Le magica odissea visuale di Cy Twombly al Centre Pompidou





Da molto tempo Cy Twombly, con la sua pittura invisibile quanto inaccessibile, appare allo sguardo e al cuore dei suoi spettatori più fedeli un mito. Americano di nascita (1928) e romano d'adozione sin dagli anni '50, ha mantenuto una vita privata molto riservata che solo il dettagliato catalogo pubblicato in occasione della sua retrospettiva organizzata alla Tate Modern di Londra nel 2008. I suoi segni hanno depositato su carta e tela un sistema di enigmi indecifrabili, ispirati alla sottrazione per essere coniugati in opere che non risultano mai illustrative nè completamente astratte. 




La loro povertà formale è nutrita da titoli nobili che rimandano alla mitologia greca, all'Impero romano, all'arte classica, semplicemente per la forza evocativa di nomi scritti con pastelli grassi o crayon in una calligrafia tremante, in mezzo ad un groviglio rarefatto di segni assolutamente estranei a qualsiasi relazione con quei nomi. 



E questi rinvii sono così formidabili che sembrano agire anche nelle opere dove sono, per così dire, omessi o meglio sottratti, consegnando i vertiginosi grumi di linee composte con la stessa tecnica, all'assenza di uno di quei nomi antichi. 





Nell'apparente disordine dei segni, ci troviamo di fronte al rigore dell'alchimia di una poesia astratta, delicata e monumentale: incarnazione disincarnata di un mistero che attraversa sei decenni di ellissi pittoriche dove il classico si trasforma in simbolico, assumendo una nota statunitense derivata dall'espressionismo astratto teorizzato e praticato dai suoi colleghi americani.




Leggendo la sua biografia emerge un fatto che può rimandare l'attrazione verso l'arte antica non ad una ragione strettamente estetica, ma ad una chiave familiare: la sorella studiosa del greco e del latino, amava parlare con il padre proprio in latino, gettando la casa dove ancora viveva Edwin Parker (posteriormente Cy), in un'atmosfera di singolare austerità. 



Orpheus (1979)

A proposito delle molteplici allusioni al mondo classico presenti nelle opere di Twombly, non sono sfuggite ai responsabili delle collezioni del Louvre che gli hanno commissionato un dipinto di grande formato(4 metri per 2)da utilizzare come volta per la sala dei bronzi greci: l'artista ne ha colorato il fondo con il blu Giotto, scrivndo sopra di questo i nomi dei sette principali scultori della Grecia Antica. 


Tornando al Pompidou, il commissario Jonas Storsve che ha ideato l'articolazione della mostra, ha scelto di iniziarla con una sala dedicata alle pitture bianche del 1959, enigmatiche come lo possono essere dei reperti antichi deturpati dal tempo: economia dei mezzi spinta all'estremo attraverso superfici materiche dove i segni risultano incisi, componendo un lessico erudito su cui ci interroghiamo come di fronte a totem che ci giungono dalla notte dei tempi. 







Proseguendo la visita che segue un limpido ordine cronologico, sembra che l'imprinting ricevuto già dal primo momento sia confermato seppur attraverso le metamorfosi riconoscibili nelle opere che via via incontriamo: Twombly ci sfugge e per questo resta un artista a se stante nel panorama dell'arte che dal secondo dopoguerra è arrivata ai giorni nostri. 


Olympia (1957)

Pittura materica, lettere, cifre, parole, graffiti, collage, ...: un caos lucidissimo se mai possiamo arrischiare di aver percepito qualche segno di riconoscimento che si è manifestato come un'impronta d'identità in sessant'anni di carriera, per esempio nei re grandi cicli monumentali intitolati rispettivamente Nine Discourses on Commodus (1963), Fifty Days in Iliam (1978), Coronation of Sesostris (2000): la virulenza e il dinamismo delle opere, l'equilibrio della loro composizione, la loro gestualità espressiva. 


I Greci (1995)


L'acuta intelligenza di Roland Barthes, che ha dedicato un saggio a Twombly, (ripubblicato in occasione della mostra edizioni Seuil) rileva nella sua opera l'elemento ritmico, aggiungendo: "...quello che si impone, non è questa o quella scrittura, e tanto meno l'atto di scrivere, ma l'idea di una texture grafica". 



A mio parere, appartengono ad un capitolo a parte le sculture realizzate tardivamente, con un assemblaggio di materiali eterocliti alla fine con una mano di bianco che le trasforma a dire dell'artista, nel suo "marmo personale". 


Nella mostra, che è la più completa mai allestita su Twombly, figurano 140 opere, tra pitture, sculture, disegni e fotografie, e può essere visitata fino al 24 aprile. 


Ritratto di John Cage, 1952

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