Macao e il Sindaco in ritardo: sgomberata l’arte che ha liberato la Torre Galfa dal degrado

Le promesse del Sindaco Pisapia, senz’altro ispirate al buon senso e ad un’idea costruttiva in merito alla creatività giovanile e alla sua importanza in una metropoli profondamente ferita da anni di ottusità come è Milano, non sono sufficienti a mitigare l’indignazione di fronte alle speranze che erano state riposte nel vento arancione che ha spazzato il modello morattiano.
Insomma cosa è stato fatto per scongiurare il comportamento drastico imposto dal Ministro Cancellieri relativamente all’occupazione della Torre Galfa (Galfa è l’acronimo di Galvani-Fara, le due strade che si incrociano ai suoi piedi) da parte di giovani lavoratori dell’arte riuniti come collettivo culturale MACAO?

         


In ogni caso, anche se non si poteva contrastare l'intervento, viene spontaneo farsi altre domande.

Perché solo adesso è stato offerto uno spazio all’area Ex Ansaldo  che tutti sappiamo libero da anni? 
Il Sindaco sapeva dell’irruzione? 
Ed inoltre vista la decisione della giunta in merito all'Ansaldo, perché non ha chiesto tempo per evitare l’intervento, visto che il trasferimento nel luogo che diventerà, speriamo, definitivo è prossimo?
Se il Sindaco non sapeva nulla, è possibile che un Prefetto, o una Questura, agiscano su mandato del Ministro dell’Interno senza interpellare le autorità locali?


Io non so rispondere a queste domande e oltretutto il Sindaco, intervenuto personalmente nell’assemblea permanente che gli occupanti hanno indetto proprio sotto l’edificio sgomberato, non è stato  convincente.

Mi auguro che l'accoglienza tiepida sia dovuta soprattutto al ritardo del suo intervento, avvenuto quando ormai lo sgombero si era concluso e dopo aver dichiarato che il Comune non aveva nessuna responsabilità nella decisione di un eventuale sgombero, perché non è proprietario dell’edificio.

Occorre ricordare che il solito Ligresti ha comprato questa torre, già da anni abbandonata, nel 2006 pagandola 48 milioni di euro e lasciandola così come l'aveva trovata, vuota ed in condizioni precarie.
Inoltre, senza voler trovare a tutti i costi una risposta alla rapidità d'azione dettata dalla Cancellieri, suona senza dubbio stonato il fatto che il figlio quarantaduenne del Ministro ricopre il ruolo di manager proprio alla Fondiaria Sai di Ligresti, con un appannaggio di 500 mila euro annui!
Mi sembra quindi legittimo pensare ad un conflitto d'interessi, soprattutto in un'atosfera nazionale dove i legami tra i legami tra il pubblico ed il privato si sono sovente rivelati lontani dall'interesse comune che li avrebbe dovuto guidare. 

Tornando all'intervento del Sindaco,  per mettere a fuoco il clima dell'assemblea, riporto il cuore dell’intervento che ha seguito il suo, questa volta accolto da un boato di applausi: “non avete avuto il coraggio di chiedere l’esproprio dell’edificio!”. E io aggiungo: per esempio lo stesso coraggio con cui i soggetti istituzionali hanno proceduto, in molti casi unilateralmente, ad espropriare i territori necessari al progetto dell’alta velocità.


Si può continuare ancora sul tema del coraggio citando un contributo che Gio Ponti ha lasciato tra le pagine di Domus (n°377, aprile 1961), relativamente alla Torre Galfa: in un passaggio l’architetto scrive che il progetto ”… rispecchia con assoluta schiettezza una realtà umana, quella vitale dell'operosità, dell'intraprendenza, del coraggio fattivo dei milanesi”.


