ALGERI - GAZA, I CICLI DELLA STORIA



Nato ad Algeri in una famiglia di poverissimi coloni francesi, Camus non era insensibile ai problemi dei nativi arabi e berberi oppressi da oltre un secolo di colonialismo, capendone e condividendone le aspirazioni autonomistiche dopo il fallimento di tutte le promesse di assimilazione con il diritto di cittadinanza e i diritti sociali mai realizzati.  Poche ore dopo aver ricevuto il Nobel nel dicembre del 1957, Camus sosteneva che nessuna causa merita il sacrificio di persone innocenti, dichiarando di condannare il terrore, la repressione e la tortura dei militari francesi e insieme condannare il terrorismo del Fronte idi Liberazione nazionale che agiva ciecamente nelle vie di Algeri. 



La sua ipotesi confermava quanto lo scrittore aveva detto in una concitata conferenza tenuta ai margini della casbah, in un luogo culto dell'islamismo: il Cercle du Progrés di Algeri. In quel gennaio del 1956, le parole di Camus si erano rivolte a sostegno di uno spirito di convivenza che valorizzasse la natura pluralistica di lingua, religione, cultura. Questa posizione lo condannò ad un isolamento drammatico con aspre contestazioni organizzate dai nazionalisti algerini, dalla sinistra francese schierata con il FLN e dagli organi ufficiali della Francia che non avevano alcuna intenzione di rivedere le proprie posizioni rispetto la colonia. Il suo appello per una tregua degli scontri efferati fu ignorato. Camus ritorna a Parigi il 25 gennaio, un giorno dopo della sua conferenza. 

                              


Un mese dopo, gli uomini del commando di Ali Khodja assassinarono nove viaggiatori sulla strada Sakamody; e il 18 maggio, lo stesso agguato a Palestro. Oltre alla morte, le vittime hanno subito stupri o mutilazioni. Camus è sopraffatto; il partito della Tregua è diventato quello dell'impotenza. Due anni dopo, torna sulla questione pubblicando "Actuelles III. Cronique Algériennes" in cui difende "l'unico futuro accettabile: quello in cui la Francia, sostenuta incondizionatamente dalle sue libertà, saprà fare giustizia, senza discriminazioni, né in una direzione né nell'altra, a tutte le comunità dell’Algeria. » La proposta non ha il minimo effetto.






Non assomiglia a quello che sta accadendo oggi tra Israele e la Palestina? La questione algerina ha raccolto una bibliografia ingente e anche qualche testimonianza cinematografica tra cui l’imbattibile film che vinse il Leone d’Oro a Venezia nel 1966: La battaglia di Algeri, in cui Gillo Pontevcorvo documenta sulla base dei verbali di polizia, cronache del tempo, discorsi delle alte cariche militari, posizioni dei politici dell’epoca.  




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