A/TRAVERSO, MAODADAISTI IN LOTTA




«A/traverso è una rivista che esce dal maggio 1975 e che si propone come rivista per l’autonomia. Autonomia intesa non come organizzazione, ma come tendenza storica latente concretizzata in uno strato sociale estraneo all’ideologia del lavoro e al rapporto di prestazione, emergente nel processo di formazione del movimento di liberazione dal lavoro». Con queste parole si presenta quella che è stata considerata come la rivista più rilevante nell’ambito della controcultura degli anni Settanta, viene fondata a Bologna nel 1975 da un collettivo di militanti di Potere operaio e di studenti universitari “facente capo” a Franco Berardi, conosciuto come Bifo, uno dei più noti animatori del panorama controculturale italiano. 

                            


Del collettivo fanno parte anche Maurizio Torrealta, Stefano Saviotti, Luciano Cappelli, Claudio Cappi, Paolo Ricci, Matteo Guerrino e Marzia Bisognin. I contenuti della pubblicazione sono indirizzati a realizzare il programma di sovversione dell’ordine del discorso in opposizione al discorso dell’ordine – secondo il noto slogan foucaultiano – nell’ottica utopistica di una rivoluzione politica e sociale. Il programma della rivista è quindi basato sulla pratica creativa della scrittura esercitata  modificando quel che rispondeva a un determinato sistema ideologico, perpetrandone il potere. Oltre alle teorie del già citato Foucault,  trovano spazio quelle di Lacan, Deleuze, Guattari, ma anche di Artaud e, in sostanza, di tutto l’orizzonte filosofico che caratterizza i movimenti degli anni Settanta. Lo “stile di scrittura” coincide con il programma politico che influenzerà profondamente tutte le altre riviste del periodo, orientandosi al sistema conosciuto con il nome di Trasversalismo.  A connotarlo è l’uso della barra che “taglia” le parole  con la funzione di rendere manifesta la contraddittorietà all’interno del sistema linguistico e la polisemanticità insita nei segni, in funzione contestativa rispetto ai significati imposti dalle convenzioni linguistiche, ovvero sociali. La barra  separa le lettere,  “attraversando” le parole già nel titolo della rivista, ed è ripresa da Lacan indicando il rapporto di separazione tra significato e significante.



Dalla rivista si sviluppa anche la “corrente” del Maodadaismo, doe emergevano in vario modo espliciti omaggi al movimento di Tristan Tzara, al Futurismo russo e alla riproposizione, in particolare nei testi dei cosiddetti indiani metropolitani. Non mancavano certe soluzioni formali marinettiane, frammenti di alcuni paradigmi culturali emersi o riattivati nel Novecento: il desideriointeso come «macchina desiderante» potenzialmente rivoluzionaria (Deleuze, Guattari), l’uso del falso, del détournement, il superamento dell’arte, il general intellect. Non ultimo era l'interesse a riguardo della rivoluzione culturale cinese, vista nel segno della democratizzazione dei processi di produzione culturale e del superamento della separazione dell’intellettuale dalla società. In quest’ottica il collettivo di «A/traverso» rifiuta invero le soluzioni elitarie delle avanguardie storiche e critica apertamente la strategia del Gruppo 63 e di Quindici che avevano mantenuto, a loro giudizio, la distanza tra intellettuale e massa – eleggendo invece a proprio “nume tutelare” Majakovskij, che si era calato appieno nel processo rivoluzionario, superando tale separazione. 


La vera “rivoluzione” operata dalla rivista riguarda soprattutto la composizione tipografica per la radicalità programmatica di alcune soluzioni e per il particolare uso della tecnica del collage tra gli interventi, anch’essa di derivazione avanguardistica. I testi di diversa natura vengono accostati secondo orientamenti diversi e mutevoli sulla pagina (orizzontale, verticale, diagonale), in compresenza con caratteri tipografici, scrittura a mano, sperimentazioni tipografiche che deformano le parole (tagliate da simboli, cancellate, ingigantite, etc.), infrazione della linearità della loro successione,  illeggibilità,  impaginazione che costringe il lettore a ruotare o capovolgere il foglio obbligandolo a una  lettura dinamica.   Questa impaginazione richiama per molti aspetti quello del punk presente in particolare sulle fanzine inglesi, condividendo l’idea di una comunicazione “sporca”, disturbata e dissonante rispetto allo standard comunicativo.  L’obiettivo di «A/traverso» è infatti quello di fare dell’utilizzo creativo, ovvero poetico, del linguaggio un’arma a disposizione di tutti nella quotidianità per resistere al condizionamento sociale e politico, superando la separatezza dell’arte, come istituzione, dalla realtà, ma anche di istituire una sorta di identificazione tra linguaggio creativo e rivoluzione politica. Molte delle soluzioni stilistiche adottate nei testi presenti sulla rivista riportano immediatamente alle avanguardie storiche, secondo modalità che sono state illustrate, tra i primi, da Calvesi e Claudia Salaris. Tuttavia, si deve considerare a questo proposito che all’interno di «A/traverso» sono presenti, soprattutto, interventi programmatici dedicati alla tematica del linguaggio, che ricordano nel tono i manifesti delle avanguardie storiche. 