Sembra che queste doti oggi, secondo una legge di vasi comunicanti, le possiamo trovare tra coloro che hanno deciso di far rinascere questo grattacielo che, sempre con le parole di Gio Ponti , è stao importante per “…la particolarità della sua struttura, per la perfezione del suo finimento, per la vigilante presenza di un architetto espertissimo, all'altezza del compito e degli impegni moderni di questa nostra stupenda professione”, tanto che “la Torre GalFa mostra in ogni elemento un raggiungimento particolare di venustà architettonica” componendosi “in una proporzione perfetta di volumi, in una semplicità di linee la cui ascendenza strutturale è espressa con sapienza e verità, con classicità”.


Basterebbero le parole di questo insigne maestro dell’architettura a immaginare che in effetti non si è trattato di occupare ma finalmente di occuparsi di un edificio che seppur moderno è già storico. Più che una occupazione se mai è stata una vera e propria liberazione che giustifica quel coraggioso esproprio esortato dall’assemblea di MACAO.

Liberazione da un’impresa che ha rilevato l’immobile lasciandolo morire nel degrado, insulto a questa opera che secondo Ponti ”arricchisce lo "spettacolo" dell'architettura di Milano, là dove essa, nel quartiere direzionale, si rappresenta nella sua vitalità, è parte eminente di quella "creazione ambientale" i cui aspetti milanesi suscitano tanto interesse”.
Seppur con modalità diverse per la natura dello spazio e le attitudini degli occupanti, l’esperienza di MACAO alla Torre Galfa con la sua simbolica luce blu subito installata per illuminare la vista notturna della costruzione, prometteva di aggiungersi a quella del glorioso Teatro Valle di Roma che resiste continuando ad essere indipendente dalle istituzioni.


       


Ora, se mai le promesse diventeranno fatti nell’arco di poche settimane, è certo che l’”Officina per la creatività a Milano al servizio dell'innovazione, della cultura e della partecipazione cittadina" promossa da sindaco e assessori, non avrà tutti i gradi di libertà di un’iniziativa spontanea, ma sarà inquadrata all'interno del solito regime asfissiante delle procedure burocratiche.

L’esperienza della Torre, un centinaio di metri d’altezza per 32 piani, è durata solo 10 giorni: credo che nella storia delle occupazioni uno sgombero così rapido non si sia mai visto e l’episodio gravissimo fa il paio con le dichiarazioni della Cancellieri sui No Tav, sintomo di una vera e propria perdita del controllo dei nervi, probabilmente dovuto alla coscienza di essere inadeguati ad una gestione politica del paese.


Dario Fo, immancabile in occasioni come queste come del resto tanti altri personaggi illustri, ha denunciato aspramente il comportamento terrorizzato, irrazionale e pericoloso che sta diventando la misura di questo governo, ormai consapevole del proprio distacco dalla popolazione e dell’insuccesso della propria azione.


Credo che nonostante lo sgombero, nessun tipo di repressione possa fermare un iniziativa che sta coinvolgendo il cuore creativo della città, erigendosi come un altro baluardo contro l’insopportabile status quo che affligge l’arte e tutti coloro che si esprimono attraverso le sue diverse opzioni: nel manifesto di MACAO viene denunciata la necessità di riprendersi “con forza un pezzo di città», «in risposta a una storia che troppo spesso ha visto la città devastata da professionisti di appalti pubblici, da spregiudicate concessioni edilizie che hanno inseguito una logica neo liberista che ha umiliato gli abitanti perseguendo un unico obiettivo: fare il profitto di pochi per escludere i molti. Siamo quella moltitudine di lavoratori delle industrie creative nati precari, siamo il cuore pulsante dell’economia del futuro, e non intendiamo continuare ad assecondare meccanismi di mancata redistribuzione e di sfruttamento». 



Cogliere queste istanze è vitale per dare un segnale concreto su come la Giunta ed il Sindaco immaginano la nostra città: o con i giovani e la loro straordinaria vitalità creativa o con una qualsiasi delle forme di immobilismo culturale, da troppo tempo inaccettabili a Milano.































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