DMD + M, UN CONCERTO ILLUMINISTA ALLO SFERISTERIO


La prima sensazione che si percepisce ascoltando il quartetto formato da Daniele Di Gregorio, Massimo Manzi, Giacomo Dominici e Massimo Morganti (ospite affatto estemporaneo, ma habitué coinvolto frequentemente dal trio), è che questi quattro superbi solisti protagonisti d’eccellenza del milieu marchigiano, mettono il proprio virtuosismo al servizio della musica d’insieme. Il loro progetto di collaborazione ha potuto consolidarsi negli anni, dimostrando la lungimiranza nel credere e insistere in una proposta che oggi è maturata, offrendosi in tutta la sua missione illuminista secondo cui l’ordine razionale che sta nella forma della musica, è il modo per dar ordine all'imprevedibilità irrazionale che nutre gli istanti nell’arte dell’improvvisare. Se all’origine l’idea è nata per configurarsi in un trio pensato intorno all'opus di un preciso quadro estetico dove i musicisti si misurano con un elastico interplay, fantasiosi e solidi nel repertorio come in tutti gli aspetti dei propri arrangiamenti, l’aggiunta di un trombone della levatura di Morganti ha creato la letizia espressiva di un impasto sonoro ancor più singolare e affascinante. Ma naturalmente non si tratta solo dell'approfittare di un’ulteriore sonorità per aumentare le possibilità combinatorie disegnate da Di Gregorio, Manzi e Dominici, perché alla loro impronta stilistica Morganti aggiunge un surplus decisivo in termini di eleganza, creatività e carattere, inserendosi con spontanea nonchalance e puntuale sintonia nel cuore dell’orientamento musicale che il trio originario ha messo a fuoco per farne il sigillo della propria identità. Il suo contributo incanta per la facilità e felicità d’esecuzione che in alcuni passaggi sfodera un ubriacante funambolismo, dove la rapidità delle note si fa serrata e i registri utilizzano tutta l’estensione dello strumento. L’impasto timbrico del quartetto, già di per sé originale, acquista sfaccettature diverse con l’uso raffinato di qualche effetto che in alcune occasioni riguarda il trombone, ma soprattutto concerne alle sonorità digitali impiegate da Di Gregorio sul suo malletkat



Questo strumento che riproduce fisicamente la tastiera e il timbro del vibrafono, attraverso sensori posizionati in corrispondenza dei suoi tasti, riesce a trasformarsi con una fedeltà sbalorditiva in una marimba come in un Render Rhodes, e tra le molteplici possibilità ha anche quella di diventare una voce umana che per via dell’armonizzazione a quattro parti risulta trattata come come facevano quei prodigiosi quartetti creatori del vocalese, capaci di articolare uno scat pirotecnico con il fraseggio caratteristico del be bop. Aldilà di questi aspetti proteiformi del suono, per il vibrafonista urbinate la sicurezza della tecnica con cui domina il suo strumento è un dato di fatto adamantino che l’interpretazione usa come mezzo e non come fine virtuosistico. Il suo pensiero diventa suono, articolazione del fraseggio, linguaggio situato sul crinale di quel jazz in eterno rinnovamento perché continuamente nutrito da nuove curiosità. Nel caso di Daniele, questo approccio fa onore al suo cruciale imprinting avvenuto quando ancora era un talento in erba ed è approdato al fianco di Giorgio Gaslini, indimenticabile demiurgico dello sperimentalismo. L'eco di questa esperienza rivelatrice si riscontra particolarmente nella scrittura, nell'articolazione, nella struttura e nel materiale melodico di una composizione che Di Gregorio ha scelto di intitolare, direi gasliniamente, Segmenti. Anche in questo come negli altri titoli, le improvvisazioni di Di Gregorio scorrono fluidamente “en situation”, come suggerisce un illuminante concetto di Sarte, prendendo la loro luce e il loro movimento sorprendente da se stesse, secondo un principio costruttivo parabolico: da un climax di riflessione interiore, a uno zenit virtuosistico espressivo ed agile, fino a concludersi con una ricapitolazione meditativa. Nel costruirle nota dopo nota, come inoltrandosi nel tessuto armonico senza alcuna certezza ma con fiducia, le elaborazioni istantanee fanno emergere l'energia gentile di un linguaggio personale screziato da influenze molteplici cesellate nelle atmosfere di uno stile postmoderno. Anche per i suoi compagni il rapporto dialettico tra gli estri dell’improvvisazione che attraversano le armonie, contenuti dagli argini rigorosi e robusti che li imbrigliano nella forma, sfida questi ultimi rendendoli permeabili con una porosità che li apre a fertili inserti. Da questo punto di vista uno dei denominatori comuni ai diversi arrangiamenti, sia per i temi originali che per quelli riguardanti la base del materiale classico degli standard, sono le introduzioni in alcune circostanze elaborate come cadenze solitarie che a turno fanno emergere le qualità solistiche dei quattro musicisti. In altre circostanze il materiale preparatorio ha un carattere essenzialmente ritmico, fino a ripetere una figura come un mantra che ad un cenno, e questo compito di avviso è svolto da Di Gregorio, viene interrotto dando il via alla parte tematica. Quest’ultima è presentata come il faut nelle composizioni originali, mentre per gli standard è quasi sempre trasfigurata con un intervento che non si limita alla semplice parafrasi del tema originale, ma coniuga quel tipo di invenzioni radicali che la pignoleria teutonica chiama veränderung, per dire che una certa trasformazione ha quasi valore di metamorfosi. 




