BERLINO, ANGELI E MURI

 



"A Berlino è impossibile perdersi, si arriva sempre al Muro" dice Marion (Solveig Dommartin), un angelo del trapezio da cui è attratto Damien (Bruno Ganz), anch'egli angelo ma di quelli veri però tormentato dalla sua condizione di irriducibile eternità. Egli cade dal plumbeo cielo berlinese nella città divisa del 1987 e ancora straziata dalla presenza delle sue rovine belliche: insieme a lui un altro collega anche lui tentato da un desiderio di dissidenza alla vita ultraterrena e quindi di rinuncia alla sua impalpabile linearità senza passioni, dolori, amori, caducità. Wim Wenders chiamerà a scrivere questa storia Peter Handke, con cui dodici anni prima aveva collaborato per Falso movimento: la pellicola verrà intitolata Der Himmel über Berlin, tradotta in italiano alla lettera con Il cielo sopra Berlino, mentre in Francia si è preferito mettere in primo piano l'aspetto della relazione tra Marion e Damien scegliendo un titolo ricostruito in Les Ailes du désir.



Sarà il film del ritorno a casa dopo che il regista ha trascorso un lungo e fortunato periodo negli Stati Uniti. Girato dal meraviglioso bianco e nero di un direttore della fotografia come Henri Alekan (indimenticabile in La bella e la bestia di Cocteau), il film è un elegiaco poema cinematografico che ha il carattere labile della memoria dolorosa e angosciante con cui deve fare i conti il popolo berlinese, tra tabù resistenti e i tentativi di rimozione necessari a superare in qualche modo la gravità della storia. In questo quadro i due angeli di Wenders e Handke si comportano come flâneurs benjaminiani alla deriva, osservando la città dalla Gedachtniskirche, dalla colonna della vittoria, passeggiando accanto all'incombere oppressivo del Muro, e ispirandosi soprattutto nella Staatsbibliothek di Hans Scharoun, amorevolmente fotografata con una passione che non ha precedenti cinematografici nelle altre circostanze in cui una biblioteca ha trovato spazio su una pellicola.


Nell'insistere a riprendere questo istituto la musica di sottofondo suggerisce prima l'idea della biblioteca come un tempio, un luogo sacro, il luogo della cultura come luogo dell'anima, poi diventa più incalzante e segue le passioni accese dalla lettura nelle menti degli utenti oppure il lavoro del loro cervello che si confronta con problemi scientifici e produce risposte in un crogiolo di lingue diverse, assimilando la biblioteca ad una fabbrica, ad un luogo del progresso. E poi c'è Potsdamer Platz che è stata l'emblema della frenetica vivacità della città celebrata nel celebre muto espressionista Die Symphonie einer Großstadt di Walther Ruttmann (1927), ed è diventata una terra di nessuno simbolo della catastrofe, abbandonata e sommersa da una vegetazione disordinata, cancellata dall'implacabile capillarità dei bombardamenti che l'anno sfigurata.


In questo quadro dolente Damien avvicina a Marion spiando il suo monologo interiore, quando la trapezista si sta preparando ad esibirsi volteggiando nel tendone del circo Alekan (sì, Wenders lo chiama con il cognome del suo fotografo!) per l'ultima volta in quanto il circo è fallito. Damien cerca di attraversare il muro della sua immaterialità eterna di puro spirito per tornare ad essere uomo immergendosi nel corso del tempo finito, come metafora del desiderio di abbattere il muro divisivo che in quel 1987 sembrava separare per sempre la capitale delle due germanie. Fatto sta che due anni dopo l'uscita del film, a Berlino tornerà la possibilità di "perdersi" grazie alla caduta del muro, una scossa tellurica che scuoterà il mondo dei blocchi contrapposti stabilito nel secondo dopoguerra, aprendo il capitolo di una nuova scena geopolitica, . Il film di Wenders è ritornato nelle sale dopo l'accurato restauro in 4k perfezionato dalle sapienti mani del personale che opera alla Cineteca di Bologna. Da vedere o rivedere, ma tassativamente al cinema!
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e testo
Tutte le reazioni:
Laura Francia, Mariangela Calatroni e altri 13

Commenti

Post più popolari