I JAZZMAN DI GIANCARLO CAZZANIGA


Giancarlo Cazzaniga nel suo studio di corso Garibaldi a Milano negli anni '50

Appartenente a quel gruppo di talenti sregolati e geniali che gravitavano intorno al mitico Bar Jamaica di Brera nel grande fervore culturale della Milano ferita ma orgogliosa del secondo dopoguerra,  l'allora ventottenne pittore monzese Giancarlo Cazzaniga  inizia nel 1958 la serie di opere intitolata «Uomini di jazz» che di fatto, con centinaia fra tele, disegni, litografie, proseguirà ininterrottamente per tutta la vita che, insieme ai paesaggi naturalistici tanto cari a Leonardo Sciascia. Il grande impatto emotivo con cui ha trattato questo soggetto musicale lo ha reso famoso a livello internazionale, sviluppando le sue suggestioni nella suggestiva alchimia di ritratti che hanno preso forma con pennellate vibranti di  palese ispirazione espressionista, coniugata alla maniera della corrente lombarda che la critica ha battezzato realismo esistenziale di cui sono stati protagonisti anche Giuseppe Banchieri, Mino Ceretti, Gianfranco Ferroni, Giuseppe Guerreschi, Bepi Romagnoli e Tito Vaglieri.

Artista di un'umiltà rara, Cazzaniga sceglieva di cogliere i suoi soggetti durante il gesto performativo, come figure metafisiche e sfuggenti, mentre erano impegnati nella creazione irripetibile di un assolo improvvisato con il sassofono, la batteria, la tromba. Il dinamismo frenetico della loro sagoma balenante scaturisce da fondi di viola nebbiosi, rossi accesi, gialli scoppiettanti, riassumendo l'eccitazione e l'abbandono, i controtempi e l'intensità, il ritmo di personaggi consumati e stravolti dalla loro stessa filosofia di vita, come compromessi nello stesso destino drammatico dei personaggi di Giacometti o Bacon. E questa sensazione inevitabile spiega come tra i preferiti di Cazzaniga ci fosse un eroe tragico e un'anima inquieta come Chet Baker che spesso faceva tappa nello studio milanese del pittore.

Chet Baker con Giancarlo Cazzaniga; fotografia di Ugo Mulas

Della novità e della peculiarità della pittura di Cazzaniga è sintomatico quello che scrisse il critico Mario De Micheli nella presentazione per la XXXI Biennale d'Arte Internazionale di Venezia nel 1962, in cui l'artista fu invitato: "Cazzaniga, rivela la sua predilezione per il tema dei suonatori di jazz: il suonatore di sassofono, di tromba, di piano o di batteria, il cantante davanti al microfono. Nel giro di pochi anni questi personaggi sono diventati i protagonisti della sua pittura, dei suoi fogli a tempera, delle sue litografie, dei suoi disegni; sono diventati quasi emblemi di una vita allucinata e fantomatica, eppure vera: una vita immersa in fumosi spazi, dentro atmosfere grigie o neutre. 

Dentro a tali atmosfere, appunto, si manifesta la presenza oggettiva delle forme, emerge un profilo, uno scorcio, un volto, uno strumento. In genere il personaggio è sempre solo, isolato, ed è concepito come un'apparizione subitanea in un vuoto senza confini; è un personaggio che esce dall'ombra per un monologo di gesti e di suoni, ma anche per tentare una comunicazione con gli altri . E Cazzaniga è, credo, l'unico artista che abbia saputo cogliere questo frammento di realtà (il jazz, i suoi interpreti, i suoi strumenti, oserei dire i suoi suoni) e trasferirli sulla tela. Ma non con intento passivamente illustrativo o documentale, bensì cercando di riscrivere in un linguaggio bidimensionale e cromatico tutta l'inafferrabile varietà dei movimenti e delle note di un suonatore di jazz. 

Questo è uno dei motivi che sottraggono queste opere dal campo delle immagini illustrative o descrittive, per inquadrarle nel contesto più schiettamente pittorico. Si può capire che soprattutto negli anni cinquanta e primi sessanta, questa pittura così balenante, avesse un effetto dirompente sul gusto prevalente dell'epoca, anche su quello all'avanguardia che pure aveva già dimestichezza con Bacon e con il cubismo. Era una pittura fuori da schemi precostituiti, e sicuramente innovativa nei temi e nella resa degli effetti finali. In questi temi e in questo convulso e violento contrasto pittorico, di luci, ombre, gesti, suoni, rumori e improvvisi silenzi (come buchi neri che si perdono nell'universo) stanno i valori profondi e durevoli di questi quadri di Cazzaniga.


Un linguaggio attraversato - scrisse allora Valsecchi - da "certe veloci lucentezze in mezzo all'opaco spazio", un linguaggio dal quale "vengono immagini di una drammatica consistenza che occupano di prepotenza la memoria". Il critico e anche esegeta di Cazzaniga continua scrivendo: "ci fu un momento nell'opera del nostro pittore, in cui l'esistente sembrava accadere e muoversi negli impasti informi di una desolazione senza scampo, lemuri e larve più che uomini dentro le fosse buie dei giorni spogliati di tutto: il tempo delle sue caves esistenzialiste tra fumi di riflettori e luccicare di sassofoni. Non so se fosse già un giudizio, ma certo era una testimonianza di squallide condizioni umane, anche se all'invettiva di rivolta Cazzaniga dimostrava di contrapporre una silenziosa capacità di sofferenza. Non era rassegnazione, ma l'ostinata persuasione che il dolente silenzio riesca a vincere anche la prepotente persecuzione dei potenti di ogni specie. Chi ha sentito il canto di Billie Holiday, il piano di Lennie Tristano o la tromba di Chet Baker, sa cosa voglio dire". 











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