CARLA ACCARDI: L'IMPULSO VITALE DEL MONDO




"Il mio scopo è di rappresentare l'impulso vitale che è nel mondo" (Carla Accardi).

Carla Accardi è forse la più rappresentativa artista italiana del secolo scorso. Nel 1947, quando a ventitré anni si trasferisce a Roma, dove l'ambiente artistico postbellico era certamente vivace. Qui, frequentando l’Osteria Fratelli Menghi che era un crocevia frequentato da artisti, poeti, registi e scrittori, incontra una piccola colonia di artisti siciliani come lei che erano spinti dalle stesse opinioni estetiche. Il più noto era Renato Guttuso, a Roma da dieci anni, comunista militante e già pittore ufficiale del partito; ma dal ‘44 a Roma c’è anche Pietro Consagra, che Renato Guttuso ospita nel suo studio di Via Margutta, e c’è anche Antonio Sanfilippo, altro protagonista di quella stagione, che Carla ha conosciuto nelle sua precedente e breve tappa a Firenze e che che in seguito è diventato suo marito.

Il gruppo Forma 1:Consagra, Guerrini, Attardi, Accardi,Perilli, Sanfilippo, Dorazio

I giovani artisti ben presto formano il gruppo Forma Uno, illustrando le loro teorie in un manifesto iniziato nel marzo del '47, appena alcuni degli artisti che lo hanno firmato erano tornati da Parigi, dove Carla era andata alla Galerie di Place Vendome incontrando il suo direttore Michel Tapiè che in seguito sarà un punto di riferimento importante per la sua carriera. Il documento  è stato intitolato “Manifesto di Forma” dai firmatari: oltre alla Accardi e il suo futuro marito Antonio Sanfilippo, figurano Pietro Consagra, Achille Perilli, Giulio Turcato, Mino Guerrini Concetto Maugeri e Ugo Attardi. Sostanzialmente la linea del gruppo  che proponeva colori puri, linee rette, scomposizioni atte a rifondare un linguaggio, con un gesto di rottura rispetto all'estetica della pittura italiana coeva, prendendo definitivamente le distanze dal realismo di “Corrente” e della “Scuola romana”. 


Le loro opere erano volutamente prive di contenuti allegorici e psicologici, per sostenere il primato della forma e del segno, in una zona intermedia tra l'astrattismo e il realismo. A questo gli artisti di Forma aggiungevano la necessità di un impegno politico anche ideologico in rapporto all'espressione del linguaggio da trovare. Sono tutti militanti comunisti che rompono con Guttuso e le direttive del partito, dichiarandosi marxisti e formalisti. Il gruppo inizia ad esporre nello spazio di Ettore Colla in Via Emilia a Roma, luogo dove il proprietario incontrava, tra gli altri Burri e Capogrossi, quindi in gallerie quali l'Art Club di Roma.


L'aspirazione dei partecipanti al gruppo è di allargare lo sguardo oltre i confini dell'arte italiana, per dialogare con le più attuali tendenze internazionali rappresentate tra gli altri da artisti allora radicali come Kandinsky Klee, Mondrian o dagli astrattisti proveniente da quella Russia che aveva visto nascere il grande sogno della libertà e dell'eguaglianza. Guttuso si dissociò dal gruppo a partire da un episodio tumultuoso accaduto in occasione della mostra del suo amico Corrado Cagli presso Lo Studio d’Arte Palma in Piazza Augusto Imperatore. Cagli, che era sopravvissuto al campo di sterminio di Buchenwald, precedentemente all'emanazioni delle leggi razziali, aveva dipinto un ritratto di Mussolini a cavallo. Un soggetto che in quel primissimo dopoguerra era tabù e faceva dedurre una compromissione del pittore anconetano con il regime. 

Carla Accardi, Scomposizione (1947)

Per questo i sedicenti marxisti-formalisti di Forma scatenarono una protesta trasformatasi presto in zuffa dove sono volati cazzotti tra loro e i simpatizzanti di Cagli, tra cui Guttuso e i fratelli Basadella. Carla Accardi in quei primi anni si  presenta come la prima astrattista italiana, sostenendo che i suoi quadri degli anni '50 sono usciti "dall'inconscio", aggiungendo che la sua prima tela segnica è stata ispirata dal bellissimo cortile di palazzo Doria dove abitava, incominciando lì a dipingere stendendo la tela sul pavimento e sedendosi alla sua base. 

Carla Accardi, 1964

La sua prima mostra personale risale al 1950 alla Libreria Age d'Or di Roma, poco prima dello scioglimento del gruppo Forma Uno avvenuta nel 1951, anno in cui la Accardi si trasferì a Milano diventando frequentatrice della libreria Salto dove erano solito ritrovarsi gli esponenti del gruppo MAC (Movimento Arte Concreta) tra cui figurava Bruno Munari.

