La spagnola licenziosa e il bambino capriccioso di Ravel al Teatro alla Scala




La solenne austerità del Teatro alla Scala illuminata dalla freschezza di colori musicali  risplendenti: è questo l'incanto immediato che scaturisce dalle uniche due partiture che Ravel ha destinato al teatro musicale, smarcandosi dalle forme che conquistano l'intransigenza dei melomani, fanatici dell'opera italiana. Le due perle che hanno trovato lodevolmente uno spazio nella classica stagione scaligera, sono l'Heure espagnole e L'enfant et le sortiléges, messe in programma congiuntamente sotto la direzione di Mark Minkowsky, fuori gioco rispetto il suo repertorio d'elezione ma, nonostante questo, particolarmente acuto nel comprendere come salvaguardare la spumeggiante leggerezza e il dinamismo cromatico dei due atti unici. Nel primo, la sua lettura riesce a cogliere anche lo spirito di certi passaggi della partitura dove vuole essere evocato l'universo degli automi e quindi la loro natura meccanica; nel secondo, è stata sorprendente la capacità di definire il dettagliato spettro cromatico insito nella partitura, sottoponendolo a quell'alone di spaventevole mistero nella quale precipita il piccolo protagonista.  L'allestimento che si è visto, non è stato ideato per l'occasione ma  ha portato sul palcoscenico milanese il lavoro che Laurent Pelly ha curato nel 2012 per il Glyndebourne Festival. 

Stephanie D'Oustrac
L'orchestra ha dato il meglio di sè, spiccando nelle parti solistiche per la naturalezza con cui sono state interpretate e accompagnando un cast di cantanti di primissimo piano, sia dal punto di vista vocale che da quello attoriale. Tra tutti la mattatrice mi è sembrata la mezzo soprano Stephanie D'Oustrac, maliziosa e avvenente femmina spagnola (Concepcion) e quindi nel doppio ruolo di animale parlante: miagolante gattina e scoiattolo, prima ferito e poi curato dal bimbo cattivo. Il pubblico ha accolto con generosità lo sforzo profuso da tutti  in questo lavoro  molto curato che ha presentato in maniera eccellente la scrittura di Ravel e la drammaturgia delle operine mancanti dal 1978 nel cartellone scaligero. Purtroppo e ancora una volta quando si esce dall'operismo di tradizione, l'affluenza non è stata all'altezza dell'altissima qualità di questo programma. 



L'Heure espagnole è stato scritto sul libretto umoristico di Maurice Etienne Legrand (firmato con lo pseudonimo Franc-Nohain): quello che incuriosiva Ravel nell'operazione di mettere in scena questo racconto gaudente, era l'idea di fondere recitativi da opera buffa italiana, insieme ad un lirismo dal carattere ridicolo, senz'altro estraneo al gusto dell'epoca (l'operina fu composta rapidamente tra il maggio e l'ottobre 1907, suscitando le riserve di Albert Carrè, allora direttore dell'Opéra Comique, a cui Ravel l'aveva proposta: più tardi, il 19 maggio del 1911, sotto l'intercessione di Madame Jean Gruppi, influente moglie di un Ministro, l'opera giungeva proprio in quel prestigioso teatro, ricevendo una sferzante stroncatura da tutti,  critica, pubblico e colleghi tra i quali Erik Satie che infierì commentando le melodie dell'opera come il canto  di "usignoli con il mal di denti").



La scena musicale non era ancora pronta ad accettare l'estetica che si riassume nel termine di origini bavaresi "kitch". Per questo le geniali invenzioni timbriche di Ravel che animavano gli effetti strumentali e i tessuti vocali, risultavano particolarmente eccentrici e provocatori, sottolineando altresì che l'obbiettivo di Ravel era quello di presentare una parodia dell'opera. Si può ragionevolmente supporre che il suo riferimento culturale per questo lavoro guardasse alla moda spagnola del "Teatro por hora", cioè ad un genere di spettacolo popolare sviluppato nell'arco di un atto unico. Assecondando queste curiosità, Ravel esplorava un terreno alternativo a quelli del realismo imperante, del simbolismo ormai estenuato e del drammatismo post wagneriano. Per un insuperabile esteta come lui, irrompere nel teatro musicale, significava anche teatralizzare la musica attraverso il suono, inserendo nella plasticità dei suoi tessuti orchestrali, corpi estranei.



