Le pagine inaspettate di Cortázar


Oggi Aurora Bernárdez ha novantadue anni, trascorsi al fianco della letteratura  nell’occuparsi di quel delicatissimo lavoro che è inerente alla traduzione. Tra le sue mani sono passati libri di autori straordinari quali i francesi Gustave Flaubert, Albert Camus, Jean-Paul SaRtre,  o gli anglosassoni Lawrence Durrell e William Faulkner.

Aurora e Julio

Tra i tanti altri anche Italo Calvino, carissimo amico del marito Julio Cortázar che lo scrittore piemontese (anche se nato a La Habana)aveva definito come un “hombre que sabía fundir maravillosamente sus exquisitas dotes humanas con una proeza literaria que yo calificaría de única … formidable observador crítico del mundo contemporáneo", suggerendo a Einaudi la pubblicazione del suo Bestiario avvenuta nel 1965.  
Aurora era stata la prima moglie di Julio che ha sposato nel 1953 e alla scomparsa dello scrittore, nel febbraio del 1984, ha utilizzato i diritti ricevuti dall’essere stata designata erede universale, custodendo l’opera e curando le pubblicazioni postume, tra cui una raccolta della sua copiosa corrispondenza. 
L’amicizia aveva continuato a legarli anche dopo la separazione, tanto che alla morte della terza moglie nordamericana, avvenuta nel novembre del 1982, Aurora si è trasferita nella casa di Julio  per aiutarlo nelle cose pratiche. La sua compagnia è stata fondamentale specialmente per alleviare le pene della depressione che si univano a quelle della leucemia. La cura effimera che poteva offrirgli era la conversazione indirizzata alle cose che Julio amava, la boxe, il jazz, la letteratura.
E fu così fino all'ultimo giorno di vita e all’ultimo viaggio verso il cimitero di Montparnasse dove Julio si è ricongiunto con l’amata Carol Dunlop anch'essa scomparsa a causa di una leucemia a trentasei anni.

  Carol e Julio

Con Carol aveva scritto a quattro mani il diario di un viaggio durato più di un mese e vissuto tra tutte le scomodità di un pulmino Wolkswagen, senza mai uscire dall'autostrada che collega Parigi a Marsiglia: Los autonautas de la cosmopista, estremo saluto alla vita dei due innamorati.




Tornando alle pubblicazioni postume, bisogna sottolineare che Cortázar ha letteralmente bruciato tutto il materiale reputato inadatto alla pubblicazione, come nel caso del suo primo racconto giovanile di oltre 500 pagine e intitolato "Las nubes y el arquero".
Per questo si può facilmente desumere che non siamo di fronte ad un ulteriore caso Kafka perché tutto l'archivio salvato dall’autore ha avuto, per così dire, la sua approvazione ad una eventuale pubblicazione, autorizzando la sua erede a promuovere nuove iniziative editoriali in tal senso.




Trafficando per riordinare il cumulo di carte sparse lasciate nello studio di Cortázar al numero 4 di Rue Martel, nel 10°arrondissement,  ma già affidate alla Fundación Juan March (Castelló, 77. Madrid), Aurora ha aperto le cinque casse nella quale era disordinatamente conservato un tesoretto letterario.
Una consistente selezione di questo materiale trovato poco prima del Natale 2006 è confluita nel libro Papeles inesperados, curato insieme ad un esperto di Cortázar come il catalano Carles Álvarez Garriga e pubblicato per Alfaguara nel 2009.


Ora la Einaudi, sempre seguendo le indicazioni di Aurora che hanno imposto un taglio dell’originale in tutte le edizioni tradotte, ci fa trovare sugli scaffali delle librerie questo sorprendente volume che in italiano riprende il titolo originale, traducendolo alla lettera: “Carte inaspettate”. Il volume in brossura si presenta con una impenetrabile copertina violacea, quando l’originale vedeva un poetico ritratto fotografico in bianco e nero di Cortázar, scattato da Antonio Gálvez nel  1971 sul Pont Neuf parigino che, come sarebbe potuto accadere in uno dei fantasiosi divertissement di Julio, è il più antico della città (ce lo ricorda Queneau in uno dei suoi quiz sui misteri parigini, apparsi negli anni ’30 sulle pagine di un’importante quotidiano dell’epoca,  L’Intransigeant.   




