Gli amici di JC 21: Tomas Eloy Martinez, e la memoria di Trelew





Tomas Eloy Martinez conobbe Julio Cortazar 9 settembre del 1963 nella hall del palazzo UNESCO a Parigi, in occasione di un'intervista che il giornalista gli fece e che fu pubblicata sulla rivista Primera Plana il 27 ottobre dello stesso anno. Aveva trent'anni e da tredici faceva il giornalista, iniziando con il Diario de Tucuman e continuando con la Gaceta dove si occupava di recensioni cinematografiche come avrebbe fatto dopo il suo trasferimento a Buenos Aires per La Nacion. Nel 1961, il suo primo libro fu un saggio sul cinema argentino, ma si occupò esclusivamente di giornalismo almeno fino al 1969 quando uscì il suo primo romanzo intitolato Sagrado.



Nell'incontro inaugurale con Cortazar, Martinez fu sorpreso dalla giovinezza di quell'uomo che stava per entrare nel suo cinquantesimo anno di vita e credo che tutti possano condividere questa sorpresa vedendo la fotografia scelta per la copertina del settimanale. Cortazar aveva ancora il viso perfettamente rasato, i capelli ben ordinati, gli abiti consoni alla sua funzione di traduttore dell'UNESCO. In quei giorni sotto una foto apparsa sulla rivista Arts si leggeva: "Guardate con attenzione questa foto. Il ragazzino dalla faccia limpida che vedete qui sta per compiere cinquant'anni. E' inevitabile pensare a Doria Grey". 


Copertina di Primera Plana del 27 ottobre 1964
L'intervista fu anche il mezzo per una frequentazione intensa che accelerò l'amicizia tra i due. Nei giorni seguenti al primo incontro, furono i celebri tavolini del Deux Margots ad ospitarli o lo studio della sua casa di Place General Beuret. L'intervista occupò cinque pagine della rivista, cosa mai accaduta per nessuno scrittore. Martinez era ritornato a Buenos Aires dove abitava e avrebbe incontrato varie volte Cortazar tra il 1967 e il 1972 sempre a Parigi e nel 1978 a Caracas nella casa di Manuel Sadosky, un matematico che era compagno di studi di Julio nel collegio secondario. Nell'intervallo tra un incontro e l'altro il flusso della corrispondenza dava continuità alla loro amicizia, tra affettuosità, voli di fantasia patafisica,commenti sui poemi di Lezama Lima, le foto di Sara Facio... 




Il loro primo incontro del 1968 fu fortuito in un primo maggio festoso e ancora una volta Martinez si trovò di fronte una persona che a stento poteva riconoscere: era arrivato il tempo della barba e dei capelli lunghi e disordinati, il tempo della presa di posizione politica al fianco del maggio francese scrivendo graffiti sulle pareti del Teatro Odeon o sui muri dell'università di Nanterre. Brindarono con un pastis parlando dell'ultimo romanzo di Julio, "62, modelo para armar", e di Cuba dove stava per andare. 

La copertina del libro di Martinez, riporta la fotografia dei 19 prigionieri politici mentre depongono le armi dopo la fuga fallita

Martinez restò un paio di anni a Parigi rientrò in patria pubblicando nel 1973 il libro reportage La pasion segun Trelew,  esempio di coraggio civico che ha conservato nella memoria una tragica vicenda anticipatrice del periodo più nero del paese. In questo testo Martinez contesta apertamente la versione ufficiale inerente alla morte di 16 guerriglieri appartenenti alle Forze Armate Rivoluzionarie, ai Montoneros e all'Esercito Rivoluzionario del Popolo. Come primo provvedimento, la sua posizione critica sulla versione ufficiale gli costò il posto nella redazione di Panorama sotto la pressione di Eduardo Massera, allora capitano di fregata e più tardi uno dei tre esponenti militari della giunta. 



Mario Roberto Santucho è tra i sei che riescono a prendere l'aereo alla volta del Chile, mentre la moglie fu massacrata a Trelew

Il giornalista racconta che a seguito di un piano di fuga che avrebbe dovuto liberare 25 guerriglieri imprigionati nel carcere di Rawson, alcuni di essi non sono riusciti a prendere l'aereo che li avrebbe dovuti portare insieme agli altri nel Chile socialista del presidente Allende. Solo sei riuscirono a fuggire; gli altri 19 hanno deposto le armi chiedendo di essere riportati in un carcere normale e non in un carcere militare. Non fu così, nonostante le assicurazioni di un capitano che fu tra i protagonisti della loro fucilazione (Luis Emilio Sosa), i prigionieri furono trasportati nella base militare di Almirante Zar, vicino a Trelew nella regione della Patagonia australe. 



