Charlie Hebdo e gli ipocriti
Ho imparato per esperienza che quando tutti sostengono la stessa cosa, non è un buon segno. Così provando a riflettere sulla manifestazione che oggi ha unito in piazza oltre tre milioni di parigini, mi sono convinto che questa giornata di lutto è stat trasformata nel trionfo dell'ipocrisia politica: come si può definire in un altro modo la marcia parigina dove i capofila erano i compiaciuti protagonisti della peggiore politica internazionale.
E anche i meno peggio hanno orgogliosamente accettato di figurare fianco a fianco con neoliberisti (Sarkosy e il suo clone Valls), con ultraconservatori (Cameron), con burattinai dell'evasione fiscale europea (Junker), neofranchisti (Rajoy), con liquidatori della sinistra (Holland), con illusionisti di panno lenci (Renzi), con marescialli in gonnella (Merkel), con nemici della libertà di stampa (Alì Bongo, Viktor Orban, Ahmet Davutoglu,...).
Non parliamo poi dell'ultradestra israeliana (Natanyaou), invitata formalmente dal governo socialista che invece ha snobbato una signora che aspettava con impazienza l'invito (Marie Le Pen) e che poi si è arrangiata da sola organizzandosi i suoi defilè in varie città. Credo che una volta contenuta l'emozione per la tragedia a origine di questa mobilitazione, una parte dei tantissimi ingenui, appassionati, commossi partecipanti capiranno di essere stati coinvolti in un gesto manipolato senza pudore dal potere politico, che attraverso suoi organi mediatici ha immediatamente creato la spettacolarizzazione debordiana, fino al più azzeccato degli slogan possibili: "Je suis Charlie".
Di questa opinione è anche Luz, uno dei disegnatori della rivista. In una intervista su "Les inrocks", Luz sostiene che le manifestazioni che sono seguite alla strage sono un contro senso rispetto allo spirito di Charlie e che lo slogan è divenuto un simbolo laddove Charlie si è sempre battuta contro i simboli e i tabù: ancor di più quando la loro diffusione diventa utile ad Holland per coinvolgere la nazione o ancor più utile a Marie Le Pen per domandare la pena di morte. Di questa opinione sono stati anche i militanti di sinistra del Front de Gauche che non hanno avuto paura di lasciare la piazza ai soggetti che ne sono sempre stati estranei, organizzando una manifestazione alternativa che dice sì all'unione del popolo e no alla farsa dell'unità nazionale.
E anche i meno peggio hanno orgogliosamente accettato di figurare fianco a fianco con neoliberisti (Sarkosy e il suo clone Valls), con ultraconservatori (Cameron), con burattinai dell'evasione fiscale europea (Junker), neofranchisti (Rajoy), con liquidatori della sinistra (Holland), con illusionisti di panno lenci (Renzi), con marescialli in gonnella (Merkel), con nemici della libertà di stampa (Alì Bongo, Viktor Orban, Ahmet Davutoglu,...).
Non parliamo poi dell'ultradestra israeliana (Natanyaou), invitata formalmente dal governo socialista che invece ha snobbato una signora che aspettava con impazienza l'invito (Marie Le Pen) e che poi si è arrangiata da sola organizzandosi i suoi defilè in varie città. Credo che una volta contenuta l'emozione per la tragedia a origine di questa mobilitazione, una parte dei tantissimi ingenui, appassionati, commossi partecipanti capiranno di essere stati coinvolti in un gesto manipolato senza pudore dal potere politico, che attraverso suoi organi mediatici ha immediatamente creato la spettacolarizzazione debordiana, fino al più azzeccato degli slogan possibili: "Je suis Charlie".
Di questa opinione è anche Luz, uno dei disegnatori della rivista. In una intervista su "Les inrocks", Luz sostiene che le manifestazioni che sono seguite alla strage sono un contro senso rispetto allo spirito di Charlie e che lo slogan è divenuto un simbolo laddove Charlie si è sempre battuta contro i simboli e i tabù: ancor di più quando la loro diffusione diventa utile ad Holland per coinvolgere la nazione o ancor più utile a Marie Le Pen per domandare la pena di morte. Di questa opinione sono stati anche i militanti di sinistra del Front de Gauche che non hanno avuto paura di lasciare la piazza ai soggetti che ne sono sempre stati estranei, organizzando una manifestazione alternativa che dice sì all'unione del popolo e no alla farsa dell'unità nazionale.
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