Alfonsina (Storni) y el mar: zamba del recuerdo. (29 maggio, 1892 - 25 ottobre, 1938)


All’età di quattro anni una paffuta bambina nata nel Canton Ticino di nome Alfonsina, segue la madre nel viaggio verso l’Argentina che la ricondurrà al fianco del suo sposo.  
Le speranze di consolidare una posizione economica agiata, promesse dalle condizioni di un paese in grande fermento, sono presto frustrate e la famiglia è prima costretta ad una condizione di ristrettezza, quindi alla disperazione sopraggiunta con il decesso del capofamiglia nel 1906. 
La bambina è ormai una ragazzina di 14 anni e l’elegante madre  che aveva lasciato l’insegnamento del canto e della recitazione per aiutare gli ultimi tentativi imprenditoriali del marito, riesce ad aprire un caffè a Rosario. 
Alfonsina, che dava già l’impressione di avere una personalità estrosa, coltivata da un carattere esuberante e volitivo, è chiamata a collaborare servendo ai tavoli. 
Presto però la sua inquietudine le fa scegliere il lavoro in fabbrica dove apprende gli ideali socialisti e ne diventa simpatizzante. 


Manifesto del film diretto da Kurt Land nel 1957 e presentato al Festival di Berlino


Già da qualche anno i suoi quaderni portano traccia di quella che sarà la sua vocazione per tutta la vita: la poesia. Insieme a questo, nella giovinetta si  manifesta l’attitudine per la recitazione, tanto che viene ingaggiata da una compagnia teatrale  portando in giro per il paese diverse opere di autori contemporanei. 
L’esperienza continua per un’intera stagione dopodiché Alfonsina viene iscritta ad una scuola magistrale che conclude con successo per iniziare subito dopo la carriera di insegnante. 
Ma anche questa parentesi si chiude con il suo precipitoso trasferimento a Buenos Aires, a causa di una gravidanza da cui nascerà un figlio riconosciuto solo da lei. I tempi tornano a farsi duri: prima cassiera in una farmacia, quindi impiegata in una ditta commerciale. 
L’ultimo datore di lavoro però non accettava che la sua dipendente fosse impegnata sul fronte letterario, chiamandola ad una scelta:  il posto di lavoro o la poesia che nel frattempo aveva dato il suo primo frutto con la pubblicazione di una raccolta di versi.



Naturalmente la natura intrepida della poetessa ha prevalso e da quel momento Alfonsina si impegna a vivere della sua poesia, collaborando  con diversi periodici e con il quotidiano La Nacion, diventando direttrice di un collegio e creando una classe di recitazione, quindi occupando la cattedra di letteratura spagnola presso il Conservatorio.
Nel 1920 la sua attività poetica raccoglie i primi consensi critici ed i primi premi che la faranno diventare una personalità di spicco nell’ambiente intellettuale di Buenos Aires.
Da allora, il suo personaggio prende le forme tipologiche di una creatura femminile che   Ibsen avrebbe inserito senza esitazione nella sua galleria di donne ribelli, per la vitalità con cui ha insistito nella sua passione poetica, soprattutto negli anni in cui questo gli è costato un duro prezzo.
A Lei la poesia arriva dal dolore di vivere, seguendo le scosse di una vicenda biografica che ha trasformato la soave intimità domestica dei suoi primi versi, nelle tinte purpuree di una intensa sensualità fisica ed intellettuale. 



Il suo cuore tormentato era abitato dalla tragedia ma questo non gli ha impedito di amare la musica ed il canto, di farle vivere le illusioni e le disillusioni della vita sentimentale fino in fondo, ancorché trafitta da una grazia nostalgica che ricorda per certi versi quella della misteriosa eroina del tango che il poeta Homero Manzi ha chiamato Malena
Nelle raccolte poetiche di Alfonsina il tango è sfiorato in un incontro dove ce o fa immaginare in un tramonto autunnale, mentre il Puente Alsina si piega come un gigantesco bandoneon, mentre al  ritmo di questa musica si danza tra le chiatte del Riachuelo lasciando fili di sangue in quelle acque velenose, contorcendo il proprio pianto ossessionato (Danzon Porteno, 1938). 
Già da qualche anno la poetessa aveva accelerato l’intensità del suo vivere, un’ansiosa voracità che ritroviamo come una cartina di tornasole nel febbrile sforzo di permanente rinnovamento del suo stile, come se il presentimento di una fine imminente pesasse sui suoi giorni.


Questa intraprendenza sempre più intensa ha avuto come risvolto un affaticamento emotivo che ha scavato con la sua oscura azione, nella ipersensibilità del suo sistema nervoso portandola sull’orlo della nevrosi. 
Se da tutte queste vicissitudini Alfonsina è uscita grazie al suo temperamento formidabile, nel 1935 è accaduto un fatto sconvolgente la segnerà per il breve periodo che gli resterà da vivere.
Il cancro al seno l’aveva colpita, espandendosi in metastasi e trasformando i lugubri presentimenti  in una sensazione palpabile, un viatico reale e quotidiano.
Ancor più di prima i suoi versi si lasceranno visitare e smuovere dalla vita nella propria grandiosa incertezza, nella potenza della sua fragilità, ma non si ridurranno mai ad una semplice forma di abbandono mimetico, o di resa descrittiva alle cose.
Non scivoleranno mai nella cronaca, non  si faranno preda del grigiore atonico della pena reale: capteranno la vita in movimento nello specchio profondo della propria intimità ,distante dal puro gioco rifrattivo delle apparenze.
Così, l’esplorazione serrata e paziente di Alfonsina, invita a riconoscere i ritmi del suo essere; le sue onde e i suoi attriti nelle  cadenze ad inganno che,  forzando i confini o la prigione dei sensi, regolano la sua ansia di un imprendibile altrove .
Di fronte al carattere contrappuntistico dei suoi sentimenti, irrigiditi e sciolti a turno in una sete di pienezza possibile, il suo sguardo mobile si farà espressione di un’anima liquida in cui sentiamo si agita quel mare a cui deciderà di donare l’ultima scena della sua esistenza.



Sarà nel 1938, l’anno più tragico per la letteratura argentina: ai suicidi degli scrittori  Horacio Quiroga e Leopoldo Lugenes, si aggiungeva quello di  Alfonsina Storni.
E’ successo in una giornata primaverile alla fine del mese di ottobre, dopo aver lasciato nella sua stanza un biglietto su cui era scritta una breve frase: “me arrojo al mar”.
Alfonsina aveva camminato nelle acque marine di Mar del Plata, fintanto che queste non le hanno preso la vita.


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