CAMILLE, L’INAFFERRABILE INATTUALE CHE EMOZIONAVA PROUST




Questo splendido album che il violinista Piercarlo Sacco e il pianista Luca Schieppati hanno dedicato al repertorio cameristico per violino e pianoforte composto da Camille Saint-Saëns, offre all’ascolto la precisa sensazione di essere di fronte ad un autore tra i più autorevoli nel custodire quella leggerezza irriducibile che muove le sue ali palpitanti di farfalla chimerica nel cuore dello spirito francese. La sua lunga vita di uomo colto, musicista osannato e curioso viaggiatore, lo ha impegnato soprattutto nel ruolo di fiero e solitario cerimoniere dell’identità musicale del suo Paese, sostenuto dalla creazione della  Société Nationale de Musique. Nata nel 1871 per sua iniziativa in collaborazione con il baritono e compositore Romain Bussine, questa istituzione che includeva nobili adesioni (tra gli altri Franck, Fauré e Lalo), si riprometteva di valorizzare la musica da camera dei compositori transalpini, in un periodo dove il loro repertorio non attirava un particolare interesse presso i connazionali, seppur così raffinato da assaporare, per i suoi contrappunti rari e squisiti, per il gusto armonioso con cui il locale sapeva aprirsi  e intrecciarsi lievemente all’esotico, in coniugazioni originali rispetto a quelle dell’acclamata scuola tedesca. 


Il giovane Saint-Saëns ritratto dalla cantante e compositrice Pauline Viardot,

Dopo il suo inizio precocissimo di bambino prodigio coinciso al periodo di massimo splendore di Mendelssohn, a diciotto anni meritò da Gounod un tagliente giudizio aforistico degno di Oscar Wilde: «sa tutto, ma manca d’inesperienza». Da lì la sua attività ha attraversando delle vere proprie ere musicali, concludendosi nell’anno in cui Stravinskji fa conoscere il Sacre de Primpemps o Varése presenta Ameriques. Nonostante per lui la modernità fosse sostanzialmente l’epoca di atroci illusioni segnate da mode che prendevano le mosse dai Mallarmè o dai Debussy, questa posizione conservatrice è stata incrinata con l’inserimento di elementi che hanno precorso il neoclassicismo novecentesco, e dal breve turbamento per Wagner che riferiva in un suo appunto come il venticinquenne Saint-Saëns sapesse suonare al pianoforte il Tristano a memoria, individuandone anche i dettagli più specifici.  Per via di questa breve infatuazione Camille fu invitato a collaborare con la rivista Revue Wagnerienne pubblicata per tre anni dal 1885, quando ancora Wagner era un compositore proibito nei teatri d’oltralpe per i bruciori che continuavano a tormentare i francesi a causa della sconfitta subita dai prussiani quindici anni prima: se mai, si poteva ascoltare la sua musica ridotta a cameristica in salotti privati come Le Petit Bayreuth, nelle serate curate da Antoine Lascoux, una delle quali immortalata nel celebre quadro di gruppo dipinto da Fantin-Latour sempre nel 1885. 


Henry Fantin-Latour, Autour du piano , 1885


Proprio nell’autunno di quell’anno Saint-Saëns festeggiava il cinquantesimo genetliaco concludendo la sua emozionante Sonata per violino n. 1 in re minore op. 75, dove del wagnerismo non c’è ombra, ma piuttosto si vedono riuniti insieme al carattere spiccatamente classico, anche gli aloni progressisti di un’influenza romantica, certi elementi disciplinati dalla scuola lisztiana, rimandi a Brahms e alla luminosità beethoveniana della sonata a Kreutzer, una grazia leggera di sapore orientale: che Saint-Saens, "monumento ambulante della musica francese", secondo il musicologo Mitchell Morris, da accanito lettore di poesie si sia ispirato anche ai Poèmes de la libellule, un’antologia di ottantotto liriche giapponesi pubblicata in Francia nel 1884? 




