Mario Rusca e Marco Brioschi: una fucina di incanti

Ancora una nota di Sisa Bertini. Mi viene in mente che il campo della critica jazz italiana è da sempre dominio maschile, senza che nessuna penna femminile si sia mai affacciata sulle pagine che si sono accumulate dal dopoguerra ad oggi...e neanche nei succinti spazi delle rubriche di recensioni discografiche ospitate dalle pubblicazioni indirizzate al pubblico femminile! Quindi il blog Tangorosso si accredita il primato di offrire ai suoi lettori la prima donna a cimentarsi nella critica jazzistica ed evidentemente è un primato in seconda battuta perchè la vera protagonista di questa prima volta è proprio Sisa. Scopriamo dai suoi commenti, quale perdita sia stata l'estromissione femminile da questo delicatissimo lavoro del raccontare con le parole quello che si ascolta con le orecchie. Una perdita sotto il profilo intellettuale; sotto quello di un punto di vista che unisce il grazioso al pungente; sotto quello di un'emozionalità che le donne hanno di prima mano e la provano in maniera viscerale. E se nella rassegna Duets c'era un concerto che poteva scatenare tutte insieme queste peculiarità colpevolmente trascurate dal maschilismo della critica, non poteva essere che quello di Mario Rusca insieme a Marco Brioschi. Ed ecco il commento che oltretutto testimonia come Paolo Conte si sia sbagliato immaginando con una battuta massimalista, che alle donne non piace il jazz.

Duets
di Sisa Bertini

L'ironia della sorte vuole che le perle più preziose siano riservate a pochi eletti, in questo caso i temerari, in buona parte musicisti consapevoli, che hanno sfidato il capriccio metereologico risputato da un soffio perfido di febbraio. La serata indugia, ancora in attesa; si accusa magari anche la mancanza dell'adeguata presentazione di Finocchiaro, che tesse i fili di questa rassegna, purtroppo impegnato in concerti d'oltralpe. Poi l'incontro si apre con l'esitazione di due amanti ritrovati dopo una lunga separazione: forse per rendere più intrigante un Monk ammiccante...ma dopo un paio d'occhiate di sincronizzazione, ecco che si presentano melodicamente sfolgoranti: al pianoforte Mario Rusca, calca nuovamente i tasti dello Yamaha di casa, con tavola armonica in bella mostra, facendo vibrare la tastiera che finalmente può esprimere tutta sè stessa, spaziando tra sfaccettati accordi con romanticismo arguto e tedesco. Gli tiene testa, puntando il suo flicorno dritto al cuore, Marco Brioschi che non perde occasione per stupirci col velluto argenteo del suo timbro sconsideratamente morbido. Viaggiando con Duke Ellington l'avvolgente dialogo trova un ritmo che porta lontano.


Poi, per rispondere alla provocazione armonica e verbale di Rusca, che mischia sapientemente le note, come un mago o un croupier le carte, per distribuire scale reali con tocco sapiente e fantasioso, Brioschi si toglie il giubbotto e in maniche di camicia ci trascina senza pietà nella saudade di uno struggente Retrato di Jobim che scioglie il cuore nei sospiri del blanco i preto. In successione parte con estremo garbo uno Speak Low, quasi un indovinello, che Mario accenna a pizzichi di tema, stuzzicando il desiderio della platea, ma in risposta ecco un'onda travolgente di passione, Marco resiste a stento sull'alto sgabello aggrappandosi alla tromba per non lasciarsi trascinar via dalle sue stesse note, ma dal pianoforte risponde un assolo della Madonna, che sottolineando i passaggi con squisiti interventi vocali, innesca una tenzone con il flicorno che ci riporta sfarfallando alla calda stagione estiva, in una danza che si allontana, per preparare il ritorno insieme, con una sincronia di melodie in un matrimonio di suoni perfetto e appassionato. Il repertorio strappa-cuore continua con My foolish heart, che Rusca apre centellinando le note, misterioso e lento, mentre il flicorno incomincia a raccontare dolcemente, le ragioni del cuore che i suoi morbidi acuti fanno fremere di emozione. Accenni di doverosi applausi vengono repressi da occhiate severe, avide di musica: vorrei una paletta luminosa da alzare per esprimere la mia gioia e non perdere una nota. Titillando le ottave alte del piano Rusca ci lascia sulla spiaggia dei sogni, lambita dalle minuscole onde sonore di un mare in bonaccia. Non eravamo in tanti, ma dal fracasso degli applausi sembrava di essere in un San Siro gremito.



Con Coltrane lo scambio di battute c riporta al blues, ritmato dalla severa mano sinistra di Mario che sostiene un ispirato Brioschi fino a quando parte incontenibile la destra che fugge ovunque sulla tastiera, dipingendo percorsi tra dune dorate dove vaghiamo mollemente adagiati sulla tromba di Marco, che evoca con andatura morbida il miraggio di un cammello dai soffici piedi. Ci sono artisti, in quasi tutti i generi musicali, particolarmente seduttivi all'orecchio femminile: stasera erano un duo. Mentre indugiando nella breve pausa, affabulatore, il trombettista ancora avvince con la sua simpatia gli amici del pubblico, il saggio Maestro Rusca intona, sulle orme di Evans, ma potrebbe essere Chopin, un leggiadro Waltz for Debbie. e Brioschi, invece di prendere posto al suo fianco si siede ad ascoltare, rapito, i limpidi virtuosismi dell'amabile compagno. Torna ad affiancarlo attaccando un Autumn leaves di grande effetto, dove le voci degli strumenti s'intersecano simbiotiche in una danza vorticosa fino al finale mozzafiato. Uno scoppiettante Just friend mette i puntini sugli "i" di questa relazione artistica che da decenni si rinnova ad ogni concerto, e ciascuno con la sua voce racconta meraviglie, senza mai dimenticare di ascoltare l'altro, come vorrebbe l'idea platonica di amicizia. Purtroppo l'ora del silenzio condominiale tarpa l'ineludibile richiesta di numerosi bis, e l'ultimo brano in regalo viene affidato al solo Rusca, che con il suo Tributo a Bill Evans, ci congeda distillando la sua stima per l'ineguagliabile maestro con la sua forbita personalità, mai scevra di un'inguaribile, sottile, auto-ironia.
Sisa Bertini



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