L’Estro armonico e l'estro melodico
Programma di sala scritto per la stagione 2011/12 del Teatro Regio di Torino
Accoppiare Antonio Vivaldi ed Astor Piazzolla, eterogenei per epoca, linguaggio e cultura, è una fantasia ricorrente tra i direttori artistici che cercano di rispondere alla annosa querelle sulla stagnazione dei programmi proposti nelle stagioni di concerti, operando qualche strappo ai copioni che si ripetono sin troppo mimetici.
Lo spunto che legittima questa scelta, è sempre fatalmente ricaduto sull’abbinamento di due spettacolari scrigni magici, nei quali luccicano le pagine che i due autori hanno dedicato alle quattro stagioni.
Nella circostanza di questa serata si va con curiosità oltre a questa nuance dejà vu, mettendone in rilievo un’altra, questa volta complementare e più intrinseca alla materia musicale ed all’estro con cui i due autori l’hanno approfondita.
Mentre Vivaldi esalta con una brillantezza fertile e visionaria l’aspetto dell’estro armonico, esplorando con inesausto piacere combinatorio la sovrapposizione delle parti strumentali per manipolarle con un sottile gioco di torsioni, Piazzolla recupera, attraverso la tradizione del tango fortemente legata al lirismo del bel canto, quell’estro melodico che il secolo breve sembrava aver smarrito o relegato ai fragili bozzetti della forma canzone.
L’estro armonico e l’estro melodico quindi. Il primo coniugato con l’impeto gioioso del virtuosismo barocco in cui si percepiscono i primi sintomi di un esprit romantique che era ancora lontano a venire; il secondo declinato con il linguaggio del “nuevo tango” in cui Piazzolla si era volontariamente esiliato per riformulare il genius loci della musica rioplatense con influenze classiche, jazzistiche e persino ebraiche.
Tra i dodici concerti che figurano nell’op.3 di Vivaldi, battezzata con orgoglio L’Estro Armonico, il programma della serata prevede il n°10, in cui la tessitura orchestrale è assistita da una scrittura secondo cui tutte le parti agiscono autonomamente in un il prisma: qui la rete armonica e il suo contrappunto di suoni contrari, dispone di un catalogo con molteplici soluzioni, comprendendo fugati, scambi di parti in relazione motivica, elaborazione di nuclei tematici e variazioni.
Il caso fu così eclatante da impressionare Johan Sebastian Bach al punto da spingerlo a trascriverlo nel 1735 (BWV 1065), assegnando le parti dei quattro violini protagonisti nell’originale ad altrettanti cembali ed abbassando la tonalità dal Si minore al La minore.
Secondo la consuetudine delle composizioni del Prete Rosso, anche questo concerto è suddiviso in tre tempi in cui il primo ed il terzo si sviluppano grandiosamente su una trama di effervescente vitalità ritmica con tanto di acrobazie violinistiche, mentre quello centrale custodisce nel suo tempo largo la sorprendente immobilità di una miracolosa materia sonora che moltiplica le sue traiettorie armoniche, attraverso la preziosa geometria delle articolazioni a cui sono chiamati i solisti.
Se è ancora innegabile un vocabolario che rivela trasparenti reminiscenze corelliane, in questo lavoro per certi versi ancora ibrido, Vivaldi svela che la sua creatività si sta liberando, iniettando nell’opera quella visione personale che segnerà l’avvenire della forma concertante.
Mentre L‘Estro Armonico è stato progettato a priori con una architettura simmetrica secondo gruppi ognuno di tre concerti con organici diversi ma ripetuti nelle quattro sezioni, la raccolta delle Cuatro Estaciones Porteñas è stata immaginata da Piazzolla solo dopo che nel 1964 Verano Porteño veniva scritto per la pièce teatrale 'Melenita de Oro' di Alberto Rodríguez Muñoz: a completare il quadro arrivarono Otoño Porteño (1969), Primavera Porteña (1970),Invierno Porteño (1970).
Ognuna di queste pagine originariamente pensate per il quintetto in cui Piazzolla stesso suonava il bandoneon, è stata sottoposta a svariati arrangiamenti con i più diversi organici per essere diffusa in tutto il mondo, seguendo il desiderio del musicista marplatense di essere eseguito al di fuori del suo paese.Desiderio condiviso con Vivaldi che proprio attraverso l’Estro Armonico (1711) si affacciò sulla scena internazionale, facendo pubblicare ad Amsterdam l’intero libro dalla “famosa mano” del tipografo Estienne Roger di Amsterdam, assicurandosi la diffusione e la fama internazionale presso i compositori ma, soprattutto, presso i numerosi “dilettanti” avidi di nuova musica da eseguire.
Proseguendo il lavoro iniziato nel 1964 per completare un progetto che sicuramente si ispirava a quello delle stagioni vivaldiane, Piazzolla utilizza con squisita sapienza alcuni frammenti ricavati dall’insigne veneziano, trasfigurandoli ed immergendoli in una sostanza melodica che resta assolutamente immutata anche nella versione per violino ed orchestra d’archi.
Ognuno di questi brani è una sorta di sintetico concerto in cui alle parti cadenzate da cellule ritmiche strettamente derivate dal tango tradizionale, con un fraseggio in cui una veemente tensione ripudia i colori pastello, si alternano parentesi in cui il ritmo si fa largo se non evanescente ed è ingemmato dai rapinosi, palpitanti e felicissimi doni dell’estro melodico piazzolliano che, anche nel lasso di poche battute, riesce a raggiungere la sfera più profonda e sensibile di chi ascolta.
Per tutti questi motivi, un viaggio nel tempo e nello spazio tra l’estro armonico di Vivaldi e l’estro melodico di Piazzolla, con i suoi momenti leggeri o vischiosi, estroversi o intimi, spavaldi o sentimentali, promette l’incantesimo di conquistare anche i cuori meno disposti all’abbandono.
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