Nel febbraio 1976 il collettivo di «A/traverso» è protagonista di una delle iniziative più note del movimento del Settantasette, la creazione di Radio Alice, diventata una sorta di simbolo del movimento. La radio permette di esplorare nuove modalità di comunicazione e porta il collettivo a rielaborare, in parte, la propria teoria sulla comunicazione mediatica – sulla scorta delle proposte di Brecht e di Enzensberger, quest’ultimo ex membro del Gruppo 47 – focalizzandosi sull’utilizzo di un linguaggio sporco che, da un lato porti a galla il rimosso sociale, dall’altro porti all’appropriazione dei mezzi di comunicazione e di produzione della cultura. Mentre Bologna è interessata alle vicende del Settantasette, la rivista modifica la strategia comunicativa superando la nozione di testo delirante e schizo, e spostandosi, in linea con altre riviste come «Zut», sulla diffusione delle notizie false e sulla parodia, riprendendo tecniche di matrice situazionista (cfr. Informazioni false che producono eventi veri, in «A/traverso», febbraio 1977). In «Zut» (1977) l’uso del falso, e in generale, di un linguaggio ironico, veniva esplicitamente ricondotto al détournement nella sua accezione di rovesciamento: «Il gioco del rovesciamento sta appassionando il movimento romano; scoperto il trucco il gioco è facile. “Sacrificarsi non basta bisogna immolarsi”. Il trucco è vecchio, in Francia ha una espressione linguistica precisa: “détournement”». Locandine e manifesti antagonisti oggettivavano medesime pratiche di détournement, per mezzo delle quali ogni frammento culturale, discorsivo, politico e quotidiano, veniva catturato e rovesciato.


Un esempio è costituito dal manifesto promozionale di Radio Alice (febbraio 1976), nel quale il Bozzetto per la tribuna di Lenin di El Lissitskij (1920 ca.) è accompagnato dal titolo dell’ultimo poema, incompiuto, di Majakovskij (A piena voce, 1930), da un disegno raffigurante un gruppo di musicisti «psichedelici» e dalla riproduzione incompleta della scritta murale Potere operaio. In un’altra locandina della radio bolognese, sopra una foto dei redattori armati di antenna e dominanti l’immagine della città, «parole in libertà» radiotrasmesse occupano il cielo; nella loro ricomposizione razionale esse affermano: «10.000 anni sono troppo lunghi. Non sarà la paura della follia a costringerci a lasciare a mezzasta la bandiera dell’immaginazione». Quando comparve in un muro di Bologna un insulto diretto a Radio Alice, il manifesto venne modificato e ristampato: «Sui muri di Bologna qualcuno ha scritto “Radio Alice figli di puttana”. Costruire il movimento di liberazione dal lavoro».



A Bologna già nel settembre 1976 veniva distribuito un ‘falso’ numero del quotidiano il Resto del Carlino nel quale si leggeva: «Assassinate 4000 persone sul lavoro nel ’76. La carne aumenta / Agnelli con polenta. Inchiesta: Il 90% dei bolognesi si pazza il culo col Carlino ma “Alice è il diavolo” è in libreria» . L’uso del falso era supportato dall’enunciazione teorica. Nell’articolo Informazioni false che producano eventi veri (febbraio 1977) il collettivo A/traverso tematizzava il superamento della «controinformazione», ovvero di quell’attività finalizzata all’affermazione della «verità» attraverso lo svelamento delle «informazioni false», deformate dallo «specchio» del potere. A essa, corrispondente a uno statico rispecchiamento del «discorso» del potere, bisognava opporre una prassi che, denunciando il vero del linguaggio dominante e appropriandosi delle stesse forme espressive in questo proposte, producesse informazioni antagoniste e rivolte sociali. I segni in tal modo configurati erano formalmente falsi ma aderenti alla concretezza delle intenzioni istituzionali e a una realtà sociale che, svincolata dalla deformazione di ogni «schermo linguistico», poteva essere trasformata. Nel 1977 Umberto Eco è particolarmente interessato ai linguaggi adottati dalla controcultura e in una riflessione scrive: "Apriamo a caso la radio e ascoltiamo una delle canzoni che i giovani oggi ascoltano […]. La prima reazione è che essa parli un linguaggio dissociato, fatto di allusioni che ci sfuggono: non ci sono «nessi logici», eppure non solo la canzone sta dicendo qualcosa, ma questo qualcosa riesce perfettamente familiare e convincente a un ragazzo di quattordici anni. Dopo un poco si è assaliti da un sospetto: non appariva altrettanto illogica e dissociata agli occhi dei primi lettori sbigottiti una poesia di Eluard? O di Apollinaire? O di Majakovskij? O di Lorca? Una delle cose che maggiormente colpisce il professore (di università o di liceo) che si confronta con un’assemblea di studenti è che le richieste, i temi, le rivendicazioni del lunedì sono diversi da quelli del martedì. Dove il gruppo pare trovare una strana coerenza tra due pacchetti di richieste, la controparte si trova smarrita. […] le nuove generazioni parlano e vivono nella loro pratica quotidiana il linguaggio (ovvero la molteplicità dei linguaggi) dell’avanguardia […]. Il dato più interessante è che questo linguaggio del soggetto diviso, questa proliferazione di messaggi apparentemente senza codice, vengono capiti e praticati alla perfezione da gruppi sino ad oggi estranei alla cultura alta […]. Mentre quella cultura alta che capiva benissimo il linguaggio del soggetto diviso quando era parlato in laboratorio, non lo capisce più quando lo ritrova parlato dalla massa".


