Simone Weil dixit:"le travail est pour l’homme et non l’homme pour le travail"


Oggi un’amica mi ha inviato un testo che Simone Weil ha scritto nel 1934 e che splende amaramente per la sua attualità.
Ne riprendo alcuni passaggi particolarmente significativi per un’ulteriore riflessione sul lavoro ricordando che Simone lo ha vissuto non solo come l’intellettuale capace di scrivere il mirabile testo La Condition ouvrière apparso prima sulla rivista Nouveaux Cahiers quindi dopo la sua scomparsa, come titolo nella collezione Espoir di Albert Camus. La Weil ha lavorato in diverse fabbriche come operaia  redigendo il suo celebre Journal d’usine. La sua critica seppur energica e lucida la porterà distante dall’idea marxista sul lavoro, verso posizioni più spiritualiste che le faranno scrivere nel libro L’enracinement scritto durante il suo soggiorno londinese, un pensiero quasi platonico come il seguente: “Notre époque a pour mission propre, pour vocation, la constitution d’une civilisation fondée sur la spiritualité du travail. Les pensées qui se rapportent au pressentiment de cette vocation [...] sont les seules pensées originales de notre temps, les seules que nous n’ayons pas empruntées aux Grecs”. Questa sua filosofia del lavoro le fa glorificare il lavoro manuale attraverso il quale è possibile avere un contatto specifico con la “beauté du monde” anche se, precisa, “la différence est infiniment petite entre un régime du travail qui ouvre aux hommes la beauté du monde et un autre qui la ferme. Mais cet infiniment petit est réel. Là où il est absent, rien d’imaginaire ne peut le remplacer “.



Ma veniamo ai passaggi a cui accennavo in precedenza:

“La verità è che, secondo una formula celebre, la schiavitù avvilisce l’uomo fino al punto di farsi amare dall’uomo stesso; che la libertà è preziosa solo agli occhi di coloro che la possiedono effettivamente; e che un regime, del tutto inumano come il nostro, lungi dal forgiare esseri capaci di forgiare una società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli sono sottomessi, tanto gli oppressi quanto gli oppressori”.

“Ovunque, in gradi diversi, l’impossibilità di mettere in rapporto ciò che si da con ciò che si riceve ha ucciso il senso del lavoro ben fatto, il sentimento della responsabilità, ha suscitato la passività, l’abbandono, l’abitudine ad aspettarsi tutto dall’esterno, la credenza nei miracoli”.

“Anche nelle campagne, il sentimento di un legame profondo tra la terra che niutre l’uomo e l’uomo che lavora la terra è stato cancellato in larga misura da quando il gusto  per la speculazione e le variazioni imprevedibili delle monete e dei prezzi hanno abituato i contadini a volgere i loro sguardi alla città”.




“L’operaio non ha coscienza di guadagnarsi la vita esercitando la sua qualità di produttore; semplicemente l’impresa lo asservisce ogni giorno per lunghe ore, e gli concede ogni settimana una somma di denaro che gli dà il potere magico di suscitare in un istante prodotti già pronti, esattamente come fanno i ricchi”.

“La presenza di innumerevoli disoccupati, la crudele necessità di mendicare un posto fanno apparire il salario piuttosto che un salario una elemosina”.

“In generale, il rapporto tra il lavoro fornito e il denaro ricevuto è così difficilmente afferrabile che appare quasi contingente, cosicchè il lavoro appare come una schiavitù, il denaro come un favore”.

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