Ricardo Piglia, e il silenzio stampa






La scomparsa di un autore curioso ma che ha lasciato fondamentalmente indifferenti editori, critici e pubblico italiano, è destinata  a passare sotto silenzio e i pochi lettori che ne hanno apprezzato le doti letterarie, finiscono per non saperlo o per apprenderlo casualmente da fonti d'informazione che non vengono consultate frequentemente. Così ho potuto apprendere della morte dello scrittore argentino Ricardo Piglia, perchè ho fortuitamente curiosato sul sito del quotidiano di Buenos Aires Clarin, proprio il giorno in cui veniva pubblicato il necrologio con la triste notizia. 




Il 6 gennaio di quest'anno, all'età di 75 anni, muore Ricardo Piglia, colpito da un arresto cardiaco, ma  già dal 2014 afflitto dal terrificante destino di subire la degenerazione di una Sclerosi Laterale Amiotrofica. Sono passati diversi giorni ma il mondo letterario italiano sembra non esserne ancora accorto: questa distrazione ci dice molto intorno alla completezza dell'informazione che viene proposta in Italia. Eppure l'autore è uno tra i principali tra i contemporanei nativi nel suo paese, tanto che sul Clarin si spingono a sostenere che lui è stato il riferimento della letteratura argentina degli ultimi quarant'anni.




Raccontata con una scrittura che da economica può improvvisamente assumere toni lirici, l'originalità dei suoi personaggi partecipa ad alle ossessioni stilistiche di una letteratura che lui stesso definisce come "forma privata dell'utopia".  Questa idea, lontano da essere il concetto chiave di un manifesto programmatico, è una sorta di promessa lanciata ai suoi lettori: il dono vischioso di minuscole utopie dal carattere ambiguo. In questo traspare quanto Borges abbia ispirato Piglia, nonostante Ricardo faccia dire ad un personaggio della sua prima novella ,("Respirazione artificiale", 1980) che Borges è il "massimo autore argentino del XIX secolo": alias, come scrollarsi di dosso un'ombra incombente e insuperabile. 





Contemporaneamente, l'ombra continua ad agire inscrivendo implacabilmente la narrativa di Piglia sotto l'ala del realismo magico borgesiano, però senza che questa ne diventi una parodia, perchè  coniugata riassumendo l'idea di Paul Eluard secondo cui "ci sono altri mondi ma sono tutti qui". Insomma non è la realtà a uccidere l'utopia ma al contrario è l'utopia ad uccidere la realtà. La sua brillante intelligenza lo ha fatto maestro di aforismi lucidissimi come questo: "Narrare è come giocare a poker: il segreto consiste nel sembrare falso mentre si dice la verità". 


Emilio Renzi...personaggio alter ego di Piglia


E così chiudiamo la nota con una battuta rilasciata durante una intervista rilasciata a Ivana Costa nel 2011, dove la giornalista chiedeva informazioni sul fatto che durante i suoi corsi tenuti alla Princeton University, approfondiva con gli studenti le letras de tango. E Ricardo rispondeva così: stiamo lavorando sulle parole dei tanghi come se fossero un gruppo di brevi racconti sulla vita di Buenos Aires dal 1917 (Mi noche triste) fino al 1956 (La ultima curda). Come se fossero i miti sopravvissuti di una civiltà perduta e a partire da questi ricostruire l'economia, le relazioni familiari, le forme politiche, le credenze religiose, la struttura dei sentimenti, l'uso del linguaggio, i modi del vestire, le forme della socializzazione, gli spazi e la geografia della città. Il risultato è una realtà abbastanza strana. Da questa uno comprende istantaneamente che le pratiche culturali non riflettono la realtà ma piuttosto la postulano. E in questo caso, costruiscono un mondo molto intenso e attraente.

Rciardo Paglia alla stazione del metro Constitucion a Buenos Aires (1980)

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