Il Vardarito di Massimo Di Marco

Esistono imprese culturali che ancor prima di una valutazione sulla sostanza, meritano un plauso per lo spirito di chi le anima e scrivere una monografia su Elvino Vardaro appartiene a questo ricercato catalogo di iniziative. 




Trattandosi di uno tra i più significativi musicisti di tango, l'operazione ha un ulteriore valore aggiunto in termini di coraggio imprenditoriale, rivolgendosi soprattutto ad un ambiente di appassionati che è ancora molto riluttante ad interessarsi di questa cultura, preferendo orientarsi esclusivamente all'approfondimento del suo ballo. Al contrario dei suoi attesi lettori, e pur essendo egli stesso uno tra i più eleganti ballerini che frequentano le milongas milanesi, l'autore di questo libro importantissimo coltiva da sempre e con la medesima sete di conoscenza, l'indagine storica sul tango. L'approfondita ricerca su Vardaro arriva dopo che Massimo Di Marco ne ha pubblicate altre e altrettanto circostanziate anche dal punto di vista iconografico: una sul mitico bandoneonista Eduardo Arolas, protagonista di un'illuminazione oracolare che ha messo il tango sui binari che conosciamo, e due su altrettanti leggendari ballerini come El Cachafaz e Carlos Gavito. L'opera è suddivisa in brevi capitoli che con una scrittura nutrita di scorrevole leggerezza, intreccia la precisione documentaria a passaggi più squisitamente letterari di un'immediatezza pronta a coinvolgere il lettore. Apprendiamo una costellazione di informazioni su questo violinista che al contrario del citato Arolas, assolutamente autodidatta, ha sottoposto il suo innato talento allo studio rigoroso del violino: calvario indispensabile per impadronirsi di un suono commosso ed evocativo, servendolo con  una intonazione impeccabile. Il tango che è un organismo vivo e curioso, cresciuto forgiando un linguaggio plastico, ha accolto gli apporti più eccentrici del suo violino attraverso un doppio movimento: la coniazione di neologismi sonori per gusto vernacolare e la migliore tecnica delle esecuzioni accademiche. Dai primi concerti classici alle legittime diffidenze per il tango, dalle fugaci e sfortunate esperienze di bandleader alle indimenticabili prove al fianco di Piazzolla, questo omino delizioso e per bene ha gettato le basi per l'unica scuola del violino nel tango. 



Una prassi esecutiva che ha avuto pochissimi strumentisti così sontuosamente espressivi e virtuosi...Hugo Baralis, Enrique Camerano, Alfredo Gobbi, Raul Kaplun, Enrique Mario Francini, Simon Bajur, Reynaldo Nichele, Antonio Agri,... oggi ancora i veterani Mario Abramovich, Fernando Suarez Paz e Mauricio Marcelli, il figlio d'arte Pablo Agri, l'ultima generazione Ramiro Gallo, Fabian Berteto, Damian Bolotin. Gli elementi retorici, con il loro rovescio di autenticità, donati da Vardaro per sempre al linguaggio del Tango e quindi a questa schiera di virtuosi, riguardano la tensione del vibrato, la sensualità dei portamenti, il capriccio vivace dei mordenti, il romanticismo seduttivo di un suono importato dalla scuola franco-belga, il gusto raffinatissimo delle articolazioni nel fraseggio, le esitazioni di un rubato trascendente che interroga gli echi del silenzio. L'impostazione del libro di De Marco non è indirizzata ad approfondire i dettagli che hanno fatto di Vardaro un caposcuola, un lavoro squisitamente musicologico ancora tutto da argomentare, ma lancia uno sguardo a trecentosessanta gradi sulla biografia musicale di questo artista, tratteggiando aneddoti, situazioni, ritratti di colleghi e aggiungendo una parte consistente di documenti. 

Carmen Duval con Cayetano Pugliesi ed Elvino Vardaro


Tra questi ultimi, spiccano alcune lettere di Astor Piazzolla dalla quale traspare l'ammirazione incondizionata e il sentimento di profonda amicizia che lo ha legato a Vardarito. E proprio questo grazioso diminutivo con cui Astor soleva chiamarlo, è diventato il titolo di una tra le più toccanti pagine ideate da Piazzolla. La composizione prende avvio diffondendo un alone da notturno lunare con una breve introduzione dalla quale scaturisce il primo tema. Si tratta di una linea melodica nostalgica che viene sostenuta dall'ostinato del contrabbasso su un ritmo di solenne lentezza, sottolineato nelle sue quattro pulsazioni con una nota imperturbabilmente fissa (re). Per contrasto, nel secondo episodio il ritmo diventa più brioso e la melodia passa al bandoneon, mentre il violino è impiegato per un controcanto o per eseguire una chicharra che fa entrare in un mondo decareano.



Elvino Vardaro, Hector De Rosas, Astor Piazzolla,
Jaime Gosis, Kicho Diaz, Oscar Lopez Ruiz (seduto)

Il contrabbasso disegna una linea marcata sempre in quattro ma questa volta con note mobili e con l'arco, mentre il tema acquista anch'esso il nuovo carattere brillante che nasce, si sviluppa luminoso e si esaurisce per riaccompagnare il brano nel climax del primo tema. La melodia, qui mossa da una sublime ispirazione lirica che rapisce in un sogno, ritorna al violino che continuerà ad essere protagonista quando riapparirà il secondo tema, in precedenza ascoltato dal bandoneon. La simmetria delle due situazioni viene a questo punto modificata con il sorgere di un terzo motivo melodico ma sempre sul ritmo cadenzato dell'inizio. Il nuovo episodio, anch'esso struggente e ancora una volta lento, prepara il pathos teatralmente evocativo del sigillo finale dove sembra di scorgere il fantasma minuto di Vardaro allontanarsi, accompagnato in filigrana dal baluginare cristallino degli arpeggi del pianoforte, per scomparire inghiottito nel gorgo di un silenzio cinereo. Forse perdersi nella bellezza di questa musica, conservando nella propria anima la sua generosità emozionale, è il prologo ideale per immergersi nella lettura del libro di Massimo Di Marco, incominciando a conoscere Vardaro dalla nascita e quindi seguirlo nella sua vita di uomo e di artista. Un libro che non può mancare nella biblioteca di chiunque abbia incontrato il tango, accogliendone la grazia per donare una nuova luce alla propria esistenza.

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