Nella serata del Macerata Jazz Summer a cui il quartetto è stato invitato, questo impatto radicale ha riguardato Beautiful love, Stella by starlight, Solar, Green dolphin street fino Night in Tunisia che ha concluso il concerto con la sua vitalità.  Un destino diverso è toccato  alla magnifica melodia gershwiniana di The Nearness of you che è stata interpretata in tutta la sua melanconica delicatezza quasi urtext. Ma c'è qualcos'altro di molto significativo da dire a riguardo della sensibilità di Di Gregorio perché oltre agli aspetti già accennati, non è secondaria la sua raffinata competenza armonica, meritevole di essere sottolineata con la matita blu. Le armonizzazioni ascoltate in tutto il programma del concerto, si sono distinte  per la leggerezza con cui hanno ornato le improvvisazioni, disegnando prospettive intriganti di esattezza lenticolare, Se la limpidezza della loro consequenzialità ha ricostruito le griglie accordali degli standard, una vigilata ambiguità ha inserito un tocco di mistero a semplici strutture come quella del blues, nel brano firmato dal vibrafonista con il titolo Minor blues a testimoniare l'impianto nel modo minore, impiegato anche nel tema di Massimo Manzi ha intitolato Minoranze, coerentemente al suo incontenibile spirito rebelaisiano. Il batterista ha sfogliato agilmente il catalogo delle sue impronte ritmiche con mano sensibile, espertissima e ferma, punteggiando ad arte gli accenti condivisi, intrecciando stimolanti poliritmi,  disegnando raccordi in un dialogo sottile ed empatico con i tre compagni. Al suo fianco nella sezione ritmica, il contrabbasso di Giacomo Dominici protagonista di una estesa cadenza alla delicata ballad di Di Gregorio Tears over me, ma soprattutto perfettamente organico nel tenere ben saldo il filo conduttore, annodando fluidamente il corredo delle trame con linee morbide e consequenziali che indicano puntuali il profilo delle modulazioni armoniche. Convinti applausi dal pubblico che affollava la Gran Sala Cesanelli dello Sferisterio, provvidenziale alternativa alla sede suggestiva dell'Orto dei Pensatori esposta a minacciosi capricci meteorologici. Per i lettori che desiderano riascoltare il quartetto e per quelli che non hanno potuto condividere la serata e si sono incuriositi per via di questa nota, è certamente raccomandabile il cd registrato dal vivo in occasione del concerto tenuto da Di Gregorio e compagni sul palcoscenico del  mitico Al Vapore Jazz Club, che dal 1986 ha ospitato migliaia di serate musicali animando le notti di Porto Marghera.

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