Marguerite Duras nel teatro di Maria Pilar Pérez Aspa




Marguerite Duras è scomparsa giusto vent'anni or sono, dopo una vita irrequieta e insofferente in cui il formidabile talento letterario ha convissuto con l'impegno politico, gli amori impossibili o estranei alla morale comune, finendo per naufragare tra le miserie dell'alcool che si sono progressivamente impossessate dei suoi giorni. Come era prevedibile, in Francia il ricordo di questa donna è stato suggellato da una serie di iniziative tra le quali incontri, mostre, spettacoli teatrali, che hanno ripreso l'interesse per l'autrice dopo che nel 2014 le principali istituzioni avevano già celebrato il centenario della nascita. 




Proprio in occasione di questo centenario, qui in Italia, L'ATIR Teatro Ringhiera di Milano aveva prodotto "L'età proibita", un intenso spettacolo con un testo scritto da Roberto Festa e Maria Pilar Pérez Aspa, in forma di appunti biografici sulla scrittrice. In questi giorni questo lavoro, che aveva debuttato nel gennaio del 2014 al Teatro della Cooperativa di Milano, è stato riproposto al Teatro Ringhiera, sempre con Maria Pilar Pérez Aspa come protagonista del monologo. 




Un'ora in cui l'attrice ha saputo tenere la scena, declinando in tutte le sfaccettature poetiche le emozioni evocate da un testo refrattario alla missione di completezza documentaria che avrebbe potuto concepire un pedante cacciatore di notizie: qui la scrittura risponde all'elasticità di un tessuto narrativo profondamente incarnato nella consistenza dei sentimenti, con la loro fragilità e persino con la loro durezza. La modalità del monologo è quella di un'intervista rilasciata a qualcuno che si fa immaginare, ma via via l'intervista stessa sembra essere sottoposta ad una sorta di metamorfosi, per tramutarsi prima nello specchio di fronte al quale la Duras si lascia andare, quindi svanire, per lasciare posto all'ultimo naufragio verso la morte, quando l'attrice si corica in un relitto di imbarcazione da lei stessa scoperto sulla scena. 




In un'atmosfera blu che ricorda il mare tanto amato dalla Duras, l'abito di scena, i gesti, le sensazioni sottili e brucianti, le inclinazioni della voce, il ritmo dei silenzi, la cadenza delle parole che in brevissimi punti diventano o ritornano ad essere francesi, costituiscono la rete mobile di immagini in cui la Pérez Aspa trascina il pubblico,accompagnandolo negli spazi abitati dai turbamenti di Marguerite. In queste sequenze di luci e di ombre, la Duras ondeggia come in un pulviscolo di spleen, suggerendo comunque che la sua sete struggente d'amore non si arrenderà mai al disincanto. 



La sua è piuttosto un'attitudine orientale dello spirito, capace di far fiorire l'amore, dal fondo stesso del male di vivere. E Marguerite ci insegna anche che non c'è età della vita preclusa alle delizie  di un nuovo amore. Basta abbandonarsi alla follia e alla vanità del reale in cui, come viene dichiarato in un passaggio testuale, c'è il presente con tutto il passato e tutto il futuro. E in questa ipotesi di contemporaneità del tempo, si schiude nel presente il destino di cui non si possono capire le ragioni, la sostanza, il mistero. E' sublime il modo in cui Maria Pilar Pérez Aspa, si smarrisce nel suo personaggio, facendo percepire persino il fiato più tragico della scrittrice. Quello dell'alcolizzata.




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