Amici di JC 8: Amparo Dávila,

Quando Julio Cortazar ricevette il primo volume di racconti dalla poetessa messicana Amparo Dávila, non aveva ancora conosciuto personalmente l'autrice. 


Amparo Dávila

Il libro, intitolato Tiempo destrozado (1959), fu valutato come "eccellente" perchè in fondo si trattava di un'opera prima e quindi a Julio sembrava necessario mettere in evidenza le parti più riuscite, ma anche "ammirare la maestria e la tecnica mostrata in ogni pagina". Per giustificare l'impossibilità di raggiungere un livello costante ed alto, Cortazar sottolineando "la difficoltà di scrivere un racconto pienamente riuscito", confessa si salvare la qualità dei suoi stessi racconti in uno o due casi per libro.



Tuttavia, la conclusione della sua prima lettera ad Amparo Dávila, conferma il suo fortissimo legame con la letteratura latinoamericana spiegando che tutto ciò che gli "arriva dalle terre americane profuma profondamente di vita, di una realtà più primordiale e segreta". In seguito Cortazar sosterrà con sorpresa che l'autrice gli ricordava moltissimo Edgar Allan Poe, mentre lei gli rispondeva "te equivocas, no he podido leer Edgar Allan Poe porque me enfermo de colitis cuando lo intento". Julio non poteva crederci e per far convincere Amparo della sua tesi, le regalò la traduzione dei racconti di Poe che aveva fatto durante la luna di miele con Aurora Bernardez. D'altronde tra lui e la scrittrice messicana c'erano fondamentali questioni su cui fondare una solida amicizia come la passione per la letteratura e in special modo per i racconti, quella per il jazz e quella per i gatti. 


Julio Cortázar con il suo gatto TW Adorno


E il primo punto ain favore di questa futura amicizia fu proprio la lettura di Tiempo destrozado. L'autrice spiega che la prima parte di questo libro testimonia la sua esperienza di un'anestesia postoperatoria dove nei primi dei dodici episodi in cui è suddiviso, è raccontato "un immenso dolor, desarticulandose en el viento oscuro", mentre nei seguenti i sogni che turbavano il dormiveglia in cui l'anestesia l'aveva confinata. L'esperienza letteraria scaturisce quindi da un accadimento reale confermando il pensiero della Dávila sulla letteratura: "no creo en la literatura hecha a base de inteligencia pura o sola imaginaciçn, yo creo en la literatura vivencial, ya que esto, la vivencia, es lo que comunica a la obra la clara sensacion de lo conocido, de lo ya vivido, lo que hace que la obra perdure en la memoria y nel sentimiento". In effetti tutta la letteratura di Amparo è stata in qualche modo influenzata dalle condizioni esistenziali della sua gioventù trascorsa in una lugubre zona mineraria, ormai improduttiva e desolata. Nel suo minuscolo paese venivano sotterrati tutti i morti degli ancor più piccoli centri vicini che non avevano un loro cimitero e lei, ancora bambina, guardava dalla finestra lo spettacolo delle processioni quotidiane che seguono i feretri: l'unico spettacolo di un luogo dove di giorno non accadeva altro e al calar del sole poche ombre scure si aggiravano solitarie nelle strade buie. Questa vivida atmosfera di solitudine, sofferenza e morte resterà lo sfondo della "literatura vivencial" di Amparo Dávila.
   




In precedenza la Davila aveva pubblicato solamente poesie msditambonde e notturne in tre raccolte intitolate Salmo bajo la luna (1950), Meditaciones a la orilla del sueno (1954)e Perfil de soledad (1954), dove nelle prime due emerge una certa vicinanza al mondo religioso, mentre nella terza si fanno avanti alcuni temi cardinali per le atmosfere in cui navigano i suoi racconti: il sogno e la notte insonne che, cadendo come una pioggia sporca, invade lentamente lo spazio della creazione poetica. 





Dopo queste prime pubblicazioni la Dávila è incoraggiata dallo scrittore Alfonso Reyes, di cui è stata segretaria tra il 1956 e il 1958, a votare il proprio talento letterario alla narrativa. Inizia così la sua seconda tappa letteraria con qualche racconto sparso pubblicato su Letras Potosinas, Estaciones e la prestigiosa Revista Mexicana de Literatura che ospiterà in varie occasione testi Cortazar.





 Il talento che aveva intuito Reyes è espresso liberamente e sempre tenuto ai margini di qualsiasi gruppo letterario. La scrittrice lo ha usato con parsimonia non piegandosi mai ad esercitarlo quotidianamente come una "fria y rutinaria profesion" ma "como una larga y tersa pasiòn, hacia la cual he sido una amante uncostante, pero fiel". I suoi pochi libri nascevano quindi solo dopo aver elaborato lunghissime riflessioni. La Davila dice che il contesto in cui queste si trasformano in storie, "se reduce a mis preocupaciones fundamentales en la vida: el amor, la locura, l'angustia, la soledad y la muerte". Questi temi vengono inquadrati nella geometria di "un triangulo rarisimo". Qui, in una tranquilla quotidianità molto realistica di personaggi solitari che patiscono i tormenti del dolore, accade all'improvviso un fatto che li espone allo scatenarsi della sensazione terrorizzante di un evento fantastico. Con questo non si può inscrivere la letteratura della Dávila nel campo della letteratura fantastica che è fiorita splendidamente nel latinoamerica ma, piuttosto, in quella regione imperscrutabile che ricorda il clima claustrofobico di certe pagine kafkiane. A questo proposito l'autrice scrive: para mi la realidad, al igual que una moneda, tiene dos caras: la cara externa o transparente en donde todas las cosas que suceden pueden entenderse y explicarse, tienen sentido e una logica, y la cara interna, la mas intima y profunda, oscura y misteriosa donde a veces ocurren esas cosas extranas que no tienen explicacion ni logica, que no se pueden anclar ni comprender pero que suceden. Yo manejo estas dos caras de la realidad, voy y vengo de una a la otra facilmente". 





E la chiave per questo transito surreale è il più delle volte la follia, come in uno dei racconti prediletti da Cortazar dal titolo "La celda". La vicenda, inerente alla vita di una creatura anodina come il personaggio di Maria Canino, viene sviluppata su due livelli. Nel primo è un narratore che illustra la figura di questa pallida ragazza borghese in attesa di sposarsi con il suo promesso, ma affetta da un'insonnia costante e terrorizzata da un uomo immaginario che le fa visita. Nel secondo, aperto a sorpresa nell'ultimo paragrafo,  è proprio lei che parla dalla stanza di un ospedale psichiatrico, raccontando delle proprie paranoie e del suo delirio di persecuzione. 




Le sue parole addolorate, in alcuni casi ripetute ritmicamente come una coazione ossessiva, esprimono la sua necessita di fuggire da quel luogo gelido e dai suoi tormenti tra i quali, oltre al solito uomo che appare nella notte e che si presenta anche in ospedale, sono incluse anche le figure della madre, della sorella e del promesso che Maria  ucciderà qualche giorno prima del matrimonio. Entrambe i luoghi sono per la protagonista una "celda", vale a dire la cella della galera a cui la sua follia l'ha condannata e questa cella non è altro che la metafora della condizione di disagio con cui è inserita nella realtà. Ma, tra i trentadue racconti che formano il corpo della sua piccolissima fortuna letteraria, Amparo scelse El Entierro, inserito tra gli otto della raccolta Musica Concreta, come il più adatto ad essere dedicato agli amici Aurora e Julio Cortazar.

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