Chet Baker, born to the blues




Alla fine del mese di marzo di quet'anno, nelle sale americane è uscito un secondo film su Chet Baker, dopo lo stupendo lungometraggio di Bruce Weber intitolato Let's get lost, dove il protagonista era lo stesso Chetty in carne (poca) ed ossa. 



Si tratta del secondo lavoro del regista canadese Robert Budreau che nel suo Born to the Blues, premiato al Festival di Toronto, si è dovuto accontentare dell'interpretazione di Etjan Hawke, ispirata e frutto di un meticoloso lavoro di identificazione. 



Se nel film di Weber, l'icona di Chet Baker è stata ripresa in maniera struggente nel suo periodo di massima decadenza, Budreau scava il personaggio nell'epoca in cui Baker stava facendo i primi passi tragici nel suo processo di autodistruzione. 



Siamo esattamente al primo episodio drammatico a causa del quale era stato costretto a smettere di suonare: l'arma fisica imprescindibile per suonare la tromba è la dentatura che serve per l'emissione del suono e Baker aveva perso i denti a causa di una colluttazione con ignoti, presumibilmente spacciatori che volevano riscuotere i loro crediti. 


Ma Baker dopo aver sbarcato il lunario con una serie di lavori umili e con l'aiuto economico di diversi amici, decide di volerci riprovare, ricominciando a soffiare in maniera malcerta nel suo strumento. 


Ma questo handicap si è trasformata in una virtù espressiva, facendogli trovare una strada meno scintillante e vistuosistica di quella intrapresa con il solare stile del jazz etichettato come West Coast. Una strada indirizzata progressivamente verso uno spleen intimista che per anni ha trasmesso emozioni ineguagliabili al pubblico. 


E i suoi fans, soprattutto europei, lo hanno seguito anche nelle performance più squallide, quando arrivava sulla scena per miracolo, sull'orlo dell'overdose, penosamente seduto perchè non riusciva a reggersi in piedi, a volte stonato o impreciso nell'attraversare le armonie dei brani su cui improvvisava: ma sempre, sempre, capace di raccontare attraverso la musica storie capaci di commuovere come nessun'altro. 



Quindi se il film di Weber fluttuava in una sorta di adorazione edonistica, dove l'aspetto devastato di Baker non aveva una connotazione drammatica ma piuttosto una certa malinconia poetica, in quello di Budreau emerge con più precisione come la sublime, disarmante, angelica capacità su sedurre con il suono della  tromba e della voce di Chet, fosse solo la faccia di una medaglia che dall'altro lato era sconvolgente.



Alla bellezza della musica Chet coltivava parallelamente il disgustoso menage di un uomo afflitto dall'invincibile dipendenza per le droghe. Vizio che ha aiutato a trasformarlo in un personaggio poco raccomandabile nella vita privata, con le sue donne, i suoi figli, i suoi amici. 


Nonostante il regista e autore del soggetto abbia scelto un  taglio biografico, chi conosce la storia di Chet si accorgerà di come il canadese si prenda delle libertà scivolando nelle maglie della storiella d'amore, nell'espediente del film nel film, e infilandoci elementi di pura fiction. Ho potuto vedere questo lavoro di Budreau in francese e sul mac: arriverà mai nelle sale italiane? 

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