SPAZI APERTI PER L’OPERA PRIMA DI LORENZO BISOGNO




Sin dalla prima traccia di questo lavoro d’esordio, Lorenzo Bisogno ci accompagna in un clima che rimanda allo spirito di quella New York musicale che conosce bene per esperienza personale  e che nel quadro del jazz del terzo millennio si esprime attraverso una tensione meno cinetica, convulsa e concitata, ma piuttosto orientata ad un approccio cool, lirico e garbato. In questo contesto estetico agiscono i musicisti che come il sassofonista umbro non ricorrono a spigolature radicali sia sonore che strutturali o linguistiche, ma hanno scelto di fare tesoro della poetica storicizzata del jazz moderno, risemantizzando questa piattaforma poliedrica per conseguire la propria identità contemporanea. Si tratta di premesse che indirizzano le interpretazioni raccolte in Open Space nel segno della continuità, offrendo all’ascoltatore il piacere di riconoscere lo slancio di un opera coerente e già matura, dove tutti i protagonisti contribuiscono a coltivare il giardino in cui, attraverso i semi di un’unica ininterrotta eredità, dalle radici quintessenziali della modernità fiorisce l’evidenza di un presente inevitabile. Quel presente a cui è stato associato l’aggettivo di postmoderno per indicare sostanzialmente l’attitudine a immaginare, in tutte le espressioni dell’arte, un gioco di citazioni, rimandi e connessioni che si incrociano liberamente. Nello specifico jazzistico dell’album di Bisogno, questo metissage postmoderno è coniugato in termini di stile e di topoi, con un linguaggio che ha assorbito molteplici inflessioni in auge nell’esuberante fermento contemporaneo, escludendo le fantasticherie particolarmente trasgressive con tutti i loro eccentrici labirinti mentali e includendo in filigrana una serie di collaudate sfaccettature nutrite dalla solida cultura storico-musicale di tutti i membri del quartetto e dell’illustre ospite. E a proposito dell’affresco corale che scaturisce dalla prova collettiva, si percepisce chiaramente quanto la sincera complicità motivazionale di tutti i protagonisti entri in risonanza nutrendo di entusiasmo le loro affinità stilistiche. Questo punto di forza ha contribuito a garantire il piglio simpatetico necessario ad affrontare tutte le composizioni con il palpito vivo di una franca disinvoltura, cesellando felicemente le luci e i chiaroscuri; certe dolci melanconie elegiache delle melodie; i passaggi più ermetici delle strutture e dell’armonia; la sonorità generalmente morbida che trasmette al climax una specie di avvolgente calore fisiologico; l’intensità empatica con sui dialogano gli strumenti in una varietà di combinazioni timbriche e di excursus dinamici; la precisione nella sintassi utile a ricamare i nuclei logici del fraseggio in maniera coerente con la natura della scrittura compositiva: quest’ultimo dettaglio non è affatto automatico ed è un punto su cui scivolano anche certi progetti guidati da leader accreditati e nel pieno della maturità artistica. Le pagine incise sottolineano il talento autoriale del leader che svela un universo poetico e retorico in cui regna l’indissolubilità tra naturalezza ed eleganza, offrendo il suo serbatoio di sfumature interne e sottili slittamenti, ad un diorama di carattere lievemente mercuriale. Nell’attraversare le geometrie strutturali, tutto scorre fluidamente, soppesato, studiato, meditato, per essere restituito in prismi melodici flessuosi e mutevoli. Come si desume da quanto ribadito in precedenza, l’approccio concettuale è indirizzato a valorizzare la musica d’insieme, evitando intelligentemente di mettere l’ascoltatore di fronte ad un virtuosismo stupefacente che con i suoi frenetici arabeschi si risolve il più delle volte ad essere decorativo e quindi fine a se stesso. Per questo gli interventi solistici sviluppano il loro spazio sotto il segno della misura costruendo squisite invenzioni melodiche con charme inesorabile, precisione tecnica, profondità emozionale, fantasia creativa. Il leader disloca nel cuore del proprio fraseggio rimandi emblematici che raccolgono, filtrano, rielaborano l’indispensabile eredità ricevuta dai più iconici caposcuola dal sassofono del secondo dopoguerra ad oggi, con grazia ed un suono diligentemente accurato.



Colpisce senz’altro la sensibilità delle idee musicali di Manuel Magrini, che suona il pianoforte con un tocco raffinato, anche nel punteggiare con leggerezza l’accompagnamento, sciorinando un estroso assortimento di voicing accordali. Nel meccanismo del quartetto si inserisce dialetticamente Massimo Morganti, un ospite che con l’autorevole scioltezza del suo trombone ha partecipato al progetto aggiungendovi un surplus di buon gusto nell’improvvisare luminosi interventi dove è padroneggiato il portamento rilassato del timing con il suono magniloquente di un concerto di armonici.  E una simile lucidità di trame non poteva essere conseguita con la giusta messa a fuoco se la sezione ritmica, composta dal contrabbassista Pietro Paris e dal batterista Lorenzo Brilli, non avesse garantito una suasiva andatura plastica ed un interplay sentimentale adatto a definire con disinvolta ariosità, compenetrazioni iridescenti nella successione delle varie situazioni, sia dal punto di vista del beat che da quello dinamico-timbrico. Nel quadro del materiale originale proposto da Lorenzo Bisogno, non mancano due emblemi con cui il sassofonista testimonia le ascendenze che hanno disciplinato la formazione del suo pensiero musicale ispirando consonanze profonde. Il primo è un celebre contrafact intitolato, 317 East 32nd Street, che riporta nel cuore del cool jazz e più precisamente al genio di quel Lennie Tristano che a distanza di molti decenni è rimasto ancora nella penombra scavata dalla sua stessa unicità, cerebrale, riservata, rigorosa: per me è stata una stupenda sensazione riascoltare questo suo capolavoro interpretato con sensibilità dal quartetto di Lorenzo Bisogno a cui si è aggiunto in questa traccia il morbido trombone suonato splendidamente da Massimo Morgagni, oltre che nel solo anche nel contrappunto tematico a questa intricata melodia costruita sulle armonie di Out of Nowere. Il secondo tema, The Moontrane, porta la firma del compianto, originalissimo trombettista Woody Show, e in questo occasione la pagina è sottoposta all’arrangiamento di Bisogno che agisce con molta delicatezza, mantenendo il carattere post hard bop conferitogli dall’autore. Con questo ottavo e ultimo tema si conclude un cd assai persuasivo che è il più eloquente tra i biglietti da visita possibili per un giovane musicista meritevole di quegli auspici confermati anche con la concomitante vittoria del Premio Internazionale Massimo Urbani. Ora Lorenzo Bisogno è salpato accompagnato dai migliori presupposti per open spaces che occorre navigare con pazienza, coraggio e soprattutto verità. 

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