I militari li fecero inginocchiare ordinandogli di guardare il pavimento, dopo di chè aprirono il fuoco con una mitragliatrice. Alcuni sopravvissuti alle raffiche furono finiti con la pistola dal tenente Roberto Bravo. Tre di loro, creduti morti, sopravvissero ma non gli venne data alcuna cura sperando che morissero dissanguati nella messinscena che i militari volevano preparare per giustificare la carneficina. Solo molte ore dopo, furono accuditi da un medico arrivato da Porto Belgrano dove vennero successivamente trasportati.


El Descamisado Nº 3, 5 giugno, 1973.


 In ogni caso, i tre che testimoniarono quello che successe, vennero nuovamente imprigionati durante la dittatura di Videla, entrando nella lunga lista dei desaparecidos. La versione ufficiale contestata dal libro di Martinez, spiegava che i 16 prigionieri avevano tentato un'ulteriore fuga e che morirono nel conflitto a fuoco con l'esercito che presidiava la base. Nella stessa notte del massacro il governo militare di Alejandro Agustin Lanusse sanzionò la legge secondo il quale nessun mezzo di informazione poteva diffondere informazioni sulle formazioni della guerriglia e sui loro membri. 




Di fronte alle richieste di verità il capitano della Marina Horacio Mayorga pronunciò il 5 settembre successivo, un discorso nel quale dichiarava:“No es necesario explicar nada. Debemos dejar de lado estúpidas discusiones que la Armada no tiene que esforzarse en explicar. Lo hecho bien hecho está. Se hizo lo que se tenía que hacer. No hay que disculparse porque no hay culpa. La muerte está en el plan de Dios no para castigo sino para la reflexión de muchos”.

La base di Almirante Zar ai tempi del massacro: oggi è un Centro Cultural de la Memoria
Solo nel 2012 la giustizia argentina ha incriminato Emilio Del Real, Luis Sosa y Carlos Marandino, condannandoli all'ergastolo per l'omicidio dei 16 uomini che erano stati incarcerati per ragioni politiche e del tentato omicidio degli altri tre (per Roberto Bravo fu chiesta l'estradizione essendo all'epoca residente negli Stati Uniti). 


Il tenente Luis Emilio Sosa in copertina


Come era immaginabile dopo cinque riedizioni tra l'agosto e il novembre '73, il libro fu proibito con un decreto municipale e 300 copie furono bruciate tre anni più tardi in una piazza di Cordoba insieme a libri di Freud, Marx e Althusser. Lo scrittore fu perseguito dalla terribile Triple A (l'organizzazione Alianza Anticomunista Argentina, illegale ma fortemente connessa con la giunta militare tra il 1973 e il 1976) che lo costrinse all'esilio, prima in Venezuela, poi in Messico. 




Ritornerà in patria nel 1985 ormai convertito in scrittore, prima pubblicando in forma di fuilletton sul settimanale El Periodista, La novela de Peron, successivamente riunita in un libro che avrà una larga fortuna internazionale. Poi ci saranno altri libri quali La Mano del Amo (1991), Santa Evita (1995), El vuelo de la reina (2002), El Cantor de Tango (2004), Purgatorio (2008). 





Nonostante questa coltivata inclinazione letteraria, non mancò di apparire con le sue colonne sul quotidiano spagnolo El Pais,  su quello americano New York Times e su quello argentino La Nacion




Proprio su questa testata Martinez ricorda in una intervista quanto Cortazar si sia sentito profondamente argentino, non smettendo mai di scrivere in castigliano nonostante la lunghissima permanenza a Parigi. A questo proposito  in una intervista alla rivista brasiliana Veja, Cortazar ha dichiarato che il passaporto francese, concessogli dopo che Mitterand gli ha fatto avere la cittadinanza, lo faceva sentire più argentino e sudamericano che mai. 





Già molto malato e con una evoluzione esponenziale della sua leucemia, Cortazar ha voluto ritornare in patria per un'ultima visita che simbolicamente voleva essere un saluto alla sua Argentina finalmente restituita alla democrazia. In questo ultimo sforzo lo scrittore ha confessato a Martinez di aver chiesto un'udienza al Presidente Alfonsin senza successo, restando molto amareggiato per questo. 




Aurora Bernadez interrogata da Martinez sulla questione ha sostenuto l'ipotesi che la militanza di Cortazar rendeva difficile l'incontro in quanto sarebbe stato indigesto ai militari con cui il Presidente, bene o male, doveva fare i conti. Ancora le loro ombre funeste minacciavano la fragile democrazia appena risorta.




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