CONTRABBASSO: IL CATALOGO È QUESTO
Una deliziosa chiesetta situata nel magnifico quadro collinare adiacente al borgo di Monte San Martino, ai margini del parco dei Monti Sibillini, ha ospitato il concerto affollatissimo dove Silvia Bolognesi è stata l’unica protagonista con il suo contrabbasso. In questo contesto suggestivo la talentuosissima musicista senese ha trasmesso al pubblico un arcipelago di finezze pungenti. Tra le più riconoscibili del vasto catalogo, quelle riguardanti gli echi romantici che si sono alzati da frammenti melodici in cui tutto il lirismo della sua “pera” ottocentesca, ha invaso la sala affrescata con i colori sognanti di uno splendido pulviscolo sonoro cavato con l’arco; quindi le combinazioni estreme dove si è annidato lo sperimentalismo novecentesco che ha scritto la minuscola ma sempre più coltivata letteratura per contrabbasso solo; inoltre i giochi timbrici in cui una manipolazione accurata, solenne e sensibile ha scoperto la fisicità oggettuale che ha trasportato l’espressività del contrabbasso in una sfera creativa liberata dai vincoli canonici dell’ortodossia accademica; e per concludere i riferimenti al blues e gli accenni alla sua declinazione più religiosa, quegli spirituals dove Silvia si è accompagnata con il canto, coinvolgendo attivamente gli spettatori che hanno mandato in frantumi l’illusoria quarta parete utilizzando collettivamente mani, piedi, voci.
Ma aldilà di questo dialogo giocoso, gioioso e leggero con la performer, il pubblico palesemente eterogeneo è stato incluso nella vibrante esperienza di un ascolto per così dire organico, dove la musica non ha trasmesso solamente un messaggio con la sua sapiente retorica, ma ha coinvolto il corpo fisico dei presenti. Così, durante un’ora circa di elaborazioni essenzialmente improvvisate con dialettiche interne che hanno illuminato la loro identità prismatica, gli ascoltatori sono stati invitati ad una sorta di viaggio cosmopolita e dall’articolazione fluida e ispirata. Chi ha coltivato una certa confidenza con questo genere di percorsi, cercando tracce del nucleo dal quale è scaturita questa modalità del far musica, ha potuto percepire l’eleganza con cui la Bolognesi ha evocato nel suo sistema a episodi giustapposti, il transitate delle ombre di figure archetipiche a cui deve l’indirizzo del suo gusto estetico. Si tratta dei padri nobili che hanno approfondito problematiche cardine dello strumentismo trovando inaudite opportunità espressive per il contrabbasso. Citando solo alcuni di questi idoli irriducibili, non può mancare il genio di casa, un esploratore radicale marchigiano come Stefano Scodanibbio per cui John Cage ha utilizzato l’aggettivo “stupefacente”, mentre Xanakis, Berio, Bussotti, Nono hanno scritto lavori pensando alla sua tecnica innovativa. Altrettanto importanti da essere obbligatoriamente citati l’afroamericano del Bronx William Parker, stella polare nel contesto del free jazz; la leggendaria, prometeica e solforosa provenzale Joelle Leandre; l’astratto e antivirtuosistico nichilista tedesco Peter Kowald. Silvia figura a pieno titolo tra i principali eredi di questo aristocratico manipolo di contrabbassisti eretici, incendiari e poliedrici che hanno fatto tesoro delle loro inquietudini, cambiando radicalmente i destini del contrabbasso, con una riconfigurazione perfino semantica che lo ha emancipato dal suo classico ruolo, per così dire, sociale.