Carla Accardi , Integrazione Ovale, 1958

Nel 1955 c'è una prima svolta che coincide con la mostra inaugurata alla galleria romana San Marco, orientata verso una pittura in cui il gesto diventa segno elegante e forte al tempo stesso, scegliendo di presentarlo in opere dalla drastica riduzione cromatica che le riducevano al bianco e nero. Ne fu molto colpito Michel Tapié, critico d’arte francese  e grande promotore dell’arte informale, quando assistette alla mostra della Accardi presso la Galleria San Marco di Roma, iniziando una duratura collaborazione che ha favorito il successo della pittrice di natali trapanesi all'estero.

Carla Accardi, Violarosso (1963)

Il colore in seguito ritornerà insieme ad altre sperimentazioni definite in vari passaggi a partire dal cambio tra il segno semplice e l'aggregazione di segni, l'intersezione di fenomeni cromatici con l'uso di vernici luminescenti e il cambio di materiali avvenuto intorno al 1966, quando la tela è stata sostituita dal sicofoil, materiale plastico leggero, trasparente e flessibile che reagisce alla luce dell’ambiente, sottolineando la natura del quadro inteso come diaframma luminoso, ma offrendo anche la possibilità di realizzare opere tridimensionali all'incrocio tra pittura e scultura.


Carla Accardi, Due grigi (vernice su sicofil), 1972

Carla Accardi ha coltivato con passione il desiderio di ritagliarsi  uno spazio nell'arte contemporanea italiana esprimendo il dinamismo dei suoi impulsi interiori con autenticità, mossa dalla forma di una ribellione istintiva con cui ha sempre desiderato  incidere nella vita per non attraversarla passivamente. In una conversazione raccolata nel 1966 afferma: «L’arte è sempre stata il reame dell’uomo. Noi, nello stesso momento in cui entriamo in questo campo così maschile della creatività, il bisogno che abbiamo è di sfatare tutto il prestigio che lo circonda e che lo ha reso inaccessibile». Questa posizione la conduce negli anni ‘70 a moltiplicar eil suo impegno diventando protagonista del neo-femminismo in stretto sodalizio con la critica d'arte Carla Lonzi: “Rivolta femminile” è il nome del collettivo, del “Manifesto” e di una piccola casa editrice a cui l’artista dà un significativo contributo. 

Carla Accardi, Carla Lonzi e Elvira Banotti a Roma nel 1970, fotografia di Pietro Consagra

Una serie di questioni, ancora attuali, sulla relazione tra arte e creatività femminile sono nate in quella stagione . Questa militanza tuttavia nel 1971 le costa l’interdizione dall’insegnamento per aver distribuito alle  allieve delle sue classi presso la scuola secondaria di primo grado "G. Papini" di Roma i fascicoli di “Rivolta femminile” ed inoltre aver raccolto le loro testimonianze in forma di conversazioni nel volume Superiore e Inferiore (1972).  le studentesse erano state  invitate a leggere e commentare il "Manifesto di Rivolta femminile" in cui i temi trattati erano il matrimonio, il mito della verginità, la parità di genere, le differenze tra i genitori e tra fratelli e sorelle, la procreazione come dovere: la professoressa fu prima sospesa dall'insegnamento nella scuola pubblica, quindi licenziata nel marzo 1972.

                        

Negli anni '80 la Accardi torna a dipingere su tela, continuando a coltivare le sue aspirazioni antipittoriche misurate essenzialmente essenzialmente in relazione al problema della superficie, utilizzando la tela grezza che è immaginata come uno spazio carismatico su cui depositare l'apparato vivacemente colorato dei segni a lei familiari e che pur nella loro differenza, mantengono una specie di necessità della ripetizione senza entrare mai nel campo della decorazione. Sintetizzando il processo che si è andato sviluppando nel corso della sua carriera da quando ha trovato la sua identità, le opere in  bianco e il nero erano delle strutture, quelle in plastica degli ambienti con un'esigenza di luce, quelle in cui i segni si aggregavano in fila una scrittura, scaturendo da una immediatezza affatto automatica, ma piuttosto portatrice di sensazioni enigmatiche

Carla Accardi, Animale immaginario, 1988, vinile su tela

Dal 1976  le sue opere sono acquisite o esposte nei principali musei del mondo, con una costante partecipazione  diverse edizioni Biennale di Venezia in cui nel 1997 diventerà consigliere all'interno della  commissione artistica.



















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