La fame fuori dai clichès, raccontata da Martin Caparros




"La lotta contro la fame è uno dei grandi luoghi comuni, uno dei cliches più abituali...è la prima cosa che denuncia Miss Venezuela alla cerimonia in cui la eleggono Miss Universo". E' la scoperta dell'acqua calda, ma anche il punto di partenza necessario per chi decide di  approfondire questo tema doloroso, esorcizzandone la superficialità. La frase riportata è stata raccolta da un'intervista che Martin Caaparros ha rilasciato al quotidiano spagnolo El Pais, in occasione dell'uscita del suo saggio "El hambre". L'autore non è spagnolo ma proviene da un paese latinoamericano che è stato il cuore di una crisi economica capace di incidere sulla classe media e di trascinare nella disperazione e nell'indigenza i meno fortunati: l'Argentina. 




Quindi Martin Caparros, non ha solo indagato il fenomeno incrociando dati, episodi, storie che vengono da lontano, ma lo ha visto negli occhi dei bambini finiti per strada, affamati ed analfabeti, che si aggirano nelle strade di Buenos Aires chiedendo elemosine e frugando nell'immondizia per cercare qualcosa da mangiare. Bambini  che hanno ingrossato il numero spaventoso degli 800 milioni di persone che soffrono per mancanza di cibo. 



Ecco, ho utilizzato una cifra e questa è un'abitudine sbagliata secondo Caparros che afferma come pensare alla fame è pensare a cifre e numeri, non a persone astraendo il problema per tagliare il suo potenziale di violenza. Pensare alle persone vuol dire essenzialmente evitare quella che Caparros chiama "la pornografia della miseria" , dando un apporto umano e concreto al fenomeno "più canaglia della storia".



In questa prospettiva è sottolineato il fatto che oggi la fame non dipende dalla capacità umana di ottenere alimenti che è il doppio di quello che serve per soddisfare tutta la popolazione del globo, ma da pratiche economiche così potenti da orientare la volontà politica a loro piacere. La tesi cerca di dimostrare che il problema della fame non è un problema di povertà, bensì un problema di ricchezza e della sua concentrazione: se qualcuno non mangia è perchè altri lo fanno in maniera sproporzionata e sostanzialmente ingiusta. E tra quelli che mangiano, ci sono persone  che si saziano con cibi spazzatura come ad esempio i nordamericani. Per loro, la fame si risolve con il consumo di alimenti industriali a basso costo perchè preparati con pessimi ingredienti. Il risultato è che il loro mix ipercalorico innesca la spirale dell'obesità concentrandola tra i poveri.  In questo caso la fame, nella pancia del paese più ricco del mondo,  è risolta con il mal nutrimento. 





In altre regioni la fame si articola differentemente. Ad esempio nel Bangladesh ha la capacità si imporre una disciplina, in quanto la paura di soffrirla costringe molte persone ad sopportare forme di lavoro che altrimenti non avrebbero mai accettato. Nelle seicento pagine del saggio, sfilano storie di persone afflitte dal problema di come e cosa poter mangiare, e dietro ognuna di queste storie c'è l'ombra malefica di coloro i quali coltivano i propri interessi intorno a questo flagello. 




Un esempio viene dalla quinoa, al centro di una delle tante mode alimentari create ad hoc per incuriosire i consumatori dei paesi ricchi, illudendoli di migliorare il loro stile di vita. Questo cereale povero chiamato "il riso degli Incas", è stato da sempre la base essenziale delle popolazioni andine del Cile e del Perù, in quanto poco costoso. Oggi che la moda lo ha imposto con successo nei mercati alimentari occidentali, il suo prezzo è così aumentato che i suoi antichi consumatori non se lo possono più permettere.



Naturalmente la produzione di quinoa è passata alle multinazionali che hanno acquistato i terreni dove si coltiva, utilizzando la mano d'opera locale, con i soliti sistemi di sfruttamento. Allo stesso modo e non per scopi alimentari, le imprese dei paesi ricchi hanno occupato le piantagioni di cereali dei paesi poveri in favore del businnes legato ai biocombustibili o all'accelerazione transgenetica dietro alla quale c'è una corporazione globale come Monsanto. 



Oggi il capitalismo sa che questo comportamento è pericoloso perchè quello che Ban Ki-moon ha battezzato come "il cammino della dignità",  può spingere le popolazioni affamate alla rivolta popolare come è accaduto in Tunisia ed Egitto durante la primavera araba: in quella circostanza una delle ragioni condivise dal popolo era quella di lottare contro il vertiginoso aumento del prezzo del pane.



Per questo gli organismi internazionali, che sono comunque una emanazione dei governi dei paesi che contano, hanno programmato un piano secondo cui il 2030 sarà l'anno in cui la fame scomparirà dal pianeta.  Non credo che si possa avere fiducia in questo programma, che se sarà effettuato continuerà ad essere pagato in altri termini dai più deboli, mentre oggi occorre sottolineare che muore di fame un bambino che ha meno di dieci anni ogni cinque secondi!. El hambre, oggi edito da Einaudi nella traduzione italiana con il titolo "La Fame", è un libro indispensabile che può cambiarti il modo di vedere il mondo, facendoti aprire gli occhi se ancora non li hai aperti, o facendoti mettere a fuoco lo sguardo se invece hai già una coscienza di questo fallimento dell'umanità. 



Un libro essenziale come "Le vene aperte dell'America Latina" di Eduardo Galeano, grondante di verità irrefutabili che attraverso i numeri rimanda alle vite che ci sono dietro ad essi. Nel pellegrinaggio attraverso la fame, il libro si apre in Niger con la storia di una madre che si carica sulle spalle il cadavere del suo bambino: un'immagine fortissima che si ripete anche quando lo scenario cambia, transitando per l'India, il Sudan, il Madagascar e l'Argentina. Come non condividere il carico ideologico che nel raccontare la storia, la sociologia, la politica della fame, risulta decisamente anti capitalista e anti mercato? Ricordo che il nome di Caparros spiccò nella denuncia verso lo spreco dei dodici miliardi di Euro spesi per Expo, che secondo la FAI equivale a quasi la metà dei soldi che ogni anno servirebbero per nutrire quella parte del pianeta che non ha nulla da mangiare.

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