Paradossi del graffitismo: Basquiat al Museo
L'energia incendiaria di Jean-Michel Basquiat, creatore di un'opera che protesta palesemente con le strutture che canalizzano l'arte, come lo sono i mercanti, i critici e i musei, è stata ormai digerita e divorata proprio da questi soggetti: quindi apparentemente spenta. E Basquiat si è reso complice dell'inatteso interesse che gli è stato rivolto, quando ha smesso l'enigmatico eteronimo SAMO con cui firmava i suoi lavori a bomboletta spray sui muri della sua città.
La sua vivacissima spontaneità si è trasferita su tutti i supporti adatti a coinvolgere il mercato dell'arte, diventando prodotti in serie che i mercanti hanno saputo trasformare in opere costosissime. E' legittimo? Certo, ed è anche una modalità ben conosciuta dagli artisti molti dei quali non immaginano, come senz'altro non poteva immaginare Basquiat, che una loro opera potrà essere un giorno essere venduta a 14.6 milioni di dollari: è accaduto attraverso l'esclusiva l'asta newyorkese di Sotheby's nel 2007, come a dire che quando c'è di mezzo il businness puoi essere afroamericano, latino, arabo, senza incorrere nei seri problemi razziali che hanno segnato e ancora segnano una convivenza mal accettata dai bianchi.
Nel caso di Basquiat, è da sottolineare che tra quelli che hanno "scommesso" (concetto ignobile, ma molto spesso utilizzato in queste circostanze) su di lui, ci sono anche due italiani: Emilio Mazzoli che porta per la prima volta le opere dell'artista nella sua galleria di Modena (1981) e la gallerista romana Annina Nosei trasferitasi prima a SoHo e quindi a Crosby Street.
Quindi l'interrogativo a cui è interessante rispondere è questo: quale influenza sulla qualità delle opere di Basquiat hanno avuto le pressioni dei mercanti affinchè la sua produzione si adeguasse a ritmi simili a quelli del lavoro industriale?
Mi sembra che per visitare una mostra come quella milanese del MUDEC, sia necessario partire proprio da queste riflessioni, cercando di guardare i circa 140 lavori esposti, consapevoli di avere di fronte al risultato di una piccola selezione delle opere dipinte convulsamente tra il 1980 e il 1988, data in cui l'eroina metterà il punto alla vita del ventottenne Basquiat.
Mi sembra che per visitare una mostra come quella milanese del MUDEC, sia necessario partire proprio da queste riflessioni, cercando di guardare i circa 140 lavori esposti, consapevoli di avere di fronte al risultato di una piccola selezione delle opere dipinte convulsamente tra il 1980 e il 1988, data in cui l'eroina metterà il punto alla vita del ventottenne Basquiat.
Provando a rispondere all'interrogativo posto, credo di poter dire che l'accanimento produttivo abbia fatto emergere in maniera ancora più nitida come il dipingere per Basquiat fosse una sorta di rendiconto biografico, dove prendono forma i suoi demoni interiori, incrociati con le sue ossessioni .
Insomma una sorta di seduta analitica per immagini, dove ricorrono l'anatomia, la musica, la fumettistica, i simboli come la corona a tre punte, la scrittura che anche attraverso semplici elenchi di parole, sposa il graffitismo con la poesia visuale europea (questo è il tema scelto per l'iconografia che compare in questa nota).
Ingorghi disordinati che compongono le immagini disorientanti dissacranti capaci di incantare Warhol e il suo ambiente della Factory. In questo ambiente cool e intimamente estraneo alla visceralità afro di Basquiat, nasce una ammirazione reciproca che ha legato i due artisti per qualche anno, anche con creazioni firmate congiuntamente,... i migliori anni prima dell'epilogo tragico quanto prevedibile...
Insomma una sorta di seduta analitica per immagini, dove ricorrono l'anatomia, la musica, la fumettistica, i simboli come la corona a tre punte, la scrittura che anche attraverso semplici elenchi di parole, sposa il graffitismo con la poesia visuale europea (questo è il tema scelto per l'iconografia che compare in questa nota).
Ingorghi disordinati che compongono le immagini disorientanti dissacranti capaci di incantare Warhol e il suo ambiente della Factory. In questo ambiente cool e intimamente estraneo alla visceralità afro di Basquiat, nasce una ammirazione reciproca che ha legato i due artisti per qualche anno, anche con creazioni firmate congiuntamente,... i migliori anni prima dell'epilogo tragico quanto prevedibile...
Immagini fortissime che tra l'affascinante disordine iconografico e grafologico, trasmettono una sofferta inquietudine, raccontata spesso con la tavolozza sgargiante evidente eredità della sua negritudine, come lo sono i ricorrenti riferimenti al jazz o a certi eroi della boxe. Per questo la mostra è il riassunto di una autobiografia in cui Basquiat usa l'arte come medium attraverso cui prendere la parola per essere ascoltato.
In definitiva, dovendo collocare quello le fulminanti visioni di Basquiat in una categoria dell'arte, sceglierei quella degli autoritratti: diversi come risultato estetico visibile, uguali come quadro psicologico originario, come tornando involontariamente a dichiarare la contemporaneità del celebre pensiero di Leonardo secondo cui "l'arte è cosa mentale".
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