MEMORABILIA: TANGO Y GOTAN, NOTA DI COPERTINA





AL CANTO DI SIRENE NOTTURNE

Prima di scrivere le note che accompagnano questa raccolta di versi, canto e musica, declinati con il linguaggio del tango e le sue mille sfumature, ho esitato per un lungo tempo, nutrendo una sensazione di inadeguatezza di fronte ad un’opera così autosufficiente a spiegare la sua bellezza ed insieme a conservarne il mistero. Ascoltavo e riascoltavo le undici composizioni palpitando nel misurarmi con il loro enigma, spiando il loro offrirsi ed il loro sottrarsi, osservando con cautela il loro gioco alterno attraverso il quale tutto è ciò che è, ma anche altro, molto altro, tutt’altro come è alluso dal metaforico revés che compare nel titolo dell’album Tango y Gotán. La loro profonda e umana verità, sotto questa luce moltiplicata e diffratta, mi si manifestava attraverso il meccanismo di quelle imprevedibili apparizioni in movimento che attraversano senza sosta l’ispirazione di Horacio Ferrer. Lo ritrovavo, anche nei nuovissimi versi scritti per l’occasione, sempre refrattario ai toni orfici ed alle pose oracolari, sempre appassionante poeta di un tango uscito dai vincoli della memoria che lo ha trattenuto nel terreno biologico del ricordo; di un tango che parla al presente ed apre una breccia nel futuro; di un tango dalla sostanza aleatoria, centrifuga, eccedente ad ogni presa mentale: dono di pura bellezza scaturito da un esercizio infinito di invenzioni primaverili. Nel gorgo delle sue immagini puntuali, rivelatrici e arcane come emblemi, stemmi araldici, sogni alchemici, sentivo la sua tensione nel liberare risonanze di singolare intensità, fino a fare della propria partitura di segni un irriducibile labirinto di suggestioni. 

Ero ancora una volta rapito dai suoi profili di natura così diversa come l’autoritratto che, coincidendo con la sua idea di libertà nel celebre Libertango, proietta frammenti del vissuto sugli sfondi diversi del suo diorama esistenziale; quello del bimbo indigente di Chiquilín de Bachín girovago in una Buenos Aires contramano; quella di una silhouettes visionaria, come la Maria de Buenos Aires che si presenta in Yo soy Maria così forte, terrena e concreta ma anche languida e impalpabile quando la si immagina descritta da alcune frasi melodiche affidate alla sonorità soave  e penetrante del flauto che rimanda alle formazioni primitive del tango; quello del personaggio surreale che appare nella Balada para un Loco, inno vertiginoso in cui è colta l’intrinseca consonanza dell’amore con la natura ondosa e paradossale della follia. Ero affascinato da versi a me sconosciuti, messi in musica dal pianista e compositore Alberto Magnone senza sfigurare nell’intercalarsi con alcune tra le più conosciute pagine di quello Chopin con fueye che è stato Astor Piazzolla. A questo inimitabile artista è dedicato Astor, una traccia emozionante con la musica di Magnone ed uno straziante recitativo di Ferrer. La stessa tensione e lo stesso phatos mi catturavano ascoltando le composizioni che Magnone ha scritto per gli altri personaggi della galleria, presentandoci La rubia, una pobre rubia de arrabal con un estroverso accompagnamento di chitarre, e Los bailerinos , hypnoticos maestros che attraverso le cortine teatrali dei loro gesti esprimono tutto il fascino numinoso della bellezza sposata al movimento  e alla musica che lo ispira: qui l’atmosfera è invasa dall’aroma uruguayano portato dalle figurazioni ritmiche di una batteria. Magnone ha firmato anche due temi in cui è protagonista il tango: sono Tango y Gotán, che dà il titolo all’album ed è utilizzato come energico brano d’apertura, e Tango ritual , che sottolineando di essere tanto argentino quanto oriental, viene descritto come intelectual del fango cantor ma nell’esecuzione appare tutt’altro che prigioniero della ritualità di un codice. 


Nella stessa maniera mi sembravano originali le caratteristiche degli arrangiamenti curati da Magnone seguendo un criterio di varietà caleidoscopica, sostenuto da organici strumentali variabili sulla quale si appoggia l’elemento vocale anche in questo caso utilizzato con varie soluzioni tra le quali quella del recitativo in cui i versi di Ferrer ricordano con prudente insistenza come l’antica origine della poesia risieda nel canto. Per questo motivo la loro intrinseca musicalità regge anche quando non è sposata con la fluidità di una forma melodica: un caso emblematico che si segnala nella raccolta è quello di Poema en Si Mayor.  Qui, secondo quell’alchimia per cui il concetto di colore sembra impadronirsi dell’aria divenendo asemantica poesia sonora, la trasformazione del soffio poetico in voce acquisisce una tinta ritmica declinando versi dove è raccolta una vibrante dichiarazione che ricorda quanto la fenomenologia amorosa si alimenti delle sue stesse metamorfosi e come sia in pericolo quando perde lo slancio per compierne ulteriori. Comunque, malgrado le peripezie della vita, l’amore rimane quella offerta di fuoco che l’uomo può utilizzare per accendere le sue passioni più diverse, come quella per la madre tierra America celebrata con uno spirito campero nella metrica ternaria di La primera palabra  di Piazzolla-Ferrer. 


Ad interpretare questo vals è il personaggio che completa la triade di tangueros uruguayani protagonista del progetto e che mi è apparso sin dal primo ascolto il suo dono più sorprendente. Una sorpresa necessaria in quanto la qualità dell’interpretazione vocale è un requisito indispensabile per far risplendere musica e versi nella loro luce naturale o per ripercorrerne i momenti più crepuscolari addentrandosi senza esitazioni nelle loro ombre. Sto parlando di Ana Karina Rossi, cantante che sa coniugare gli slanci genuini del suo temperamento giovanile con uno spessore introspettivo ed un abbandono che moltissime sue colleghe hanno potuto esibire solo dopo tanti e tanti anni di palcoscenico. La sua voce padroneggia già una variopinta varietà timbrica che aggiunge senso musicale ai testi, intrecciando riverberi che assumono un valore significante suggerendoci la convinzione di quanto la cantante sappia stringere una corrispondenza intima con le parole di Ferrer e le melodie di Piazzolla e Magnone. In questo quadro, il fraseggio vocale è nitido ed articolato con personalità in uno stile, riflettendo l’aspirazione a tradurre le meditazioni intime e solenni contenute nei versi di Ferrer, in un’espressività canora  dai contorni elastici. Fortunati più di me gli ascoltatori che compiendo il piccolo viaggio in questo arcipelago di versi, musica, e canto di sirene notturne, si potranno limitare ad assaporarne l’armonica bellezza, abbandonandosi al puro fascino che si irradia da tutti i brani. A me è sembrato un compito insuperabile aggiungere parole ad un’opera che infine, anche dopo averla commentata, mi appare ancora irriducibile ad  altro da sé.
Franco Finocchiaro

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