Omaggio ad Horacio Ferrer
La recentissima scomparsa di Horacio Ferrer, sprofonda in un lutto doloroso tutti gli autentici appassionati di tango, unendo sia chi ha avuto il privilegio della sua amicizia come me, che quelli che lo hanno amato conoscendolo attraverso alle sue poesie, sovente congiunte alla vertiginosa musica di Astor Piazzolla. Horacio è stato per decenni una colonna essenziale per la cultura del tango, forse l'unica dopo la perdita di dei grandi tangueros del passato. La sua battaglia intellettuale è stata un punto di riferimento ed una speranza affinché il tango non si riducesse ad un ballo che, seppur ineguagliabile, rappresenta solo in parte l'importanza di questa cultura. Io ho avuto modo di incontrarlo diverse volte, condividendo con lui la scena di spettacoli, presentazioni, conferenze, ed un giorno, al prestigioso Circolo dei Lettori di Torino, ho avuto anche l'onore di presentarlo al pubblico che affollava emozionato il salone dove Horacio avrebbe tenuto una delle sue mirabili conferenze sul tango. Di seguito riporto il testo di quel mio intervento, come un ricordo affettuoso e indimenticabile per una persona, un poeta, un artista che porto nell'anima. Questo stesso scritto, con qualche rimaneggiamento, è comparso nel libretto unito al DVD "Horacio Ferrer, poeta del Tango", realizzato a Torino dalla Sam Produzioni.
FERRER, IL TEMPO, L'AMORE, LA MORTE…
Poeta dalla fertilità caleidoscopica, Horacio
Ferrer è un uomo che conserva la
semplicità aristocratica di chi non è diventato servitore della propria
celebrità.Per lui la
vita ed il tango sono facce di una stessa medaglia che lo fanno sentire
orgoglioso di essere un “varon
milonguero porquè fatalmente tenia que ser asì”, accreditato di un
unico dottorato, quello “en milonga”, conquistato frequentando una scuola, nè diurna e né serale ma
fatalmente notturna. Una scuola,
virtuale e virtuosa, senza banchi né cattedre, né programmi ministeriali, né
lauree, ma con due straordinari maestri, uno Shakespeare lunfardo ed un Mozart
milonguero: il primo, Anibal Troilo, paradigma dell’essere porteño
e quindi incarnazione del tango nella sua accezione più esistenziale; il
secondo, Astor Piazzolla, irrequieto sperimentatore di un pensiero da lui
stesso battezzato nuevo tango e subito affiliato ad un concetto cardine
nell’arte del ventesimo secolo: quello di avanguardia.
Ispirarsi a
questi punti di riferimento, ha esposto Ferrer ad assimilare lucidamente una
percezione aperta, epica e sacra del tango, certamente straniante rispetto a
quella dei grandi poeti che lo hanno preceduto nella storia di questa cultura. In sostanza, se curiosiamo nel gabinetto letterario di
Ferrer, scopriamo che la sua poesia abita il liminale, luogo in cui per
definizione si coglie il presente ed il futuro nel loro legame con il passato.
Sala del Grechetto, Palazzo Sormani, Milano |
Quindi, pur interpretando l’idea che il tango es
un exercicio extraordinario de libertad, Ferrer resta fermamente convinto
di quanto sia necessaria una specie de rigor para què eso que se escribe
tenga su atmosfera y su esentai. Il ritmo plurale dei suoi versi, a volte percussivi e
fonici, a volte magmatici e vertiginosi, la limpidezza delle loro forme
retoriche, la flessibilità delle traiettorie progettate per farli fluttuare
nell’aria attraverso il canto o la dizione di cui egli stesso è maestro, ci
mette di fronte ad una parola epifanica, vibrante di intuizioni che sembrano
schiudere passaggi di verità ai bisogni confusi degli uomini. Solo quando i
primi versi, di reminiscenza rubendariana, sono stati superati da un
album in cui prendevano forma nuove strutture poetiche, Troilo e Piazzolla
hanno saputo che il loro giovane e intraprendente amico non era solo un
entusiasta attivista nel tango, ma soprattutto un sorprendente poeta. Ai lenti movimenti
della poesia del tango, Ferrer imponeva già allora gli atti sovversivi di una
passione scossa dalla vitalità elettrica dei suoi estri: ma da quale miracolosa
fontana barocca sgorgavano le sue metafore, da quale matto terreno, da quale
accelerazione nervosa faceva ruotare le sequenze di immagini in cui si può
scorgere tutto ed il suo contrario?
