MEMORABILIA: AFFERRARE IL MITO GARDEL


(Recensione Pubblicata su: Il Giornale su della Musica, n°3, 2008)


Rafael Flores affronta con la sua ultima pubblicazione un tema capitale della cultura del tango, aggiungendo alla vasta e prolificante bibliografia che se n’è occupata, la sobrietà e l’acutezza del suo sguardo. Il protagonista dell’opera è Carlos Gardel, indubitabile inventore del linguaggio del tango e al tempo stesso, simbolo di un’identità culturale che gli argentini hanno disperatamente cercato e trovato nella loro musica popolare urbana. Come spesso avviene, il passaggio da simbolo a mito è una questione di tempo e di velature che, sottraendo l’affidabilità delle fonti, rendono incerta la verità e misteriosi alcuni aspetti su cui chiunque può teorizzare una sua ipotesi. A questo proposito, la considerazione su cui insiste Flores nel suo saggio, è che il tentativo di strappare la figura di Gardel dalla labilità delle informazioni che confinano la realtà storica nel terreno di un’irriducibile opacità, equivale ad accettare l’esistenza di un perimetro d’ombre impenetrabili. Denunciare questa resa fatale, è anche il segno di un atto d’amore che consente di concentrarsi sulla solidità dei dati certi materializzati nel corpus di composizioni, incisioni, iconografia, cinema, di cui il cantante è stato artefice. Per questo, all’incipit, in cui sono esposti, analizzati e in alcuni casi chiariti tutti gli enigmi biografici, il libro di Flores fa seguire l’esame di un florilegio di titoli estratti dall’opera di Gardel. 


Venticinque elzeviri che corrispondono ad altrettante composizioni, diventano per lo scrittore argentino la materia con cui descrivere curiosità aneddotiche, o catturare spunti affascinanti che rimandano a fantasiose evocazioni. Alla loro lettura si unisce utilmente la preziosa documentazione sonora raccolta nel cd allegato al volume: qui il silenzio della parola, invocato nelle prime righe del testo, è infranto dal risuonare della parola cantata da Gardel, medium dei sentimenti della nostalgia e dello smarrimento che accarezzano come un ineluttabile vento, la natura dell’essere argentino in cui i suoi connazionali si riconoscono. Epifanicamente legata a questa nozione d’appartenenza antropologica, l’enigmatica levità di Gardel, espressa dal suo carnale sorriso, è inestricabile dalla sua voce tenorile, educata con cura dalla passione per il bel canto e dallo spleen di Buenos Aires. Dotato di questa vocalità divina, Gardel prende letteralmente possesso dei versi che canta facendoli propri, trasformandoli in uno strumento potente e sottile, in una calamita, in un centro gravitazionale cha attrae le emozioni universali. Per sempre.


Figlio della fibrillante epoca moderna, la sua opera è diventata classica, vale a dire ha resistito all’instabilità delle mode ed alla volubilità del postmoderno, stabilizzandosi nel gusto per l’eternità. Tutto ciò che abbiamo ereditato della sua vasta produzione, è uno strumento di pura conoscenza del tango che è stato salvato da una serie di “apostoli gardeliani”, come li chiama Flores. Questi indomabili lottatori, con la loro predisposizione alla morbosità, sono diventati protagonisti di un collezionismo necessario, visto che le leggi dell’industria non hanno miti se non quelli dell’efficienza e del profitto: una delle barbarie di cui si sono rese colpevoli le  case discografiche è di aver distrutto, senza scrupolo, le matrici in cui era conservata la voce di Gardel. Così, anche la collana di perle selezionata per questa pubblicazione è stata tratta dall’archivio di 78 giri originali messa a disposizione da un privato, Hamlet Peluso. Come sempre, anche in questo florilegio, possiamo ammirare l’interpretazione gardeliana, l’intonazione del suo lirismo sovrano, pronunciato da un fraseggio e da un catalogo d’ornamenti che sono diventati il bottino saccheggiato da tutti gli interpreti coevi e futuri, trascendendo i confini del canto per coinvolgere il campo degli strumentisti.


Il suo segreto sta nello svolgere e riavvolgere le spire del serpente melodico oscillando tra il decir recitato ed il fraseggio canoro: due punti di riferimento così fermi e brillanti, da indurre Anibal Trolio a confessare il desiderio di far suonare la sua maestosa orchestra “così come canta Gardel”. La cura e l’amore con cui è articolato il volume, arricchisce il testo di un contributo esegetico di una cronologia biografica, di un glossario di lunfardo, di una bibliografia di riferimento, di una circostanziata scheda dei dati inerenti alle registrazioni raccolte nel cd, di una ghiotta raccolta di documenti fotografici, tra i quali la curiosa inquadratura di un Gardel che si copre il capo con una paglietta di fronte alla Basilica di San Pietro a Roma. Fortunatamente, lo stile corsivo e diretto di Rafael Flores, ha incontrato nella traduzione di Monica Fumagalli la feconda sensibilità di una grazia attenta a riprodurre fedelmente lo scrittura asciutta, fenomenologicamente colta e gradevole dell’autore. Il volume risulta appagante anche nella sua impresa più ardua che riguarda la versione dei tanghi nella nostra lingua, un’impresa che vede la Fumagalli superare lodevolmente la schermaglia tra suono e senso insita del tradurre, riuscendo a non smarrire il significante che il suono della parola originaria promette. Ed è sotto il segno del suono che questo libro va letto ed ascoltato: solo da questa prospettiva emergerà per intero la giustezza del titolo Tango senza fine.  Solo da questa prospettiva potrà essere goduto come cassa di risonanza, orecchio dionisiaco dal quale l’arte di Carlos Gardel fuoriesce libera dalla polvere che riconosciamo nelle opere secolarizzate, ogni volta splendente come se si compisse nella vocalità il destino della sua eterna resurrezione. 


 


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