La prima considerazione è che la raccolta non è da prendere come un’antologia di pagine scartate e quindi di  valore poco significativo, ma piuttosto come un immenso, eterogeneo e solforico  almanacco che nel complesso forma un collage di testi vertiginosi esattamente come quelli che tutti noi cortazariani amiamo.

            
Infatti, durante e dopo la lettura, viene spontaneo chiedersi  perché queste pagine non hanno trovato posto in uno dei libri che Julio ha pubblicato in vita, soprattutto quelle inerenti a capitoli o racconti stralciati dalle edizioni conosciute.
Per suggerire un orientamento che avesse coerenza tematica, operazione sempre delicata quando si è di fronte a Cortázar, il volume è diviso in gruppi tra prose, scritti di varia natura, interviste allo specchio che riprendono un’idea di Truman Capote e poemi. Forse quest'ultima è la modalità d’espressione meno felice nell’opera di questo autore, seppure tutta la suo corpus letterario abbia l'evidente legame con un poeta: John Keats, da lui stesso mirabilmente tradotto in castigliano.




Quello che traspare è sicuramente il piacere infantile di Cortázar nell’utilizzare l’humor, gli scherzi, i giochi, il dialogo assurdo, catapultando tutto questo in una realtà parallela, impastando la vita con la farina immaginaria di un fantastico su cui aleggia l’ombra di Edgar Allan Poe (…anche lui, come Keats, tradotto da Julio negli anni cinquanta).


In questo sorprendente incrocio tra il reale e le circostanze irrazionali che lo turbano, i testi risultano accompagnati da una musica nutrita di visioni e di una costellazione metaforica che impreziosisce ogni osservazione del quotidiano, rendendo anche il più banale spazio domestico a suo modo  sorprendentemente confinante con un’ignota metafisica.
Quest'ultima a volte riesce ad essere inquietante nel suo degenerare in  sostanza d’angoscia imprevedibile, inspiegabile,  irrimediabile.
Attraverso questa coscienza, la realtà è come pulita dal suo velo di noia e abitudine che ci impedisce di vederne la bellezza, la profondità e il mistero, suggerendoci che solo dall’invisibile può nascere ogni piccola e grande felicità del visibile.

            
Tuttavia, la scrittura di Cortázar non resta sospesa tra realtà ed immaginazione come in altri scrittori dell’America Latina ma segue quell’intuizione di William Burroughs per cui lo scrivere è prima di tutto un cerimoniale magico. Nel caso di Julio lo stilema più comune è quello della descrizione di un episodio all’apparenza di banale irrilevanza che all’improvviso scopre la sua piega immateriale, facendo dissolve tra le dita il reale in una metamorfosi che spariglia l’ordine delle cose.



Come per incanto da una riga all’altra Cortázar è capace di trascinare la narrazione nel campo del reale trascendente, quello che resistendo ad ogni tentativo di simbolizzazione, si oppone alla realtà prosaica, standardizzata, inautentica aprendo un varco nello psicologico. Questo accade anche quando sono in gioco i sentimenti dei suoi personaggi più realistici, riportati sulla pagina secondo una verità nutrita di dubbi, in un controluce  enigmatico che lascia spazio ad un’eventuale lettura alternativa. E' il suo modo di esprimere il concetto strutturalista di opera aperta, conseguenza della sua teoria che ha come tesi il "sentimento del non esserci del tutto".



Con l’eloquenza di uno stile prezioso fin nei dettagli più sfumati, viene quindi proposta la possibilità di una doppia natura delle cose, dimostrando nell’osservazione di questo plesso nevralgico come la letteratura abbia sete di un lato oscuro, e come questo possa risultare altrettanto essenziale dell’esigenza di esattezza.