Quasi doverosamente, Sacco e Schieppati aprono il loro album proprio con questa sonata che, a giudizio dei violinisti e dei pianisti, ha la fama di figurare tra i frutti complessi maturati sull’albero del virtuosismo. Ma la loro prova non è avvincente solo dal punto di vista dell’abilità tecnica con cui hanno affrontato i diversi passaggi aguzzi e insistiti, risolvendo le acrobazie selvagge che forse solo gli angeli, i poeti e gli avventurieri riuscirebbero a compiere con la stessa eleganza: la storia ci informa che un’agguerrito violinista quale Martin-Pierre Marsick che ha ricevuto in dedica questa partitura, ne rimase inizialmente sconcertato. Se la discografia inerente vanta diverse ragguardevoli versioni tra le quali quella divina di Jascha Heifetz, va ricordato quanto questa sonata sia divenuta leggendaria presso generazioni di lettori della Recherche, dove Proust ha vagheggiato il secondo tema del suo primo movimento, nel mix di suggestioni riunite per dar vita alla superba descrizione dell’immaginifica sonata Vinteuil. La prima impressione che si fa largo durante l’ascolto della versione registrata dal duo Sacco-Schieppati, è la fantasticheria di essere ospiti dei Verdurin, comodamente seduti tra i velluti del loro salotto, ascoltando scaturire sopra il leggero brusio degli invitati gli incantesimi dalla petit phrase che nell’idea di Proust inebriava e stordiva l’anima amorosa di Swann con una sensazione simile a quella prodotta da certi tè più inebrianti dello champagne. Cullati da queste rêveries liricamente palpitanti, il sentimento di beatitudine è sostenuto dall’interpretazione matura e appassionata con cui Sacco e Schieppati pronunciano questa musica, recentissima produzione di una lunga collaborazione che nel tempo ha dato frutti di telepatica confidenza. 




Questi auspici favoriscono il coordinamento d’insieme e la messa a fuoco di un’articolazione del fraseggio coordinata alla perfezione, nitida, trasparente e non riguardante solo la pronta scioltezza che accompagna la loro raffinata tecnica di strumentisti, ma soprattutto l’energia mentale e l’intelligenza musicale che coniuga il virtuosismo come una necessità intrinseca, liberandolo dal rischio di essere fine a se stesso. In questa prospettiva la verità di questo opus 75 è restituita pienamente, permettendo di cogliere i dettagli più intimi della partitura, vale a dire il reticolo dei riferimenti, delle trasfigurazioni e delle citazioni che Saint-Saëns intreccia meticolosamente nell’impianto della sua elaborazione. In primo luogo va rilevato che il loro punto di vista esecutivo ha il merito di conservare quel colorismo tardo ottocentesco tipicamente francese di Saint-Saëns, puntiglioso nell’equilibrare le tinte scintillanti di questa sua “ippogriffsonata” (secondo la definizione che egli stesso trasmise in una lettera all’editore). Un gusto che è custodito affrontando con un relax swingante anche i passaggi vertiginosi previsti nel quarto movimento, impunturati a più riprese con la silhouette della petit phrase, e conclusi con un vorticoso moto perpetuo dove è come se i due strumenti sfidassero la forza di gravità, volando in un tour de force per linee parallele e planando infine in un epilogo chiuso con un accordo di re maggiore. Viene la fantasia di pensare che il segreto e la delizia di questa loro dizione, sta nell’aver contenuto all’interno di un controllo ragionato l’esuberanza delle corse a perdifiato ascoltate in altre versioni, che risultano precipitose di fronte all’audacia virtuosistica di alcuni passaggi serrati come quello appena accennato. Più in generale ne beneficia il senso e la scorrevolezza di una grazia melodica che utilizza un numero limitato di risorse tematiche, ciascuna delle quali incorporata, smontata, permutata e ripresa ovunque con il magistero di un artigianato che sa come creare risacche iridescenti di rivelazioni e di riemersioni dai contenuti altamente poetici. 


Camille Saint Saëns; ritratto a pastello di Alberto Rossi, 1903


Così emergono con precisione le allusioni e i rimandi che nutrono la piacevolezza della sonata di Saint-Saëns, niente affatto definibile alla Satie come “musica d’arredamento”, perché sotto la patina di un trattamento che può accontentare ascoltatori occasionali, si annida una coltivata perizia armonica e contrappuntistica nel creare serpentine sinuose in un tessuto armonico ondoso ed ellittico. Succede ad esempio nell’adagio sensuale, in cui sembra di percepire il tocco della mano di Gabriel Fauré che di Saint-Saëns è stato allievo, quando il violino ed il pianoforte incrociano meravigliosamente i propri ruoli, sviluppando un campionario di ornamenti per sottolineare l’atmosfera sognante evocata nella prima e nell’ultima sezione della forma liederistica in tre parti (A B A), e caratterizzando il contrasto emotivo della parte centrale (B). Solo alla fine di questo movimento l’autore prevede una pausa, raggruppando perciò i quattro movimenti della sonata in due blocchi secondo una soluzione curiosa che riprenderà l’anno successivo nella Sinfonia per organo. E a proposito dell’eleganza classica con cui Saint-Saëns  mette a punto l’organizzazione strutturale di questa opera, uno dei momenti più splendenti di originalità lo si riconosce nell’ondeggiante e molto aggraziato scherzo in minore, dove l’allegretto moderato esplora le implicazioni di un procedimento sviluppato quasi interamente da frasi di cinque misure. 