Ad esempio l'ouverture che vuole condurre lo spettatore nel negozio di un orologiaio che si trova nella Toledo secentesca, crea l'atmosfera utilizzando una serie di rumori sommessi e imprecisabili, scanditi da pulsazioni che alludono al meccanismo di un orologio sotto cui il compositore piazza un basso continuo. Da questa base, emergono inoltre, di quando in quando, suoni di campane, di uccelli meccanici o di carillon, in un caos sonoro che mantiene lucidamente un rigore "divisionista", individuando gruppi orchestrali che sostengono autonomamente i solisti prescelti.



Ma anche il canto e gli strumenti sono chiamati a gesti che figurano nella letteratura effettistica: il glissato dei bassi, gli ottoni con la sordina, il gorgogliare del controfagotto, il tenore Gonsalve spinto in una tessitura altissima che in una lettera Ravel consiglia di affrontare "con una voce graziosa, abusando dei gorgheggi fino all'eccesso". Per quel che riguarda la struttura, al preludio evocativo, seguono 21 scene e un quintetto conclusivo dove si esprime, con un vero e proprio pezzo di bravura, tutta la magistrale competenza dell'autore nell'arte della più elegante orchestrazione polifonica. In questo finale tutti i protagonisti della storia ne traggono una morale a lieto fine: moltiplicando le vicende d'amore, prima o poi si incontra il partner che fa al caso proprio. 


 Enregistrement de L’Heure espagnole de Maurice Ravel par Bruno Maderna avec l’Orchestre symphonique de la BBC.
Una versione discografica di L'heure espagnole diretta niente di meno che da Bruno Maderna

La pochade boccaccesca ambientata nel negozio di un'orologiaio della città castigliana, racconta dei pruriti amorosi della bella e capricciosa Concepcion, esuberante fedifraga circondata da una girandola di spasimanti per lo più inconcludenti. La varietà vocale della protagonista oscilla tra intermezzi recitati, parti quasi cantate e abbozzi di arie che lasciano in una indecifrabile sospensione il loro carattere drammaturgico. I personaggi maschili che gli ruotano intorno stilizzano grottesche macchiette degli stereotipi comici, cesellate per esprimere temperamento, personalità, attitudini, conformi agli archetipi di una storia del genere: l'intellettuale che trasfigura in rime la sua passione, non è capace di affrontarla in altro modo; il vecchio che fonda il residuo del suo fascino sulla sua ricchezza, ha consumato lo smalto sensuale della gioventù; il povero, ignorante è bello, focoso e pronto a soddisfare le fantasie di Cencepcion.



E Ravel non utilizza solo la teatralità intrinseca a queste figure ma disegna i loro profili anche attraverso le suggestioni diffuse con la loro vocalità. Così il povero Torquemada, vecchio esile e snervato prototipo del marito così operoso e assente da candidarsi involontariamente al perfetto ruolo del cornuto, risulta alquanto sbiadito.  Gonsalve, poeta impacciato, è disegnato con le invenzioni più esilaranti di Ravel come una caricatura, attraverso l'utilizzo di gorgheggi e vocalizi in cui si sente l'eco del bel canto di coloratura. Don Inigo Gomez, il borioso e ricco banchiere, annunciato da una frase pomposa dei corni, sconfina sovente nel parlato. Fortunatamente, tra "uno che manca di temperamento e l'altro di natura", Concepcion, ormai sull'orlo di una crisi di nervi almodovariana, riconsidera un oursider che fino ad un momento prima era solo l'umile facchino che caricava e scaricava pendole pesantissime per il marito. E' Ramiro, mulattiere belloccio, emblema della fisicità e del vigore sessuale: a lui tocca incarnare il pittoresco con una vocalità spagnoleggiante,  e di quietare gli ardori di Concepcion.