Festival a Torri del Benaco, con Miguel Angel Zotto, Daiana Guspero e Roxana Fontan |
Nel 1967 le Ediciones Tauro di Montevideo
pubblicavano i versos lunfa y grotescos
di Romancero canyengue, raccolta di
poemi introdotti da Catulo Castillo con parole di ammirato entusiasmo, chiuse
con la profetica sentenza che reputava i versi di Ferrer dignos de encabezar la futura antologia de la verdad idiomatica
rioplatense. Qui Ferrer, come l’ultimo Roland Barthes, sembra
aderire all’idea che la lingua idiomatica contenga in sé un’insopportabile
imposizione autoritaria, e perciò, che lo spirito indipendente di una cultura
popolare possa essere espresso in maniera più convincente, utilizzando
liberamente il suo vocabolario parallelo. Buenos Aires, ne aveva uno già pronto, un vernacolo
molto caro al tango e inoltre, per la sua stessa natura ribelle, accogliente
riguardo ai neologismi che la fantasia di Ferrer era pronta a coniare: il lunfardo. Rigenerate
continuamente con questa terminologia pittoresca, che crea un’aura percettiva
del sentire e del vedere, le poesie di quella celebre raccolta si presentavano
come una sorta di organismo vivente, cangiante nel ritmo e nel polline sonoro
delle libere associazioni. In Ferrer,
come avviene nella scrittura shakespeariana, il motore del rapinoso susseguirsi
delle immagini metaforiche, non produce mai un puro gioco ornamentale, ma
alimenta la sostanza stessa del pensiero. E ancora come
Shakespeare, il poeta possiede il dono speciale di una impareggiabile fantasia,
espressa con la grazia suggestiva e inesplicabile della musicalità, decantata
in uno stile generoso di riverberi magici, ora limpidi ora enigmatici.
Galleria Alberto Sordi, Roma |
La potenza
musicale ed il sottile ermetismo dei suoi testi, non sfugge a Piazzolla, che
dal lato suo aveva già rivoluzionato la sintassi del tango, dal punto di vista
melodico, armonico, strutturale e persino timbrico. Tutti questi
elementi convergono palesemente nella prima collaborazione tra i due, un sogno
che Ferrer e Piazzola realizzano nel 1968 con l’operita Maria de
Buenos Aires, mettendo in atto nel tango, un pensiero poetico e musicale
assolutamente inaudito. Da allora il
catalogo dei due artisti avrebbe collezionato una settantina di lavori, che
vanno dal breve respiro della forma canzone, come nel caso della celebre Balada
para un loco, a quello più articolato che oltre a Maria de Buenos Aires,
è stato sperimentato in El pueblo joven e che Ferrer ha ulteriormente
intrapreso con l’ Oratorio Carlos Gardel
, la cui musica è firmata da un altro
illustre tanguero quale è il pianista
Horacio Salgan.
Sintetizzando
in tre parole i temi capitali della poetica di Ferrer, possiamo ridurli al
tempo, all’amore e alla morte, temi ricorrenti nel tango ma elaborati dal poeta
con l’introduzione di una speranza quasi sconosciuta dagli autori del tango
classico, una speranza che in alcuni casi giunge ad alludere persino alla
possibilità di una rinascita. Tutto questo
grazie all’ispirazione essenziale cha scaturisce dai “gialli crepuscoli” di
borgesiana memoria, quelli di Buenos Aires, Beatriz en la Divina Comedia de los Tangos, voces color bandoneon, tan misteriosa como la vida,
mare metropolitano dove son naufragos los tangos. Ma l’impegno che Ferrer ha profuso e profonde nel
tango, non si esaurisce con il suo lavoro di poeta ma si estende anche a quello
di storico, con un risultato versatile che in termini di valore, va ben aldilà
della somma delle due attività prese singolarmente.
Foglio dopo foglio, scheda dopo scheda, con la
pazienza meticolosa e l’agio tranquillo di un degustatore di misteri ed insieme
di viaggi, vini e sapori della vita,
Ferrer ha distillato i succhi di questa cultura e dei suoi protagonisti.
A questo proposito è stato nel 1990 il fondatore, e
tuttora l’animatore ed il presidente dell’ Academia Nacional del Tango, nonché
autore di diverse pubblicazioni che hanno un’importanza capitale per la
bibliografia del tango.
Con inesauribile voluttà in queste opere l’autore
fa collidere e reagire le sue parafilie intellettuali e conoscitive, dando vita
ad un metodo di interpretazione dove in ogni segno, sono colti i riflessi di
altri segni. In ogni caso, Ferrer assolve il suo ruolo di
storico solo lasciandosi impregnare dalle vibrazioni sempre diverse delle
parole, cantandole e ricantandole con il proprio cuore, con i propri nervi, il
proprio sangue e los pajaros trasparentes
della sua mente, fatti di cloruro de otoño,
e metamorfosis de un vino divinamente capiente. I suoi colpi d’ala sembrano incarnare la sfida di
un nuovo Faust, altrettanto miracolosamente erudito quanto leggero, capace di
suggerirci con una sorta di vertiginosa nonchalance, che quando sembra sia stato detto
tutto sul tango, tutto è ancora da dire. Tutto è ancora da dire perché nel tango, che si è visto nascere, crescere, essere amato,
morire e che in questo terzo millennio si scopre risorto, avventuriero del
mondo e medico, sopravvivono misterios resistenti alla nostra ansia di
sapere. Misterios che, con diverse
specificità, si incontrano in tutte le forme d’espressione chiamate “arte”, per
il valore umanistico, intellettuale e tecnico dei loro linguaggi. Quindi Tango,
arte y misterio, mi sembra essere il migliore dei titoli possibili per la
conferenza che ci accingiamo ad ascoltare da Horacio Ferrer, con la voce, il
timbro ed il ritmo che avrebbe potuto fare di lui un mattatore della scena
teatrale.
Un grande
poeta che ho avuto l’onore di presentarvi come, suonando un tango, secondo la prescrizione di una delle sue
visioni più estreme: con
pudor de carcayada en un entierro .
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