Larrain, Neruda, il mito e il troppo umano



Pablo Larrain ha fondato la sua carriera di regista nel cuore dell'indagine sulla complessa identità storica del suo paese, un Cile dove il caos e la violenza hanno implicato dittatori della ferocia di Pinochet (Tony Manero, Post Mortem, No.I giorni dell'arcobaleno), ma anche la morale della chiesa cattolica (El Club) macchiata di infamanti crimini sessuali. Il segreto di Larrain nel narrare queste storie terribili è una sorta di avversione per le consuete formule narrative: e questa freschezza di visione risplende anche nel caso dell'ultimo film intitolato "Neruda", tanto amato da Almodovar. 


Toccando il sacro simbolo culturale che ha portato al suo paese un premio Nobel per la Letteratura(che nel 1971 era ancora prestigiosissimo e salvo dalle aspre critiche per le scelte contemporanee), il regista sceglie la strada della creatività, presentando quello che lui stesso chiama una "antibiografia" del poeta.  Il risultato demistificante è un sorprendente film squisitamente nerudiano e non un film su Neruda, qui interpretato da Luis Gnecco. 



Insomma una sceneggiatura sotto il segno di una fantasia ingegnosa e sfacciatamente irriverente che si articola in un preciso arco di tempo: quello dell'epoca post seconda guerra mondiale, in cui Neruda da senatore comunista, deve passare alla clandestinità in quanto il suo partito viene proibito dal presidente Gonzalez Videla, antico alleato dei comunisti che si è trasformato in una marionetta teleguidata dagli interessi nordamericani.


Improvvisamente quello che sarà l'ambasciatore della cultura cilena in tutto il mondo si trova costretto a cercare una via di fuga nell'esilio, raggiungendo in maniera rocambolesca l'Argentina e quindi giungendo a Parigi, raggiungendo l'amico Pablo Picasso.


Tutta questa storia fa da cornice alla struttura narrativa di Larrain, dove in una specie di frenesia visuale l'icona intoccabile con i suoi incrollabili principi comunisti, è inquadrata anche dal suo lato "troppo umano", incline alla boheme tra alcool, feste e   bordelli, ma soprattutto attento servitore del suo stesso mito: insomma un totem monumentale di idealismo, poesia, snobismo, convinto che l'adorazione del suo popolo è strameritata. C'è da sottolineare che al proposito esistono commentatori accreditati ancor più critici: la loro posizione si spinge ad affermare che il poeta non si è realmente messo al servizio del Partito Comunista, bensì ha messo il Partito Comunista al suo servizio.  



Un poliziotto si mette alle calcagna di questo genio, protetto dai compagni di partito nella fuga ma indisciplinato ascoltatore delle sirene sessuali che lo invitano alla trasgressione, nonostante la vitale relazione con Delia del Carril. Per il ruolo di segugio Larrain sceglie l'attore Gael Garcia Bernal, tratteggiando il personaggio con maliziosa ambiguità. Le sue inquietudini si agitano tra l'ossessione professionale di catturare il fuggiasco, il piacere umano di leggere i libri che Neruda gli fa trovare ripetutamente  e la sensazione di essere imprigionato senza scampo in un ruolo secondario di fronte alla grandezza universale dell'avversario. 


E la relazione tra i due uomini prende le tinte di un onirico romanzo impossibile e surreale, pieno di rabbia, passione e ironia. La strategia filmica mira a riprodurre la simmetria imperfetta dei versi nerudiani che la nutrono, anche se il regista non si inchina a glorificare il talento letterario del suo protagonista che proprio durante la fuga scrive il suo straordinario Canto general, una delle sue opere più riuscite e amate. Il resto segue la splendida sceneggiatura di Guillermo Calderon, riaffermando un'estetica intellettuale che abbiamo già conosciuto nei precedenti cinque lungometraggi: la posizione della cinepresa, la luce della fotografia, il rapido dinamismo di un montaggio superbo. 



Forse tutto questo si può riassumere in una frase di Neruda che sembra essere stata all'origine dell'intuizione che ha guidato la mano di Larrain: "se mi chiedono che cosa sia la mia poesia, devo diore che non lo so, però se chiedono alla mia poesia chi sono io, lei lo sa".



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