Da Radio Alice venivano trasmessi comunicati come il seguente rivolto al Ministro degli Interni: «In questi ultimi tempi numerosi episodi di trasgressione delle fondamentali norme della convivenza civile si sono verificati dovunque con allarmante frequenza […]. Nella città saccheggi e vandalismi di numerose bande di sbandati, giunti al punto di lordare i muri della città con scritte del tipo «sono al cinema, se vuoi raggiungimi là». Nelle fabbriche lavoratori devianti, incuranti del tragico stato in cui vena il paese si ribellano contro le recenti misure rivolte a stabilire, nell’interesse di tutta la società, la giusta remunerazione degli investimenti e a ridurre gli sprechi soprattutto lo spreco di tempo, cioè di vita, cioè di valore, cioè di capitale. Tutto questo, secondo il Ministero, è certamente fomentato e provocato da una piccola minoranza che cova da qualche parte. Perciò questo Ministero decide di colpire alla radice. Chiudere il luogo in cui si diffondono idee contrarie all’interesse pubblico, in cui si praticano forme di esistenza illecita e lesiva della pubblica morale e produttività, in cui si creano le condizioni per un assenteismo che sottrae energie preziose all’economia. […] non si può tollerare più a lungo che qualcuno covi. Pertanto, vista l’insufficienza della Legge Reale, […] proponiamo di chiudere i covi. Data però la ben nota difficoltà di definire con esattezza le caratteristiche di un covo e la straordinaria capacità dei criminali di travestirsi da persone umane; questo Ministero propone le seguenti caratteristiche: È da ritenersi covo un luogo in cui: 1) Siano rintracciabili letti sfatti oltre le 10 del mattino; 2) si trovino libri del dadaismo tedesco; 3) siano gettate per terra lattine di birra (vuote); 4) si trovino cartine, bilance, cucchiai e tabacco tipo «assenteismo probabile il giorno dopo»; 5) non si sia pagata la bolletta del gas del mese di giugno; 6) sia sorpreso qualcuno a dormire o ad ascoltare i Rolling Stones in orario lavorativo. Per il momento ci limitiamo a questo, ma speriamo che tutti i cittadini vogliano collaborare a scoprire i luoghi in cui . si . cova. Intanto ricordiamo che il reato di cospirazione contro lo stato si compie in ogni luogo in cui si rompa l’ordine del lavoro, della famiglia, della televisione, della parola: Cospirare vuol dire respirare insieme. La Questura di Bologna comunica che gruppi di provocatori hanno deciso di portare oggi, alle 18 tutti i covi in Piazza Verdi. Sono viste scritte annunciare: Non siamo qui non siamo là, il nostro covo è tutta la città».




Dopo la chiusura di Radio Alice e la violenta repressione del movimento del Settantasette, comincia una fase di crisi anche per la rivista, duramente colpita dalla perquisizione della radio, dagli arresti e dalla latitanza di Bifo. Vengono pubblicati, tuttavia, altri fascicoli – non numerati, come tutti quelli precedenti – fino agli ultimi due, del 1980 e 1981 che, secondo Chiurchiù, possono considerarsi una sorta di testamento del sogno utopistico che aveva animato la rivista. Nello stesso 1981 viene pubblicata anche la ristampa anastatica di 14 numeri della rivista, nel tentativo, si direbbe, di conservare memoria di quanto fatto e di auto-storicizzarsi, ma già nel 1977, in questo senso, viene pubblicato da Erba Voglio anche il volume Alice è il diavolo. Storia di una radio sovversiva, a cura del collettivo di «A/traverso», che raccoglie materiale eterogeneo sulla rivista, sulla radio e sul movimento. 



Nel febbraio del 1987 «A/traverso» viene ripubblicata, per 7 numeri fino al maggio 1988, con il sottotitolo di «Rivista di critica del tempo», presentandosi tuttavia più in linea con gli standard del mercato editoriale.










 

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