SENTIRE LA VERITA'


Sembra che Mikhaël Hers abbia una particolare predilezione per indagare su quello che può succedere quando si è colpiti da un lutto. Mentre in Ce sentiment de l’été e in Amanda che evocava in sordina l’attacco al Bataclan, il lutto che fa precipitare i protagonisti in una nuova vita riguarda la morte, in quest’ultimo Les passagers de la nuit, si tratta invece di una separazione che costringe Elisabeth a ridefinire la propria quotidianità. Contrariamente a molto cinema che fa del dramma una finalità anche in questo quarto film Hers ne fa un punto di partenza, auscultando i suoi personaggi per descriverne la resilienza attraverso il prisma della dolcezza. L’eroina in questione, interpretata da una sublime Charlotte Gainsburg, è una donna che resta sola con due figli adolescenti e senza alcuna esperienza professionale, quindi realisticamente incapace di immaginare un possibile lavoro con cui sottrarsi alla dipendenza economica dal padre e dall’ex marito. 



Sul suo curriculum potrebbe scrivere solo che è una persona sensibile e quando lo fa, mettendosi in contatto con la redazione di una trasmissione radiofonica di France Inter che ogni notte accoglie un’umanità di soggetti problematici, è imprevedibilmente chiamata per una prova presto superata. Contemporaneamente a questo impiego alle dipendenze di Vanda Dorval, l’annunciatrice della trasmissione Les passagers de la nuit, intorno a lei prendono forma altre prime esperienze in quell’aria parigina degli anni ’80. 



Il film inizia rievocando con le immagini di una folla che agita le bandiere rosse esattamente in quel 10 maggio del 1981 che ha salutato la vittoria di Mitterand, inaugurando l’euforica stagione guidata per diversi anni dal leader socialista. È un periodo che il regista sembra rimpiangere con una certa nostalgia generazionale, anche girando interamente il film su pellicola per immergersi con più autenticità nel racconto delle vicissitudini che coinvolgono i personaggi della sua storia. Nella sua indagine registra anche le loro più minuscole inflessioni del sentimento, le piccole voragini della disillusione, gli slanci di speranza che ogni domani può promettere, facendole reagire tra le nebbie malinconiche e notturne di un'odissea minore, guidata dalla fragilità della protagonista. Paradossalmente Elisabeth diventa donna proprio quando, smettendo di essere moglie, intraprende un cammino iniziatico con i suoi frequenti inciampi e i suoi rari trionfi: un cammino di conoscenza di sé che neanche gli sconforti di una grave malattia erano riusciti ad indicare, per via della relazione con il marito e delle sue consolazioni affettuose. 



Con il fascino vintage di un’estetica anni ’80, evocata anche dalla fotografia di Sébastien Buchmann (la colorimetria, la grana, le proporzioni, non sono trattate come si fa al giorno d’oggi, ma come si faceva nell’epoca che il regista vuole rappresentare), l’impeccabile tenerezza del regista ricostruisce il meccanismo psicologico secondo cui il presente è fatalmente indirizzato dalla memoria che insegue i personaggi. Emblematica è la cicatrice sul corpo di Elisabeth che le ricorda la sua malattia debellata, ma anche gli anni di un amore tramontato. Nella cornice di questo quadro intimo, la fluidità della scena vede i personaggi confidare le proprie incertezze ad alta voce, come gli anonimi ospiti del programma notturno di France Inter. I loro profili commoventi sono disegnati con la grazia della semplicità, con molta attenzione nell’abbandonarsi al pathos senza soffiarlo nella consueta bolla sentimentale. Sforzandosi di evidenziare l'atemporalità dei sentimenti, evitando giudizi e intrusioni, mostrando discrezione rispetto al passato o agli stati d'animo dei personaggi, la scrittura di Mikhaël Hers conferisce alla sceneggiatura un sapore di madelaine proustiana. 



Uno degli ingredienti di questo gusto riguarda le citazioni che possono percepire i cinefili come lui, a partire dal titolo che riprende quello di un vecchio film americano con la coppia Lauren Bacall e Humprey Bogart, e continuando malinconicamente con sottili passaggi in cui si riconoscono Les Nuits de la plein moon e Le Pont du Nord diretti rispettivamente da Rohmer e Rivette, entrambi interpretati dalla sfortunata attrice Pascale Ogier scomparsa improvvisamente a ventisei anni nel 1984.  



Il finale di questa masterclass su come si dirigono gli attori, ci rassicura indirizzandosi con eleganza verso una leggerezza salvifica che fa volare i personaggi fuori dalle prigioni del rimpianto: Elisabeth ha trovato una casa abbandonando il 15° arrondissement, e ha incontrato un nuovo compagno; i suoi figli sono pronti a volare: Judith animata dalla passione politica, Matthias con la speranza di pubblicare le sue poesie. In questa conclusione che parrebbe a lieto fine resta comunque un’ombra drammatica: quella riguardante il destino di Talulah (interpretata dalla bravissima Noée Abita), una giovane disorientata e sbandata passeggera della notte che Elisabeth cerca di sottrarre dalla vita di strada senza riuscirvi. 



Dopo averla incontrata nello studio radiofonico durante una notturna, la ospita nel suo appartamento e di lei si innamora Matthias senza fortuna, perché la ragazza teme che un coinvolgimento affettivo possa ferirlo se non trascinarlo nel baratro della tossicodipendenza da cui non sa sollevarsi. Talulah finirà per andarsene solitaria verso il proprio destino maledetto, uscendo dalla vita di chi voleva soccorrerla e di chi voleva amarla.



Les passagers de la nuit è uno di quei film segreti ed emozionanti in ​​cui la malinconia agisce nel cuore stesso della speranza che sembra affacciarsi timidamente nel corso della storia, mentre tutto sembra vibrare intorno ad una frase breve quanto significativa pronunciata dalla voce vellutata di Emmanuelle Béart nei panni di Vanda durante la trasmissione radiofonica che conduce: “senti la verità”. 



Questo è forse il filo conduttore che Mikhaël Hers ha seguito nello sviluppare la trama del suo racconto: sentire la verità degli individui e sentire la verità di un'epoca. Ed è anche il messaggio che trapela da questo prezioso esercizio di sensibilità cinematografica: per guarire meglio le ferite del lutto, dell’abbandono o della scomparsa, la migliore medicina è attraversare il dolore della loro verità.


Emmanuelle Béart, Mikhael Hers, Charlotte Gainsbourg


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