Il penultimo giorno di Pasolini


Michele Costabile nello spettacolo "Siamo tutti in pericolo" con la regia di Daniele Salvo

Parlare di qualcuno in occasione di un qualsiasi anniversario mi sembra sempre un fatto che da un lato è legittimo, emozionante, importante, dall'altro speculativo, patetico, kitsch. Questo sentimento contraddittorio mi ha accompagnato anche questa settimana, quando la nutrita tribuna mediatica ha incominciato a battere all'unisono il suo tamburo, per celebrare la morte di Pier Paolo Pasolini: la bulimica fame di opportunità ha infatti gettato in primo piano il quarantennale della sciagurata fine del poeta. 

Pasolini sulla tomba di Antonio Gramsci al cimitero inglese di Roma

Ma da quando anche un quarantennale attira le attenzioni unanimi? Non lo so ma senz'altro questo insopportabile cannibalismo rimette sotto gli occhi dell'opinione pubblica quello che Pier Paolo pensava, della televisione e dell'informazione giornalistica, con il loro potere di iniettare una pericolosa  dipendenza nel corpo sociale: quella che ci  rende schiavi di un modello unico con tutto quello che ne consegue. Ecco ad esempio un frammento ripreso da "Il bombardamento ideologico televisivo": 


Il PCI e Pasolini

"Il bombardamento ideologico televisivo non è esplicito, Esso è tutto nelle cose, tutto indiretto. Mai come oggi, un modello di vita ha potuto essere propagandato con tanta efficacia che attraverso la televisione. Il tipo di uomo e di donna che conta, è moderno, è da imitare, è da realizzare. Non è descritto, raccontato nella sua verità. E' decantato, rappresentato, alterato, plastificato".
Mettendoci al corrente di questo pericolo con parole semplicissime ma taglienti, Pasolini ci ha lasciato uno dei più chiari e visionari messaggi socio politici. Ma ancora non ne abbiamo preso coscienza e per questo stiamo precipitando in un torpore mortale, nonostante la stretta sui diritti sia divenuta insostenibile e tutto continua a essere amplificato da tutti gli strumenti del sistema che ci annichiliscono.  



Più che mai oggi le parole di Pasolini conservano la loro attualità di allora, chiamandoci ad una profonda riflessione su quello che siamo e su quello che desideriamo essere. Queste considerazioni mi hanno fatto scegliere il Teatro e non i quotidiani o la televisione, per partecipare alla ricorrenza, abbandonandomi alle sue parole, così immortali da vincere qualsiasi sfida contro l'oblio e  contro lo strazio della sua morte oscura, violenta, prematura. L'occasione che ho creduto più attraente  è stata lo spettacolo messo in scenda da Daniele Salvo al Teatro Franco Parenti di Milano con il titolo inquietante "Siamo tutti in pericolo". Il lavoro è stato presentato con l'eloquente sottotitolo "l'ultima intervista di Pier Paolo Pasolini", ma oltre a documentare quest'ultimo lucidissimo atto che si è consumato il penultimo giorno della sua vita, la drammaturgia ha utilizzato come prologo altri due celebri interventi che il poeta ha scritto nei mesi immediatamente precedenti e che figurano nella raccolta delle Lettere Luterane.  

Gianluigi Fugacci interpreta Pasolini in "Siamo tutti in pericolo" al Teatro Parenti di Milano

Il primo riguardava la lettera a Giovanni Leone, pubblicata l'11 settembre su Il Mondo, come una forma di risposta pubblica alle dichiarazioni ferragostane dell'allora Presidente della Repubblica, con una serie di considerazioni straordinarie e soprattutto con una chiarissima denuncia alla Democrazia Cristiana ed ai modelli di società che stava imponendo, non proprio ispirati ad una dimensione spirituale come si potrebbe immaginare ma piuttosto ideati affinchè il loro agguerrito potenziale virale fosse interpretato come sintomo di sviluppo e progresso. Il secondo, un articolo scritto sul Corriera della Sera il 18 ottobre, con prese di posizione così rivoluzionarie da scavalcare di gran lunga qualsiasi teoria che all'epoca avesse la pretesa (sacrosanta) di cambiare il mondo. Così attraverso queste due colonne del pensiero pasoliniano, si arriva all'ultima intervista rilasciata a Furio Colombo a cui era stata commissionata da Arrigo Levi allora direttore della Stampa, in occasione del secondo numero del prestigioso inserto del sabato "Tuttolibri". 





Il giornalista aveva raggiunto l'amico Pier Paolo presso la casa del poeta all'Eur, un un pugno di ore prima che il corpo cinquantatreenne di PPP fosse trovato senza vita all'Idroscalo di Ostia. Lo spettacolo, realizzato da una regia elegante che fa interagire lo spazio scenico e la narrazione con immagini e video, gode della lodevole prova di Gianluigi Fugacci nella parte di Pasolini, interpretato con movimenti pacati e soprattutto con una dizione perfetta che accompagna il vertiginoso fiume di parole non facendoci perdere neanche il più irrilevante dettaglio. I suoi comprimari sono Raffaele Latagliata, nella parte acida di un Furio Colombo che punzecchia il suo intervistato, e Michele Costabile tutto nudo e in assoluto silenzio, a simboleggiare uno dei giovani amanti o addirittura proprio quel "Pino la Rana" alias Giuseppe Pelosi che all'epoca si era auto accusato dell'omicidio. 


Per la cronaca tutto sembra essere rimesso in discussione proprio da Pelosi che nel dicembre dello scorso anno ha ritrattato affermando di essersi recato con Pasolini a Ostia, sperando di trattare con alcuni delinquenti che chiedevano al regista una sorta di riscatto per restituirgli le pizze di Salò che erano state rubate tempo prima. In aggiunta a queste recenti rivelazioni, Pelosi ha dichiarato che ad ucciderlo sarebbero state tre persone tuttora non identificate. Il delitto riaperto  è diventato un mistero anche a causa di una nuova evidenza scientifica: le tracce di DNA trovate sugli abiti di Pasolini non appartengono a Pelosi. 



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