Assurgendo in questi termini a protagonista solitario, questo strumento storicamente essenziale e discreto, ha quindi spiccato un impressionante salto in avanti, svelando le prerogative di una nuova forma di virtuosismo rispetto a quello acrobatico che nella storia della musica cameristica è legato soprattutto ai nomi di Dragonetti e Bottesini. Intorno al suo mondo misterioso e per certi versi inafferrabile, la musica contemporanea sta continuando oltre ai nomi citati in precedenza a scrivere una nuova, epica, letteratura musicale per questo strumento. Ma al contrario del passato, alla configurazione di questi orizzonti inauditi partecipa anche la musica improvvisata, quella irripetibile perché in fondo equivale ad una specie di eccitante letteratura orale, quindi orgogliosamente consapevole di svanire nel momento stesso del suo farsi, senza offrire possibilità di riproduzioni urtext. E le stregate singolarità di questa prassi vertiginosa si manifestano proprio nel felice abbandono a una forma di oblio smemorato, a un generoso sperpero che impedisce ogni esatto ripetersi di una composizione istantanea. Certo sin dall’epoca in cui Walter Benjamin denunciava l’affermazione dell’arte come oggetto della riproducibilità tecnica, per la musica esistono le registrazioni che nelle loro varie forme di supporto possono scongiurare la perdita a cui si espone ogni concerto di musica improvvisata.
Ma, sempre seguendo le intuizioni di Benjamin, questo estremo e in fondo auspicabile tentativo di conservazione della memoria non è nelle condizioni di riuscire a restituire l’aura di un’esperienza totale come quella dello scambio emozionale tra strumentista e ascoltatore, che avviene nel luogo in cui questi si fronteggiano. È l’unicità dell’esperienza impagabile che offre la musica suonata dal vivo che evidentemente riguarda anche la musica scritta. Provando ad immaginare cosa si sarebbe perso l’ascoltatore remoto di fronte ad una eventuale registrazione fonografica del concerto portato in scena da Silvia Bolognesi, i dettagli sarebbero molteplici, a partire dal gesto fisico del suonare il contrabbasso fino a quello di accarezzarlo o di percuoterlo; dal movimento meccanico nel marcare decisamente un ritmo con il piede, a quello di strisciare la scarpa sul piccolo palcoscenico producendo nell’attrito una sorta di sibilo; dall’utilizzare minuscoli oggetti come percussioni di fortuna a infilarsi a un dito della mano destra un anello contenente all’interno qualcosa di simile a piccolissimi semi vegetali che sviluppano i loro moti browniani agitandosi sonoramente nello scuotere le maracas. Concentrandosi invece su quello che il nostro ascoltatore in poltrona non ha potuto beneficiare rispetto alla natura del luogo stesso in cui si è tenuto l’evento, si più partire dall’energia sprigionata dagli apparati iconografici cinquecenteschi ammirabili lungo tutte le pareti, le cappelle e l’altare, in forma di affreschi e tele a soggetto sacro, o come decorazioni recuperate da una struttura preesistente per essere sistemate su pannelli dopo un accurato restauro, o, ancora, per la commovente semplicità dello spoglio rigore rurale con cui è stata immaginata l’architettura della chiesa a una navata. Per continuare e concludere, è necessario entrare in una fattispecie specifica, con un commento sull’acustica perfetta della chiesa che è stato il valore aggiunto per valorizzare al meglio il suono del contrabbasso: un suono esclusivamente acustico che correva perfetto accarezzando gli affreschi, i quadri, la gente.
Un aiuto indispensabile per percepire tutte le sfumature e le dinamiche che Silvia ha alternato avvalendosi di varie tecniche. Da quelle complementari dell’arco e del pizzicato, a quelle scaturite da procedure estemporanee. Si tratta ad esempio della cosiddetta “preparazione” dello strumento, in questo caso ottenuta infilando tra le corde una bacchetta da vibrafono all’altezza del ponticello con la conseguente produzione di un timbro inusuale, anche quando lo stessa mallet è utilizzata per percuotere le corde. Quindi per non smarrire ciò che qualsiasi riproduzione non può testimoniare, avanti a tutta con la musica dal vivo di qualità. E a questo proposito va sottolineato come queste opportunità siano encomiabilmente ideate da TAM che da oltre vent’anni, porta anche nelle propaggini più inattese del magniloquente territorio marchigiano, artisti di livello internazionale come Silvia Bolognesi e sempre in accordo con il nobile obbiettivo di organizzare festival solidali, inclusivi ed ecosostenibili. Come questo RisorgiMarche, auspico di bellezza e simbolo concreto di una resilienza coraggiosa anche nei confronti dei tragici cataclismi naturali che hanno sconvolto negli ultimi anni diverse comunità della regione.
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