LA SCIENZA DEL PATHOS: PIERCARLO SACCO E ANDREA DIECI CON PIAZZOLLA

LA SCIENZA DEL PATHOS (note di copertina)


Riflettendo sul pensiero musicale di Astor Piazzolla è facile rendersi conto che il comun denominatore delle sue composizioni stabilisce una certa affinità con il procedimento borgesiamo dell’autocitazione. Per questo le partiture più eterogenee nutrono la loro identità di una raffinata arte manipolatoria, attraverso cui si percepisce la continuità del suo stile. Un alfabeto di ricorrenze che affiorano nella narrazione musicale, come una sorta di eterno ritorno biologico. Da loro è distillata l’essenza di un’opera che si distingue come unica tra le strepitose negromanzie del ‘900 musicale. In loro risiede il genius loci che l’autore ha saputo comunicare, inserendolo in un quadro formale di respiro universale. La combinazione fortunata si condensa in un’estetica, dove è espresso il riuscito mèlange dei due aspetti etimologici inerenti a questa parola: costruzione del bello ma anche sensazione del corpo. Ed è proprio la riuscita coniugazione di questi aspetti che conferisce alla musica piazzolliana quello che Roland Barthes chiamava “effet du réel”, vale a dire l’impressione di trovarsi di fronte a musiche che prima di essere scritte sul pentagramma, sono ispirate dalla realtà e per ciò in grado di esprimere una formidabile potenza evocativa. 


Tra le composizioni registrate in questo cd, ad esempio, ci sono alcuni riferimenti diretti alla biografia dell’autore: Calle 92 è la strada in cui Piazzolla risiedeva nei suoi anni newyorkesi; oppure Imagines 676, fa esplicito riferimento ad un club di Buenos Aires sito in Calle Tucuman 676, dove si esibiva con il suo quintetto alternandosi con figure quali Joao Gilberto, Stan Getz, Gato Barbieri, mentre tra gli habituè mancava di rado Anibal Troilo…”el bandoneon mayor de Buenos Aires”. L’unicità di Piazzolla sta proprio nella capacità di declinare questo “dolce rumore della vita” (cantato in un verso di Sandro Penna), attraverso un’inesauribile vena melodica distillata almeno in un passaggio di ogni sua composizione. Melodie per così dire “visive” che iniettano nella sua scrittura accademica la forza vitalistica delle sue origini di musicista popolare, alias profondo conoscitore di tutti i segreti del Tango. Piercarlo Sacco e Andrea Dieci sono tra i pochissimi musicisti di formazione classica a far emergere la verità che abita lo spirito di Piazzolla e tutto quello che di simbolico ne consegue. Lo abbiamo ascoltato nelle loro vibranti interpretazioni riunite in Cafè 1930; lo riascoltiamo in questa seconda impresa discografica intitolata La Calle 92: un’incantevole Wunderkammer formata da quattordici episodi in cui l’arte di Piazzolla risuona forte e chiara con la voce della chitarra in dialogo con quella del violino e della viola (quest’ultima solo in Fievre e Destresse). 



La caratteristica che rende prezioso questo lavoro di Sacco e Dieci, oltre che per il merito di aver riportato alla luce diverse composizioni raramente eseguite (Psicosis, Suavidad, Dernier lamento, Tango choc, Made in USA….) e di aver arrangiato tutto il materiale registrato con magistrale sapienza, è il coraggio interpretativo con cui i musicisti hanno affrontato le loro realizzazioni. PiercarloSacco ad esempio, riprende la musica di Piazzolla riflettendola nel suo mondo espressivo e quindi leggendola con il gusto sinuoso, rischioso e trascinante di chi sa corteggiare i modelli filologici ma anche separarsi da loro, in una flessibilità che è la sola fedeltà possibile nel campo della creazione: quella della libertà, della passione, della mimica che crea e ricrea restando in una relazione fluida, elegiaca e cangiante con la partitura. Una prova maiuscola che sintetizza maturità artistica, suono curatissimo e felicità virtuosistica. Dal canto suo, la chitarra di Andrea Dieci contiene e sottolinea le iperboli del violino in una tessitura disegnata per coniugare l’inquieta e mobile cadenza del ritmo. 



Dieci coglie perfettamente il senso della scrittura di Piazzolla che non ha intenzione di circoscrive il contributo della chitarra ad un ruolo di accompagnamento. Infatti la partitura suggerisce all’interprete di abbandonarsi ad un gesto che palpiti incarnando il suono fresco di colori luminescenti, per  dare luogo ad una sorta di venerazione verso i soggetti melodici che si rincorrono in modulazioni e variazioni, ondeggianti tra il veleno e la grazia, il sangue e l’incanto, il furore e l’intimità. Queste considerazioni sulla scienza del pathos che si manifesta nelle esecuzioni di Sacco e Dieci, valgono per tutte le tracce registrate nel magico riverbero naturale della Cappella del Collegio Rotondi di Gorla Minore (VA). Sia che si tratti di un arrangiamento costruito a partire da una edizione sintetica che vale poco più di una traccia, sia che sia stata sperimentata una riscrittura partendo da quella conosciuta attraverso un altro organico (ad esempio Jeanne y Paul, mancata colonna sonora di L’ultimo tango a Parigi; Fracanapa  scritta per Paula cautiva, un film del 1963 diretto da Fernando Ayala, con un titolo che riprende il nome di una maschera del Carnevale di Venezia, antagonista antiborghese di Pantalone; Calambre ispirato ad una fughetta inserita tra i numeri delle Variazioni Goldberg e primo esperimento di una fuga inserito nel contesto del Tango piazzolliano; Milonga en Re, dedicata a Salvatore Accardo e scritta originariamente per violino e pianoforte). Come alludendo alla discesa di un sipario finale il cd si conclude con il brano intitolato Se terminò. Ma intuiamo che Sacco e Dieci abbiano ancora molto da farci ascoltare. La Calle 92 non finisce qui. 

Franco Finocchiaro

(Academia Nacional del Tango de Buenos Aires)

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