Qui Sacco e Schieppati curano delicatamente i sottili contrasti drammatici che l’autore prescrive, passando con fluidità dalla presentazione e dall'elaborazione di un tema gentile che apre il movimento. La sua solare ariosità è fatta scivolare dai due con naturalezza, verso i colori tenui del secondo tema consistente in una tenera melodia cantabile del violino dove Piercarlo Sacco sembra intuire l’esistenza di uno spazio metafisico della musica tra le note. Per questo passo incantevole in cui la musica si dilata mollemente, Saint-Saëns affida al pianoforte il riecheggiare del tema principale prima che questo ritorni brevemente da protagonista, svanendo infine nel ponte che collegherà direttamente al pirotecnico allegro molto, con la riposante solennità di alcuni accordi profondi. Il programma del cd segue con la Sonata n°2 op.102 composta da Saint-Saëns undici anni dopo la prima, durante un suo soggiorno in Egitto la cui luce meridionale sembra depositarsi nel carattere più leggero e nel suono chiaro con cui è utilizzato il pianoforte. 


Saint-Saëns in Egitto, 1911

Ma la suggestione riferita all’Egitto si limita a questo, perché la partitura non fa emergere alcuna traccia di esotismo. La pianista Marie-Louise Carembat e suo marito violinista Léon-Alexandre, si ritrovarono come dedicatari di questo lavoro fondamentalmente classico, dopo aver per tutta la carriera suonato la musica di Saint-Saëns con discrezione e riserbo, senza farglielo sapere come si affannavano a fare altri interpreti nella speranza di un ringraziamento e forse di una composizione scritta per loro. Scegliendo di includere questa sonata nel loro cd, Sacco e Schieppati hanno avuto il merito di riflettere su come dovesse orientarsi la loro linea esecutiva, prendendo atto che nella fase matura della carriera di Saint-Saëns, l’autore ha volutamente ridimensionato la centralità della sua natura romantica, manifestando l’intenzione di attenersi ai chiari contorni formali richiesti dagli ideali classici. Il suo punto di vista era il modo per ribadire l’indifferenza verso le battaglie combattute dall’ambiente musicale circostante, e quindi contraddistinguersi con ostinazione nell’«esprimere in musica ciò che non si può esprimere con altri linguaggi». Ma seppur Saint-Saëns si sia prodigato per meritarsi la laurea di “inattuale” che in futuro gli verrà attribuita da un commento di Maurice Ravel, un’altro dei suoi prodigiosi allievi che del resto lo venerava, il suo carattere di perfetto individualista controcorrente è incline a renderlo poroso e permeabile, facendolo cedere alle tentazioni dell’eclettismo che in un secolo votato alla creatività prometeica e assoluta come l’Ottocento, veniva considerato alla stregua di un peccato capitale. Proprio per via della sua curiosità intellettuale nell’inglobare, più o meno tra le righe, spunti riconducibili a stili che vanno da Mendelssohn a Wagner, da Liszt a Gounod, dagli autori ‘‘antichi’’ alla musica esotica, i giudizi critici sono risultati contraddittori: entusiasti nel commentarne il talento di organista eccelso capace di inventare all’impromptu, non altrettanto teneri per quel che riguarda la sua opera di compositore, sottovalutando per molto tempo la magia dei suoi accostamenti ibridi. Anche in questa sonata si riconoscono indizi che sono spia del suo abituale e misurato ricorso al pastiche


Saint-Saëns all'organo

Tracce delle sue scorribande trasversali si troviamo infatti in tutti i movimenti ad eccezione del quarto, dove tutto concorre a definire i contorni degli ideali classici: strutturato come un rondò, viene mantenuto in un clima iridescente dove il disegno leggero del tessuto connettivo si caratterizza con ampie modulazioni. Nel primo movimento invece emerge l’originalità delle frequenti modulazioni con cui si sposta l’impalcatura di una armonia diatonica, che vede volutamente pregiudicata la sua trasparenza con l’inserimento delle impurità dovute all’uso malandrino di note estranee agli accordi. Nella vivacità ritmica del secondo tempo, che l’autore battezza come “terribilmente difficile”, il contrappunto si spinge all’audacia dell’intervallo di settima. Nell’andante del terzo movimento, dove l’aria meditativa del violino si appoggia ad una sequenza di accordi e scale che tingono l’atmosfera di un liquido colore debussiniano. L’intelligenza musicale che traspare dalla sensibilità interpretativa di Sacco e Schieppati, è ammirevole per come riesce a tesaurizzare questi preziosismi sfaccettati, mischiando l’energia vorace e la finezza sensuale dei loro arabeschi corruschi e cangianti, per restituirli nella concreta fisicità del suono dal quale scaturisce con chiarezza quel quid vibrante in cui si annida il senso di questa sonata. Il programma registrato si conclude sconfinando nel ‘900 e precisamente raggiungendo quel 1912 in cui Saint-Saëns ha un’età veneranda ma ancora attiva e orgogliosamente indipendente dalla partecipazione a ‘‘gruppi’’ o ‘’scuole’’, proliferanti prendendo ad esempio virtuoso la ‘‘Banda invincibile’’ dei cinque russi. La sua musica rimaneva ereticamente anacronistica: per richiamare in causa Proust, una specie di “tempo ritrovato” quando l’effervescenza dei tempi si preparava ad annunciare le scandalose esplosioni degli “ismi”. 


