IL MURO. LA GERMANIA DA FASSBINDER A STOCKHAUSEN
Il 9 novembre del 1989 è la data in cui, al culmine di imponenti disordini, il muro di Berlino è stato idealmente demolito con la concessione che permetteva agli abitanti del settore Est di superarne i varchi per approdare alla parte occidentale della metropoli. Da ventotto anni divieti fermissimi la rendevano irraggiungibile e il tentativo di infrangerli è stato in diversi casi pagato con la vita. Nel trentennale di questo evento liberatorio e in un’epoca contemporanea in cui la tentazione di ergere altri muri sta interessando diversi palcoscenici internazionali, la Sezione Audiovisivi della Biblioteca Sormani propone una vetrina di film realizzati durante l’epoca della Guerra fredda che è stata responsabile della divisione di Berlino. Pellicole che non coincidono soltanto con episodi strettamente legati a quell’innaturale divisione, ma sono la narrazione di un’epoca delicata, sia vista dalla cinematografia tedesca, da grandi registi tedeschi quali, tra gli altri, Fassbinder, Von Trotta, Wenders, Herzog, che da cineasti di altri paesi interessati a quella vicenda dolorosa sotto diversi profili e fino ai giorni nostri. Contemporaneamente è stata allestita una esposizione delle copertine, relative alla nutrita collezione di vinili della Biblioteca, inerenti a Karlheinz Stockhausen, un artista che con il suo lavoro ha fatto anch’egli, e quasi da solo, crollare un muro: quello dell’estetica.
Considerato come il compositore tedesco più estremo del XX e XXI secolo e partito da una formazione di indirizzo strutturalista, Stockhausen ha scelto il campo delle sperimentazioni elettroacustiche, concrete e aleatorie per comporre organizzando le sue pagine secondo un serialismo integrale. Intorno a queste coordinate Stockhausen ha attraversato sessant’anni di inesauribile ricerca, condensata intorno alle maglie sonore disegnate come microtexture statistiche inerenti al concetto puntillistico di “momento forma” e di “campi temporali” che inglobano probabilità e casualità. Già dai primi anni ’50 il suo Studio für elektronische Musik della radio Westdeutscher Rundfunk (WDR) di Colonia, era uno dei tre punti di riferimento per la musica post weberiana: gli altri due erano il Groupe de Recherches Musicales di Parigi e, soprattutto, lo Studio di Fonologia Musicale della RAI di Milano guidato da Luciano Berio e Bruno Maderna. Autore vulcanico e di una visionarietà suggestionata da esoteriche mistiche orientaleggianti, Stockausen ha cercato le formule per riprodurre i cicli vitali, auspicando la sua musica come veicolo per l’unità cosmica.
Il suo catalogo comprende 300 opere musicali che hanno trasformato “la tragedia dell'ascolto”, evocata da Adorno in merito agli azzardi della Neue Musik, in performance sonore così stravaganti e seducenti da ispirare non solo i compositori più radicali, ma anche il jazz e la musica pop di cui è diventato l’icona più elitaria. Con le sue cattedrali luminose di suoni, le sue partiture per elicotteri volanti e le sue magie elettroniche inaudite, è stato il provocatorio e inconsapevole punto di riferimento, in grado d’influenzare i Beatles, Miles Davis, Frank Zappa, Brian Eno, i Pink Floyd e Bjork... Questo passaggio popolare non ha mosso di una virgola la sua posizione di estremo avanguardista. Immaginando anche un aspetto visuale per connettersi con il pubblico che accorreva ai suoi recital, già nel 1970 la sua irraggiungibile creatività aveva prodotto tanto da poter riempire da solo il programma di sei mesi ininterrotti con concerti giornalieri della durata di cinque ore e mezza, eseguiti in uno speciale auditorium alla Fiera Mondiale di Osaka, a beneficio di un milione di spettatori. Fassbinder diceva che “è la totalità dell’oeuvre che deve dire qualcosa di speciale riguardo al tempo in cui è stata realizzata, altrimenti è inutile”: lui e Stockhausen, con i loro rispettivi linguaggi ci sono riusciti in pieno.
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