Troilo centenario

Maestro di sensibilità, Anibal Troilo è stato un artista generoso che non ha sprecato nulla della sua inventiva, della sua solennità intimista, della sua fragranza timbrica, del suo serbatoio retorico, compiendo il miracolo di modellare il suo stile così emotivamente scoperto, sulla forma della sua umanità,  con il coraggio di abbandonarsi senza riserve alla natura che da sempre vibrava in lui. Destinato a spiegare attraverso la sua opera, il sentimento della sua città e dei suoi abitanti, ogni  passaggio della sua musica, ogni frase, sono un evento di comunicazione,  novità e coerenza che fa riverberare in sé il modello decareano, invisibile e mai citato, piuttosto interiorizzato come ricordo remoto.




L’inclemenza del tempo non è riuscita a smontare la forza ed il pathos avvincente di uno stile, dove i risvolti cangianti della musica risuonano l’uno nell’altro, incrociano la vertigine della bellezza che vibra dagli arrangiamenti orchestrali. 

Anzi i frutti dolci e velenosi del tempo alimentano la cassa risonante di una musica sempre fedele a se stessa che Troilo ha coltivato come aspirando ad una permanente evocazione suggestiva. Se pensiamo al suo modo di concepire la musica, bisogna forse insistere sulla figura dell’Architetto, nella quale si incarna perfettamente quel tipo di felicità espressiva, tutta tesa all’unità di stile costituita dal fatale intreccio tra il più minuto particolare e il più maestoso insieme.

Pichuco "manos como patios", scrive Horacio Ferrer in uno dei suoi capolavori firmati insieme a Piazzolla (El Gordo triste)
La lingua vibrante e mutevole del suo cosiddetto “sabor troileano” si può sintetizzare in tre iperboli distinte che si sono susseguite. Nella prima, appoggiati sull’insistenza di un ritmo rapido adeguato al passo di successo imposto dallo stile ritmico e orizzontale di D’Arienzo, gli arrangiamenti inseriscono alcune dissezioni brucianti che rivelano nodi plastici e fibre di un prezioso tessuto inedito, messo al servizio dei testi poetici con il risultato di far emergere il ruolo del cantor de orquesta, incarnato all’epoca da Francisco Fiorentino. La sua voce è come una scontrosa carezza; il secondo cuore della prima orchestra è il pianoforte di Orlando Goni che pulsa dal fondo tra le pieghe della massa sonora; i violini di allora tracciano nell’aria variopinti fili sottili con prudenza ed eleganza; la fila di bandoneones è implacabile nel disegnare un serrato arco di contrappunti ritmici; il contrabbasso è l’ombra profonda e swingante della mano sinistra del pianoforte.


La prima orchestra di Troilo
Nella seconda Troilo diventa partigiano della parola poetica, affinchè in essa  si rispecchi e si riconosca la sua musica, entrando con lei ed i suoi interpreti, in una risonanza empatica, radicale e costante. In sintonia con i nuovi poeti Homero Manzi e Catulo Castill, gli arrangiamenti proiettano le loro nouances  sui versi, come l’alone risonante di un sospiro mai slegato dalla carne e dal sangue dell’esperienza esistenziale, dalla polvere delle strade e dei giorni.
L’energia espressiva dell’orchestra si accentua, il magnetismo della sua pulsazione è rallentato e si spezza in combinazioni vibratili ed ondose, in invenzioni prismatiche che una linfa sentimentale fluttuante. Gli arrangiamenti sono orientati verso una prospettiva di complessità che non può essere indagata solo attraverso la lente dell’analisi formale per scoprirne i segreti: una complessità che va interpretata sul piano genetico della poetica o meglio ancora dello Stimmung romantico secondo cui la musica deve preoccuparsi di elaborare l’atmosfera suggerita dal testo e in questo caso, dalle interpretazioni dei suoi mattatori, Floreal Ruiz, Edmundo Rivero e Roberto Goyeneche fra tutti. In questo periodo l’orchestra di Troilo si fa lunare e magnetica, di una più delicata ed infiammata alchimia estetica.

Troilo e Goyeneche

Nella terza fase, lo stile dell’orchestra è ormai puro, senza echi di numi tutelari, avendo superato tutti i confini per annidarsi in un perimetro di specchi autoreferenti che superano la necessità di ospitare le immagini evocate dalla poesia: così il vertice dell’opera troileana coincide con lo svanire delle influenze più resistenti e con l’autosufficienza strumentale.
Percepiamo in ogni frase musicale una forza doppia, liberatoria e vischiosa, dove ogni suono è danza, onda, bagliore ed insieme eco ipnotico e meduseo: una sorta di teatrino eccentrico nutrito di moduli inauditi e di grumi preziosi, su un ritmo(erotico) che rimbalza graffiante ed ellittico.


Pichuco balla con l'amata Zita


In tutto questo, e per tutte le tre fasi distinte, è sbalorditivo come l’originale linguaggio del Troilo strumentista, anche rispetto ai suoi modelli Chiriaco Ortiz e Pedro Laurenz, aderisca a quello dell’orchestra come un guanto di seta aderisce alla forma di una mano. 




Ogni sua variacion fraseada, è un distillato di pensiero, nervi e cuore, versato in un fraseggio coltivato di spleen, sempre imprendibile nelle sue molteplici sfaccettature di sensazioni e malinconie. In questi brevi momenti Troilo sembra visitato da dei fantasmatici che favoriscono l’abbandono ad uno scioglimento estatico. Immerso nella grazia ed in una forma di verità liberata, il suo bandoneon diventa il medium e l’essenza di uno spirito acceso da un’insaziabile richiesta di umano sentire, confitto nella sua mente, nella sua carne, nel battito del sangue alle tempie, nella verticalizzazione ariosa della coscienza. 


Il Gotha del bandoneon: Astor Piazzolla, Anibal Troio, Pedro Laurenz

Quest’anno si ricorda il centenario della sua nascita: purtroppo solo a Buenos Aires con una certa consistenza nelle iniziative. L’Italia, nella convulsa attività di milongas, spettacoli di tutti i tipi e livelli, festival, master class, brilla per l’indifferenza: ma si sa qui il tango è ballo, ballo, ballo, solamente ballo e nient’altro che ballo. Invece sembra legittimo coltivare la fantasia che sia Troilo stesso ad attendere ancora trepidante il dono del nostro ascolto, del nostro batticuore che lo mantiene vivo tra di noi con l’eterno sigillo di Bandoneon mayor de Buenos Aires.



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