificazione ztl sempre più curata, abitata da residenti ben attrezzati economicamente e orientata in un asettico non luogo del commercio sempre più occupato dai brand multinazionali, dagli uffici, dal business, dalle banche, dai girotondi di esercizi effimeri al servizio della movida. Il secondo vede sovrappopolarsi quartieri sempre più attraversati dal degrado, dalla sopravvivenza per cui un lavoro solo sta diventando insufficiente, dalla povertà con tutto il suo portato di rabbia che spesso coinvolge l’altra immigrazione, quella d’oltremare. Nel frattempo il rapidissimo succedersi di crisi connaturate all'indirizzo finanziario del neoliberismo turbocapitalista, si aggiunge un'ulteriore spaventoso cerchio dove le periferie si estendono abbandonate nel loro squallore architettonico e sociale. Nella fantasia letteraria di Hotakainen hanno la drammatica struttura di una baraccopoli. Il terzo cerchio della sua città prende il posto degli spazi abbandonati dai sei centri commerciali che hanno chiuso per via del successo esponenziale delle vendite on line. Hotakainen prova ad allineare una serie di personaggi che aspirano ad inglobarsi in questo terzo e misero agglomerato suburbano partecipando alla gara per gli alloggi, il cui accesso presuppone la compilazione di un questionario su cui descrivere la propria condizione, le proprie attitudini, le proprie necessità. i politici della città hanno presentato il loro progetto con un solido slogan rassicurante: “la storia della tua vita è un appartamento per il resto dei tuoi giorni”. L’esame dei moduli è affidato con un contratto termine al cosiddetto gruppo Archivio, formato da un precariato d’istruzione accademica, ma emarginato o eternamente secondo o terzo nei colloqui di lavoro che avrebbero assunto solo il primo. 


Ed è Ilona, una trentunenne psicologa che si è arrabattata come postina, televenditrice, animatrice di un circolo parrocchiale, ad essere l'incaricata di vagliare i profili degli aspiranti baraccati. E' lei che ci accompagna a scoprire la sfilata dei soggetti sgangherati che ambiscono ad essere scelti per figurare tra i beneficiari del nuovo progetto abitativo. Ed è donna anche la seconda protagonista del romanzo: quella che occupa il più alto posto di responsabilità amministrativa della città. La Presidente. Per lei i giorni di lavoro sono un ininterrotto rosario di nastri da tagliare o di “Giornate” da celebrare con pomposi discorsi dai contenuti evanescenti. Ma un bel giorno questo turbinoso tran tran a cui si era prestata per senso delle istituzioni, gli appare insopportabile. In quella mattinata liberatoria il suo dissenso è clamoroso perché manifestato in pubblico, nell’occasione dell’ennesima inaugurazione con tanto di nastro rituale. La cerimonia avrebbe dovuto glorificare un nuovo spazio adiacente alle baraccopoli e chiamato Area Ricreativa che altro non era se non un luogo precedentemente coltivato da veri agricoltori.  La contingenza economico politica li aveva costretti  ad abbandonare il loro mestiere, perché l’unica alternativa sembrava rimasta quella di accalcarsi tra gli altri diseredati per cercare un lavoro in città. Il paradosso è che in quella Area Ricreativa, l’amministrazione aveva previsto di assumere dei contadini che lavorassero per finta, diventando l’attrazione dimostrativa attraverso cui i giovani avrebbero potuto vedere in cosa consisteva quella nobile professione che aveva perso ogni speranza per il futuro. Ma il discorso della Presidente questa volta ha il coraggio di denunciare una situazione indigeribile per l’establishment, dichiarando che “nessuna città potrebbe esistere nemmeno un momento senza i contadini!”. Teniamolo a mente ogni volta che ci propongono un pane congelato, proveniente dalla Germania con grano rumeno, perchè è più conveniente che produrlo in loco: a meno di andare nelle boutique del pane che si affacciano sulle strade della ztl e pagare il lusso della sua esclusività che, lo dice la parola, esclude buona parte della popolazione. E aggiungo che uno scrittore finlandese mi stupisce ancora una volta per l’ironia corrosiva con cui approfondisce un argomento così drammatico, convincendomi che il collega Mauri Antero Numminen o il cineasta Aki Kaurismaki, sono tutt'altro che casi isolati di surrealismo critico finlandese. Chi ha assistito al recentissimo Book Pride milanese ha avuto la fortuna di incontrare Hotakainen alla presentazione di questo graffiante resoconto che ha denunciato dalle frontiere dell’immaginario, una prospettiva non così remota a cui stiamo andando incontro.


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