Il ritorno di Filisberto Hernandez
“La lettura di Felisberto spalanca la porta a un flusso di immagini che prende d'assalto la nostra coscienza."
Julio Cortazar
Erano anni che consigliavo ai miei amici e ai conoscenti con cui mi capitava di parlare della letteratura sudamericana, un libro che finalmente oggi è ricomparso per merito dell’editrice La Nuova Frontiera.
Io lo avevo comperato nella prima edizione italiana,incuriosito dal fatto che Felisberto Hernandez, l'autore, era un pianista.
Quella raccolta di dieci racconti, ormai introvabile, che in quella veste del 1974 tra i supercoralli Einaudi, era stato proposta e presentata da Italo Calvino traducendo letteralmente il titolo castigliano: “Nessuno accendeva le lampade”.
L'acuta riflessione che Calvino ha destinato ad introdurre lo scrittore montevideano, non ha risparmiato lodi convinte e convincenti, inquadrandolo nella ristretta cerchia degli “irregolari” per l’impossibilità di avvicinarlo all’opera di alcun altro autore.
Affrontando le pagine di Hernandez, che fanno parte di questa breve antologia in origine pubblicata a Buenos Aires nel 1947 dalla Editorial Sudamericana, è facile comprendere in pieno vale il giudizio posto in esegro e firmato da un ammiratore come Julio Cortazar.
Il flusso di immagini di cui parla, provengono certamente da spunti fantastici e parametafisici che rimandano alla stagione surrealista, ma bisogna sottolineare come queste fonti, che abitano lo spirito dell’avanguardia europea, siano iniettate ante litteram da una sostanza allucinogena che sembra anticipare la letteratura psichedelica di una ventina d’anni.
Dall’altro lato è indubbio il ruolo di Hernandez nell’ispirare, insieme all’altro uruguayano Horacio Quiroga, la forma fantastica della narrativa moderna che in modi più prudenti ha contagiato gli autori sudamericani.
Nel caleidoscopio di situazioni che voltano decisamente le spalle al reale, il lettore di questi racconti incontrerà vicende assolutamente singolari descritte con una prosa asciutta, di una freddezza diametralmente opposta alla fervida visionarietà di storie affollate da metafore e da un humor di eleganza anglosassone.
Nelle sarabande mentali di questo autore, il gioco prediletto è quello dell’associazione d’idee, secondo un procedimento che allude alla composizione musicale da lui stesso frequentata almeno fino al 1940, anno in cui prese la decisione di darsi completamente alle lettere, abbandonando la carriera di musicista.
Questa vita dedicata alla musica è comunque richiamata nel torpore rarefatto delle sue atmosfere deliranti e un po’ claustrofobiche, e non manca mai quel pianoforte in penombra, testimone della prima passione di uno scrittore che, pur non avendo percorso l’iter accademico, non possiamo certo classificare tra “quelli della domenica”.
Hernandez, alle prese con Stravinsky al Teatro del Pueblo di Buenos Aires |
Per anticipare alcune stravaganze fantasiose, si deve segnalare come nell’opera di Hernandez il corpo perda la sua illusione di unità dando vita propria alle parti che, distaccate si sono distaccate da lui: insieme a queste vicende si possono incontrare donne ricambiate del loro amore da un balcone che si trasformerà in ragno; si assiste a sentimenti che abbandonano le persone che li nutrono per vivere indipendentemente dai corpi che li provano; si attraversano grandi case coloniali abitate da zitelle inacidite e abbandonate da fidanzati perduti nel tango; si osservano giovani poetesse pazze servite da governanti nane.
Tutto ciò sembra i perfetta armonia con la sua biografia che ci presenta un artista in chiara difficoltà a tenere i contatti con la realtà, avendo difficoltà pratiche nel capire la vita e, di conseguenza, accompagnato da tutte le vicissitudini economiche del caso.
Dall’altro lato era profonda la sua inclinazione per l’innamoramento che lo ha visto ripetutamente perdere la testa per una donna diversa.
Singolarmente importante fu il suo matrimonio con la modista spagnola Maria Luisa de las Heras, esiliata per via della guerra civile scoppiata nel suo paese e agente del KGB.
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