L’Argentina si riprende il suo petrolio



Non se ne può proprio più delle imprese e della finanza mondiale che, al di sopra degli stati e dei cittadini, fanno ciò che vogliono difendendo questo rapporto tra loro e la società civile come l’unico corretto e possibile in quanto produce ricchezza.

Per una volta assistiamo a qualcuno che non ci sta più a farsi calpestare da queste regole, è una donna e presiede uno stato: Cristina Fernandez Kirchner presidentessa dell’Argentina. In poche parole, la società petrolifera spagnola Repsol voleva cedere alla compagnia di stato cinese Sinopec la Ypf, gioiello dello stato Argentino che si era aggiudicato per soli 15 miliardi di dollari all’epoca delle sconsiderate privatizzazioni menemiane.

Di fronte a questo e senza esitare la Kirchner ha rinazionalizzato il petrolio ed il gas della Ypf che la Repsol ha progressivamente depauperato secondo quando giurano gli argentini. Come ha fatto? Espropriando il pacchetto azionario della holding spagnola e per questo attirando le severe condanne della UE, dell’Inghilterra e di molti altri paesi, nonché gli strali dell’Economist scandalizzato per il peccato imperdonabile commesso dalla Presidentessa: la nazionalizzazione. In aggiunta non si sa se e quando il governo argentino rimborserà le azioni requisite.

Per questo è stata accesa immediatamente una guerra commerciale, da alcuni paesi UE, contro l’Argentina accusata di aver preso una decisione unilaterale e arbitraria. Il concetto che emerge da questo comportamento fuori dalle righe, se misurato nello standard del contesto internazionale, è che nessuno ha il diritto di vendere qualcosa contro gli interessi dello stato in cui hanno sede le attività in vendita: in questo caso, come in molte situazioni analoghe, il diritto alla proprietà e al commercio ha degli obblighi che i custodi autonominati del capitalismo globalizzato non vogliono rispettare.

Il caso di Cristina Fernandez Kirchner segue l’esempio venezuelano di Chavez e quello boliviano di Morales, inquadrandosi in una fase internazionale dove le critiche al modello neo liberista sono diffuse ed in forte crescita: il movimento No Occupy, la proposta di tassare i milionari fatta da Warren Buffet e accolta da Obama, gli Ingdignados spagnoli, i No Tav, la rivoluzione nei paesi nord africani.

Ma nello specifico il suo messaggio è diretto a tutte le imprese globalizzate che fanno affari senza tenere conto delle loro responsabilità economiche e sociali: attenzione perché rischiate grosso. La più grave e visibile mancanza della Repsol è stata quella di non rispettare il patto che la chiamava a garantire le forniture interne, chiamando il governo ad importazioni costosissime (9 miliardi di dollari nel 2011 e presumibilmente 12 per l’anno in corso).

C’è da precisare che la rinazionalizzazione gli idrocarburi non significherà la loro statalizzazione ma la ripresa del loro controllo, continuando ad offrirli seguendo le regole dell’impresa privata. La cosa più assurda è che oggi il senatore Carlos Menem, artefice delle più selvagge privatizzazioni, sostiene con convinzione questo provvedimento che ha legittimamente risvegliato l’orgoglio nazionale degli argentini.

Sul tema il Movimento Evita si è espresso con chiarezza a favore dell’esproprio dicendo che “il petrolio non può continuare ad essere una variabile speculativa gestita dalle multinazionali di turno; Repsol ha smesso di investire nel nostro paese da dieci anni, trasferendo in Europa gli utili del commercio petrolifero argentino, come nella migliore tradizione coloniale”.

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