Miles ahead, dal vinile alla pellicola



I trombettisti di jazz, specie se accompagnati da una biografia sconcertante a da un'aura mitica, sembrano essere un soggetto interessante per i registi cinematografici che si muovono al di fuori del quadro delle grandi produzioni hollywoodiane. Così dopo il film su Chet Baker di cui è stato dato conto su questo blog, è arrivato quello su Miles Davis che l'attore afroamericano Don Cheadle ha realizzato per il suo debutto come regista, spendendo una somma inferiore ai 350 mila dollari racimolata con il crowdfunding. 



Purtroppo, come è accaduto per il film su Chet "Born to be blue", anche questo "Miles ahead" che negli Stati Uniti è circolato nel 2015 attraverso la Sony, non è stato distribuito in Italia e lo hanno potuto vedere solo gli spettatori del Biografilm di Bologna e del festival fiorentino "Immagini & suoni del mondo". Per Cheadle, la realizzazione di un film con un cast composto interamente da neri, ancora visto con una certa ostilità nel suo paese, e dopo avere superato l'ostacolo del via libera da parte della famiglia del trombettista di San Luis, è stata un'impresa impervia che il regista ha perseguito con ostinazione. 



E in ogni caso ha dovuto avvalersi di un attore bianco e quotato come Ewan Mc Gregor per quadrare il bilancio convincendo gli ultimi crowdfunders. Mc Gregor del resto ha vestito perfettamente i panni bisunti con cui è stato tratteggiato un pidocchioso e inesistente (nella realtà) giornalista free lance che collabora con la rivista Rolling Stone e cerca l'intervista della sua vita da un Miles che sta meditando il suo rientro sulle scene, dopo un quinquennio di assenza (1975-1979). L'uomo che trova non è uno stinco di santo: droga pesante, prostitute, ogni tipo di frequentazione sbagliata, una tumultuosa vita matrimoniale: tutto intervallato dalla disperata solitudine di un depresso, artisticamente svuotato da quasi trent'anni di gloria. 



La narrazione che segue la sua natura di fiction anche quando inserisce precisi dettagli documentali, può essere letta come un solido noir con il ritmo dell'action movie dove, come nell'opera su Chet, il protagonista è in una condizione disastrosa. Ma a differenza di Baker che non uscirà mai dalla spirale di droga e miseria in cui si è gettato, Davis tornerà ad essere una stella ancor più popolare di quanto lo fosse prima assicurandosi le grazie di un pubblico di ascoltatori quanto mai eterogeneo. 



Il film non arriva a questa verità con un finale felice, preferendo approfondire il disagio di Miles consumato nel sordido sottobosco di squallide periferie metropolitane. Andando avanti e indietro nel tempo la scrittura cinematografica di Cheadle mantiene nel montaggio una sorta di adrenalina brutale, riuscendo a evocare il linguaggio musicale del Miles elettrico. 



E' come se ogni taglio del montaggio fosse uno strappo contro la consequenzialità della trama ed al tempo stesso una riflessione sul jazz come espressione di una furia istintiva di natura animale: un primitivismo che annette alla caratura intellettuale del jazz, la forza viscerale del funk, della fusion e anche del pop. 



Se nei panni di Miles ci potevamo attendere la prova maiuscola di Cheadle, la grande sorpresa di questo documento bellissimo è stata proprio la qualità e la creatività con cui l'opera è stata impaginata cinematograficamente, facendo ricordare vagamente un regista con cui ha spesso collaborato: Steven Soderbergh. 



Quindi salutiamo un nuovo regista di talento affacciarsi tra gli outsiders del panorama nordamericano, con il coraggio di avvicinarsi ad una delle icone musicali del ventesimo secolo senza soggezione e quindi secondo quello che desiderava comunicare. Poi che delizia riascoltare in questo contesto alcune perle di Kind of Blue, il disco di jazz più venduto nella storia di questa musica. E a ragione.

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