Per aggiungere ulteriori spezie ad una vicenda tutto sommato banale, Ravel ricorre anche alla "mauvaise musique" (raccomandata niente di meno che da Proust), vale a dire a intermezzi con minuscole dolcezze a tempo di valzer, a frammenti che sembrano provenire dal piccolo mondo del rag-time o alludono sfacciatamente alla tradizione popolare spagnola. Il kitch, insomma, è introdotto per la prima volta nell'opera dell'allora trentaduenne Ravel, inaugurando con quella sua declinazione ironica, l'estetica del gioco e della scommessa su cui fonderà le future composizioni. 




Anche L'Enfant et les sortilèges, oltre a trattare per l'ultima volta della rievocazione nostalgica del mondo infantile prediletto da Ravel, è pervaso da un'eclettismo che in questa partitura transita dall'opera al music-hall. Il libretto fiabesco, scritto in una settimana da Colette al modo dei contes moraux settecenteschi, ha come protagonista un bambino insopportabilmente irrequieto. Contro questa peste refrattaria all'ubbidienza, si scatena una punizione stravagante, sottoponendolo a magici sortilegi che lo terrorizzano per via di oggetti che si animano e animali che acquistano il dono della parola.

L'enfant et les sortileges alla Scala


La punizione termina quando, nell'atmosfera incantata di un giardino notturno, il monello prenderà coscienza dei suoi errori compiendo il gesto generoso che salverà uno scoiattolo ferito: la madre perdonerà tutte le marachelle filiali. Infine il bambino si getterà tra le braccia materne in quell'abbraccio che lui stesso aveva rifiutato nella scena iniziale della "fantasie lyrique", vale a dire "opéra dansè" caratterizzata da una "suite kaléidoscopique d'actions mouvementées". Ricevuto il testo nel 1916 e scritti i primi appunti, Ravel si gettò nell'opera solo nel 1924 dedicandovisi anima e corpo per rispettare il contratto con il Teatro dell'Opera di Montecarlo dove L'enfant debuttò il 21 marzo 1925. In quella prima occasione, il direttore fu un giovane che in dodici ore aveva imparato a memoria la partitura: Victor de Sabata.




La fantasia lirica pensata da Ravel, si articola come un pastiche, sostenendo il canto, accompagnando coreografie dove la danza è ridotta a pantomina e ricorrendo anche in questa occasione ad un particolare impianto sonoro dove l'orchestra è spesso utilizzata in una riduzione cameristica. In questa forma Ravel non manca di far emergere strumenti particolari quali la celesta, il flauto a coulisse, l'Eoliphone, tutta una serie di diavolerie percussive e il piano-luthéal (il prototipo di un pianoforte costruito da Pleyel nel 1924 su un brevetto belga di Georges Cloetens: ad un normale pianoforte a coda erano applicati due meccanismi supplementari: l'"harpe tirée", attraverso il quale si riuscivano a creare armonici all'ottava superiore della nota fondamentale, e "le jeu de clavecin" che attraverso degli smorzatori trasformava il suono del piano in quello di un pizzicato cembalistico).



Essendo praticamente impossibile che i teatri potessero mettere a disposizione questo prototipo stravagante, Ravel si rassegnò ad un pianoforte convenzionale, prescrivendo che le parti riservate allo strumento introvabile fossero eseguite mettendo un foglio di carta sulle corde... come in passato aveva fatto Satie e in futuro faranno i compositori d'avanguardia. Il ravelismo era diventato una maniera del novecentismo, attraverso l'elogio in tecnicolor dell'eterogeneo. 

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