MAHLER NELLE MANI DEL POTERE




MAHLER NELLE MANI DEL POTERE


Negli Stati Uniti la prima donna che ha diretto con la sua bacchetta un’orchestra sinfonica stabilmente, quella di Baltimora, ha avuto come mentore Bernstein e un orientamento omosessuale. Il nome di questa pioniera è Marin Alsop che ora, all’età di 66 anni dirige l’orchestra sinfonica della radio a Vienna. Naturalmente appena uscito il film Tar diretto da Todd Field, è corsa a vederlo scoprendo che la protagonista Lydia Tar interpretata da una sublime Cate Blanchett, ha tre punti in comune con la sua biografia: è direttrice d’orchestra, è stata allieva di Bernstein ed è lesbica. Quando il Sunday Times ha chiesto alla Alsop un giudizio sul film, la sua risposta è stata del tutto critica: antifemminista, declinato ancora secondo il frusto ritratto misogeno di una donna di potere, allineato agli stereotipi millenari che gli uomini hanno sulle donne! Alastair Macaulay, l’ex-critico della danza sul New York Times, inquadra il film in maniera altrettanto acida: “uno pseudo-documentario che si trasforma in un film d’orrore lesbofobo”. 

Infatti, se emergono le corrispondenze che ho segnalato, il personaggio di Lydia Tar non ha altro da condividere con Marin Alsop, poiché la trama del film scorre sui binari della finzione e definisce per la Tar un personaggio che da un lato ha il dono di uno straordinario talento musicale, dall’altro inanella relazioni all’interno del suo entourage che al loro crepuscolo vengono troncate in maniera sbrigativa utilizzando il potere che una direttrice conquista con il prestigio del suo successo artistico. La Tar è al culmine di questa parabola: guida i Berliner. Purtroppo per lei una giovane collaboratrice vittima della sua attitudine predatoria si suicida anche perché non è stata semplicemente abbandonata al suo destino, ma anche crudelmente allontanata da eventuali impieghi per via di velenose considerazioni sul suo valore professionale recapitate a tutti coloro che avrebbero potuto offrirglielo. Todd Field ci anticipa questo tragico evento in maniera molto sottile, con una scena il cui significato può essere arrivato solamente ai bibliofili più enciclopedici. 

Prima del suicidio la ragazza (Krista Taylor, che non appare mai nel film se con come figura silente durante le sempre più frequenti allucinazioni di Lydia) invia alla Tar un libro che vuole annunciarle le sue intenzioni. Si tratta di Challenge scritto nel 1920 da Vita Sackville-West durante una fuga d’amore parigina con la sua compagna Violet Trefusis. Infatti la storia di questo libro della Sackeville-West (già amante di Virginia Wolf) è una sorta di tragedia greca senza lieto fine dove la protagonista (Eve) minaccia di suicidarsi dopo la separazione dall’amato Julian. La morte di Krista è collegata a Lydia per via della serie di messaggi telefonici che la direttrice recapitava per discreditarla e conservati dall’attuale collaboratrice che li rende pubblici dopo essersi dimessa dal suo incarico. Il suicidio è l’inizio della sua fine perché, con una specie di contrappasso, lo scandalo travolgerà la Tar che si troverà esautorata nello stesso modo che lei aveva usato con Krista.  

Tutti la scaricano e la direttrice dovrà ricominciare da zero accettando proposte che non avrebbe mai preso in considerazione. Così la vicenda si chiude con lei alla guida di una scalcinata orchestra mongola impegnata ad accompagnare le immagini di un film che ha richiamato in platea un pubblico in maschera, un po' come succedeva nel mitico Rocky Horror. Per la cronaca Cate Blanchett ha dichiarato che il suo personaggio non voleva esprimere le posizioni denunciate da Marin Alsop, ma incarnare una provocazione, esaminando la natura corruttrice del potere che agisce in tutto il mondo senza curarsi degli orientamenti sessuali. Per rinforzare questa tesi, l’attrice australiana aggiunge un ulteriore dettaglio: “questo non è un vero film sulla musica classica, perché il personaggio potrebbe essere un’archistar o il proprietario di una grande banca”. 

Sta di fatto che molti dialoghi che ascoltiamo nei 158 minuti della durata del film, hanno come tema la musica. Forse sono i più convincenti, con raffinati passaggi musicologici di estetica e di curiosa anedottica, svelando per giunta certi meccanismi invisibili che muovono il mondo delle orchestre e delle case discografiche. Nel frattempo va rilevato che se le direttrici d’orchestra erano il 4,3% nel 2018, oggi hanno rosicchiato un altro piccolo spazio ai colleghi uomini, arrivando all’8%. Una speranza personale? Che gli spettatori siano incuriositi dalla quinta sinfonia di Mahler, fulcro centrale della pellicola, e si decidano di ascoltare l’intera meraviglia di questo sontuoso affresco sinfonico composto da un autore che nell’arco della sua vita era certamente più riconosciuto nel ruolo di direttore d’orchestra.

 



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