             


Le tre composizioni scelte da Sacco e Schieppati, sono quelle riunite a modo di suite nel Triptyque op. 136, con l'evidente scopo di imprimere nei suoni sensazioni che rimandano a luoghi visitati e ad altri momenti autobiografici. Il compositore lascia danzare con mano curvilinea il suo lapis sul pentagramma, disegnando con estro incisivo il catalogo dei suoi tòpoi musicali, caratterizzando quadretti ornamentali diversi l'uno dall’altro. Complessivamente Sant-Saens suggerisce proprio l'idea di un album delizioso che con la sua eleganza garbata potrebbe essere accolto come un dono entusiasmante anche da una regina. Infatti puntualmente, questo divertimento della vecchiaia di Saint-Saens fu dedicato alla regina Elisabetta del Belgio che tanto lo aveva sostenuto con il suo mecenatismo, ma soprattutto che poteva godere delle melodie raccolte in questo opus suonandole ella stessa con il violino che governava abilmente. Il primo brano, articolato in una struttura formalmente limpida, si intitola Premice e il tempo di allegretto in cui è scandita la dolce melanconia della sua melodia cantabile in Re maggiore, ha la particolarità di muoversi flessibilmente sull’inconsueto metro di 5/4. Sulla solida e ispirata trama disegnata da Schieppati, Sacco elabora tutta l’esposizione e l’Appassionato indicato per la ripresa di questo tema, esplorando il sogno di abbandonarsi ad un volo lirico destinato a raggiungere il cielo puro della bellezza. Il pathos emozionante del suo violino mette a punto tutte le nouances dinamiche indispensabili a farlo palpitare, fino ad essere raggiunto dal pianoforte nel Tranquillo che porta al finale attraverso una lunga scala omoritmia per seste. 



Camille Saint-Saëns alla Salle Gaveau, Parigi, 5 novembre 1913


La seconda visione si trascina pigramente su un ritmo di vaga habanera, che aggiunge una vena immaginaria di folklore tribale alle inflessioni modali della bellissima melodia in Mi maggiore. L’aperto lirismo del momento centrale trascolora in una sezione dove i due strumenti si ascoltano esasperare cromatismi per moto parallelo, e subito il ricordo rimanda a certi procedimenti wagnariani che rendono instabile l’armonia. Saint-Saens intitola questo brano Vision Congolaise, evocando suggestioni liberate dai veli e dagli specchi deformanti dell’esotismo, ma rimandando indirettamente anche alla regina Elisabetta per via del fatto che il Paese africano era da poco divenuto colonia belga. Non poteva trovarsi un titolo migliore che Joyeusetè per concludere festosamente questo trittico con l’agilità di un Presto in 3/8, dove se il materiale tematico è leziosamente superficiale, a brillare è la trama contrappuntista, i piccoli fugati e gli scoppiettanti dialoghi tra il  violino e il pianoforte. Ancora una volta Piercarlo Sacco e Luca Schieppati ci dimostrano attraverso la loro fluente esecuzione che il suonare non consiste solo nell’agire e coordinare il gesto fisico necessario a liberare dal vincolo duro dello strumento, lo slancio del suono nell’aria; né solo una questione relativa agli artifici fantastici che nutrono la perfezione tecnica nel dominare le più furiose raffiche del virtuosismo. Il surplus a queste prime due qualità indispensabili è dato dal canale di energia catalizzata e scambiata durante il fare musica insieme, scavando nella sostanza più intima di una composizione e quindi scongiurando di affrontare l’accumulo di notazioni della sua partitura come l’intarsio velleitario di un gioco calligrafico. Ed è proprio con questo vibrante valore aggiunto che Sacco e Schieppati corteggiano con successo gli ascoltatori, aprendoli ad una generosa cedevolezza d’anima; disponendoli ad una sorta di umanissima partecipazione attiva; esponendoli alla lieve febbre delle emozioni; invitandoli ad abbandonarsi all’ebbrezza del principio di piacere; coinvolgendoli nel loro sublime rito di artisti sopraffini che si avventurano tra i languori vischiosi della musica di Saint-Saëns, dove arde la fiamma intellettuale di un destino creativo che lo ha attirato verso erratiche incursioni tra gli echi dei suoi stili prediletti.










 

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