TANGO, METAFISICO E FISICO



Il Tango è l’emissario di Dei sconosciuti e benevoli che gli hanno affidato una missione da compiere. Per aiutarlo nell’impresa gli hanno fornito due armi metafisiche come la musica e la poesia e due armi fisiche come il canto e il ballo. Il laboratorio durato più di un secolo lo ha visto crescere, perfezionarsi, naufragare come un’ombra perduta nel nulla e rinascere, ma sempre nel materno grembo del Mar del Plata, in una grande metropoli come Buenos Aires e in una grande città come Montevideo. La ricerca continua che ha interessato le varie stagioni del Tango, sia con svolte impercettibili che con vere e proprie cesure epocali, ha trovato sempre un oltre senza divenire altro. Mentre il tempo procede e processa, avanza e aggroviglia, lacera e ricuce, preme e imprime, svelle e radica, forma e trasforma, il Tango scruta e assiste, perde e ritrova, subisce e ribadisce, scarta ed elegge, ignora e inventa, manipola e manomette nel segno della musica, della materia danzante e della poesia.  All’inizio degli anni ottanta del ventesimo secolo, il Tango è stato mandato per la seconda volta in giro nel mondo, come un Ermes che seduce e sfugge alla presa, incanta e guizza altrove, iniziando a preparare il terreno propizio ad accogliere la sua natura popolare fuori dai suoi confini storici. I suoi messaggeri erano riuniti in una compagnia avventurosa che aveva ballerini con le ali ai piedi e l’ispirazione nel cuore, un cantante con la voce roca e struggente come quella di certi nottambuli professionisti, un’orchestra che sapeva alzare negli spazi celesti le melodie che interpretava, appoggiandole con grazia sulle terrose increspature di un ritmo plastico. Da allora, e con una rapidità che nel terzo millennio è divenuta vertiginosa, il tango ha preso le sembianze del mito, contribuendo a far credere nell’utopia di un possibile recupero dell’armonia relazionale attraverso la pratica della sua danza, espandendosi nel mare senza fine del mondo, per giungere nei luoghi più imprevedibili del globo terraqueo. Certamente, alla luce notturna dei miti nulla è certo: ora il tango ci appare il regno del contrasto e della lotta, ora il trionfo del gioco e del riso, ora una logica impietosa del sacrificio, ora una sorta di danza intessuta d’aria e di veli. Ma proprio questo è l’insegnamento mitico: questa apertura del senso, questo vacillare delle certezze, questa violenza e questa dolcezza che è il modo stesso di manifestarsi degli dei in noi o tra di noi. Ora sappiamo che la missione affidatagli da quegli Dei sconosciuti e benevoli mirava a diffondere la terapia dell’abbraccio attraverso le affascinanti armi del ballo, ma anche la contemplazione auditiva attraverso la musica e la poesia risuonante nella lievità del canto. Ora, a tutte le latitudini e a tutti i venti notturni, milioni di anonimi messaggeri coltivano questo abbraccio e questo ascolto nella loro esperienza esistenziale, condividendo il miracolo armonicamente beneficio che questo comporta. Il Tango li ha invitati a vivere in una casa mobile dove la verità sulla sua natura popolare è poliforme ed immateriale, avendo il volto dello specchio che accetta o respinge in silenzio tutti i punti di vista che vi si riflettono, con la stessa luce irradiata da un sole invisibile: la nostalgia dell’unità. Così, suggestionati dalle atmosfere evocative della musica e della poesia, i corpi che si prestano alla sua danza si tengono assieme grazie a questa aspirazione quasi inconfessabile all’unità, proteggendosi nell’abbraccio da tutta la precarietà che si insinua nei loro movimenti, continuamente sottoposti a sequenze improvvisate e quindi sempre spesi su un bordo fragile. D’altronde, sappiamo come solo attraverso i miti, le loro aporie e i loro incanti, il nostro piccolo io può davvero trovare la forza di dischiudersi e di trascendersi. Ma c’è di più: precipitando nel cuore vivo di queste problematiche, il Tango, armato di costanza tenace, disperata e assidua, tiene insieme i lembi martoriati dell’umanismo contemporaneo. E, in questa circostanza, con il termine umanismo non bisogna pensare all’esaltazione retorica delle virtù prometeiche dell’uomo, bensì la coscienza della sua fragilità e della sua problematicità. Visto da questa prospettiva, sembra che il Tango si ponga in difesa dell’uomo come valore e contro tutto ciò che vorrebbe ridurre l’uomo a strumento, favorendo una delle ultime libertà che gli restano: costruirsi un’arte di vivere. Anche solo per questo, il Tango merita di essere annoverato tra le perle che figurano nel Patrimonio Cultural Inmaterial dell’umanità, così come ha deciso la commissione dell’UNESCO.                                          

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