SASA ILIC, CONTRABBASSISTA SMEMORATO



 

Filip Isaković è un contrabbassista quando viene arruolato come marinaio per combattere l’atroce guerra conclusasi con la dissoluzione della Jugoslavia. Ad attenderlo alla fine di quel tunnel drammatico una tremenda depressione che lo stava svuotando anche dei ricordi, facendolo finire in manicomio come tanti altri reduci. In questa disgrazia, a lui tocca la minuscola fortuna di essere destinato a Kovin, in un istituto guidato da un medico che sostenendo le teorie di Franco Basaglia resiste e si ribella insistendo nel coltivare le teorie antipsichiatriche del collega italiano. Saša Ilić tesse con raffinata sostanza letteraria questa vicenda, in cui la casa di cura dove lo stato ha confinato i militari abbandonandoli al loro penoso destino, è la metafora del declino di una civiltà. In un episodio particolarmente toccante della narrazione Ilić  accompagna il lettore all’interno di una seduta inerente al percorso di riabilitazione dell’ex marinaio contrabbassista. Un giorno Filip raggiunge l’ambulatorio dove si tengono regolarmente gli incontri con la dottoressa Sibinović che lo segue e, oltre alla psichiatra, nella stanza trova un vecchio contrabbasso appoggiato alla scrivania. Filip lo riconosce: è lo  strumento che suonava e che aveva comperato nel 2002 al Kontrabass-Atelier di Francoforte, accompagnato dal suo amico Darko, proprietario del Jazz Café Bar. Dopo aver ascoltato i dettagli che avevano permesso al paziente di identificare lo strumento, la dottoressa Sibinović solleva il contrabbasso iniziando a pizzicare le corde una per una di fronte a Filip che l’ascoltava pensando: “tutto ciò che si poteva sentire erano gemiti soffocati provenienti dall'interno di questo strumento che ormai per me era morto”. La dottoressa cercava di stimolarlo a ricordare e Filip inizia a raccontare: “quando ho maneggiato per la prima volta il mio futuro strumento, la mia sensazione era quella di un momento mistico di riconoscimento..era perfettamente dritto, la tastiera scivolava sotto le mie dita, le corde vibravano, la cordiera angolata era come nuova”. 

Saša Ilić

A questo punto la terapia prevede che Filip prenda tra le mani il contrabbasso che lui aveva battezzato Gasparo. Ed eccolo esternare  le emozioni che prova prestandosi a questo gesto: ”ancora una volta ho toccato le corde, prima una, poi tutte e quattro, senza pizzicare, lentamente, per assorbire ogni irregolarità sotto la punta delle dita. Avevo dimenticato quella sensazione che per me contava più della musica: stare con lo strumento e aspettare il momento in cui la musica dentro di me muovesse le mie dita”. Ma purtroppo in questa riunione con il suo strumento quel momento non arriva e, tra se e se, Filip si abbandona ad una osservazione conclusiva che è la più amara tra quelle possibili: “dentro di me non c'è più musica”. In quella notte l’indagine diagnostica sarebbe continuata come sempre con l’encefalogramma, indossando il buffo caschetto dal quale spuntavano elettrodi come tentacoli inumiditi da un materiale gelatinoso: tracciati frastagliati avrebbero corso come un fiume in piena sullo schermo del computer osservato dall’imperturbabile dottoressa Sibinović, segnando l’attività bioelettrica del suo cervello.


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