Oggi giorno è molto difficile incontrare un’orchestrazione retorica così sfolgorante, visti i risultati di una narrativa contemporanea colpita da una specie di sterilità che ne compromette anche la minima vibrazione, mostrandosi insensibile a qualsivoglia preoccupazione linguistica.
In Cortázar troviamo la testimonianza della sua profonda passione  per una scrittura estetica che non orienta levigate spirali linguistiche per adornare in maniera barocca i testi, bensì costituisce un elemento intrinseco nel meccanismo avvolgente della trama narrativa: ha quindi una sorta di natura biologica che si esprime con il medium letterario.  



Questa capacità armoniosa germoglia i suoi caleidoscopi anche negli sketch di fulminea brevità, tenendo sempre alto il pathos emozionale della lettura, indifferentemente, sia per i meno preparati  lettori di provincia, che per la ristretta elitè  dei più disincantati mandarini della critica.



Il tono prende un’altra piega, restando altrettanto lucido ed efficace, quando l’argomento tocca il tema politico che lo vede schierarsi al fianco del Nicaragua sandinista o di Cuba che per lui equivalse ad un cammino di Damasco.
A volte la sua militanza ispira anche alcuni versi come quelli dedicati al suo "fratello" Che Guevara, in seguito messi in musica dal compositore cubano Pablo Milanès:
«Avevo un fratello. Non ci siamo mai visti, ma non importava. Avevo un fratello che andava per i monti mentre io dormivo. Lo amai a modo mio. Gli rubai la voce, libera come l'acqua. Camminai a tratti vicino alla sua ombra. Non ci siamo mai visti, ma non importava. Mio fratello sveglio, mentre io dormivo. Mio fratello che mostra, al di là della notte, la sua stella prescelta.»


Qui, seppur  il lato ideologico vinca, è come se il suo istinto estetico lo chiamasse a mettere tutto in equilibrio per conciliare l’autonomia della letteratura con la natura dell'impegno e la questione rivoluzionaria.
A questo proposito riprendere un passaggio del suo discorso fatto nal 1983 a Managua è illuminante: “el compromiso del escritor es esencialmente el de la literatura, y que ésta sólo incide de veras en un proceso liberador cuando a su vez funciona como revolución literaria, entendiendo por esto cosas tales como la experimentación, invención, destrucción de ídolos, actos zen de la escritura que sacudan al lector lo den vuelta como un guante”.



Per gli italiani appassionati del tango, c’è da dire che purtroppo Aurora ha deciso di mutilare la versione einaudiana di un capitolo intitolato “Para presentar Susana Rinaldi”, dedicato ad una delle più significative voci femminili di tutta la storia di questa musica.
Dall’altro lato resta un mistero rispetto ad un racconto di straordinaria leggerezza ed ironia, che porta in testa la dicitura Al Signor De Caro e che figura nella prima parte narrativa. Tutto sembrerebbe far pensare che si tratti del grande Julio, violinista ma soprattutto artefice della prima grande evoluzione del tango che attraverso Troilo e Pugliese è giunta a farsi avanguardia nelle mani di Piazzolla. Infatti il tema del racconto è imperniato sui violinisti e non è il caso di dire come, anticipando la bizzarra e preoccupante contingenza in cui questi si vengono a trovare.



Per finire dall’inizio, credo che Aurora sia stata molto felice di leggere la nota introduttiva scritta per l’edizione italiana da Antonio Tabucchi con la consueta finezza di argomentazioni.
A noi fruitori finali, Aurora ha regalato la felicità tutta mentale di trovare la stessa freschezza del Cortázar che ci invitava a liberare l’immaginazione, giocare con l’insensato e lo stravagante, per farci riprendere quelle piccole gioie che, oggi ancor più che ieri, sembrano essere finite ai margini delle nostre vite. 

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