Gli anarchici sentimentali di Elia Wajeman




Presentato nella scorsa edizione di Cannes alla Semaine de la Critique, questa seconda opera del regista Elia Wajeman mette in scena con una affascinante eleganza formale. L'impeccabile ricostruzione storica si inquadra nell'epoca dove le ribollenti idee libertarie auspicavano una radicale rivoluzione sociale. Ne fu protagonista il proletariato sottoposto a condizioni di vita insopportabili, dettate dagli interessi borghesi. I più coraggiosi tra questi lavoratori si riunivano nelle tenebre, progettando iniziative e ricercando nuovi proseliti per manifestare il loro rifiuto delle istituzioni e più in generale dell'autoritarismo. 


In questo milieu il regista disegna alcuni ritratti che fanno riflettere su come quell'universo ribelle fosse poliforme, inglobando attivisti eterogenei, alcuni con intenzioni più radicali, altri meno propensi a questi tipi di azione, altri ancora sulla linea dell'anarchismo individualista di Stirner, oppure sostenitori di una rivoluzione morale e filosofica. 




La trama del film si svolge all'ultimo crepuscolo del XIX° secolo ed è imperneata sulla storia dell'ufficiale di polizia Jean Albertini, interpretato da Tahar Rahim. Povero e orfano, Jean viene scelto per infiltrarsi in un gruppo di operai parigini "dalle idee pericolose". Per lui è un'occasione importante in quanto, se i rapporti di polizia che farà avere al suo superiore Gaspard saranno utili, verrà ricompensato con un aumento di grado. Inseritosi nel gruppo sovversivo che si ritrova in un grande appartamento borghese occupato, Jean è diviso tra il dovere da compiere e i sentimenti che sviluppa giorno dopo giorno per le persone con cui è in contatto. 



Qui, mentre scrive circostanziati rapporti al suo superiore, incontra la schietta amicizia che gli dimostra Eliseo (Swann Arlaud), incarnazione dell'anarchico dai febbrili comportamenti romantici; il temperamento temerario del più freddo e radicale Elisée; il carattere gioviale di Biscuit. Inoltre ha a che fare con alcune figure femminili tra le quali quella di Judith, una stratosferica Adèle Exarchopoulus che si impone con una recitazione di selvaggia sensualità e già nella prima scena del film confessa: "sono diventata anarchica per amore". 


E, guarda caso, la chiave che il regista sceglie per raccontarci questa epoca è proprio quella dei sentimenti. Così la sua galleria di figure viene colta nei dettagli finendo per interiorizzare l'azione, spesso costretta in spazi chiusi, nell'angolo di una stanza vicino ad una finestra, sulle scale di un edificio: degli esterni ricordiamo l'opacità del blue di una melanconica Parigi fine secolo. Così attraverso inquadrature in tinte sepia e in blu velati, tra decors e costumi retrò, non viene cercata la febbre libertaria degli anarchici ma il loro quotidiano che ci fa partecipare alla loro singolarità, alla loro sensibilità, alle loro convinzioni, ma soprattutto alle loro contraddizioni. 



Questo indirizza la narrazione non tanto verso l'analisi del contenuto utopico e ideologico del gruppo, ma verso una raccolta di sfumature che mostrano il tormento dilaniante del poliziotto, combattuto tra il dovere, la passione e l'amicizia. Per questo la scelta dell'epoca e del clima rivoltoso è fondamentalmente un background secondario rispetto al cuore della storia che, in fondo, si può sintetizzare come un rapporto tra persone dove agisce la manipolazione, le dualità interiori, le false sembianze: una spia diventa sodale a coloro che deve spiare, trovando tra di loro il suo primo amore. Per questi motivi trovo che la scelta del giovane regista sia paradossalmente intrisa di un conformismo da "bobo". Peccato perchè il film ha diversi aspetti di qualità.  


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