Ferrario e Di Pisa: l'eleganza e la leggerezza dello swing

Terza serata di Duets e terzo intervento di Sisa Bertini che commenta, con la sua grazia aristocratica, la musica proposta da Alfredo Ferrario e Sandro Di Pisa. Un concerto diverso dagli altri che lo hanno preceduto, a testimonianza di quante strade conosce il jazz per raggiungere i sentimenti del pubblico. A patto che questo sappia abbandonarsi comme il faut per essere cullato dalle linee melodiche, a volte imprendibili, consegnate da questa musica all'irrepetibilità del momento.

Duets, 3
di Sisa Bertini

Alfredo Ferrario (clarinetto) e Sandro Di Pisa (chitarra) si sono auto-definiti: un duo anomalo; e non si può negare la loro originalità. Al di là dell'inconsueta associazione clarinetto-chitarra c'è un modo lieve nel non volersi imporre col volume come alternativa al silenzio, per suonare soavemente perchè le orecchie si facciano più attente: apparentemente un piacevolissimo swing canonico, ma ricamato di citazioni garbatamente canzonatorie e sublimato nella parsimonia dei gorgheggi del clarinetto. Come lo scorrere di un limpido ruscello in cui ristorarsi da quella calura che stiamo ancora aspettando in questa primavera che giorno dopo giorno sembra addentrarsi in un autunno nordico. Anche il repertorio è ricercato senza voler essere strano. Attacca il clarinetto con What difference a day makes, fluido, senza sbavature in un morbido, contenuto, abbraccio, mentre la chitarra lo spalleggia, spesso travestita da contrabbasso. Ferrario, fedele al tema, tiene alta la melodia, ma la chitarra nell'assolo singhiozza, alternando arpeggi a pennate in una curiosa conversazione con sè stessa.
Poi, come monelli furbetti, fanno l'inchino con un finale irreprensibilmente classico. Nella lenta ballata che segue, Di Pisa, risponde all'invito circostanziato del clarinetto con un'armonia di accordi ora profondi ora queruli, quasi ci fossero due chitarre, per tornare a sostenere il socio con voce di basso: è la commovente versione di Poor butterfly, song che ha visto la luce nel 1916 come omaggio a Puccini..


A far riporre i fazzoletti ci pensa un ritmo sambeggiante, passeggiata sulla spiaggia di Copa Cabana, corteggiando la spuma delle onde che si allunga sulla riva tra le bellezze al bagno, che come ciliegie si susseguono senza sosta. Scaldata la platea, sfodrano un poetico capolavoro di Django (Manoir de me Rêves, in mi+), sospiro trasognato con gocce di chitarra luccicanti. Al lirico sviluppo della melodia di Alfredo risponde Sandro con rime alternate, per incrociare due diverse voci e dipingere un onirico paesaggio con tutta la suggestione di un L'empire des lumières che Magritte potrebbe benissimo aver ideato ispirandosi al conterraneo musicista manouche.  Con suspence e uno struggente tocco partenopeo, Sandro introduce il mitico Nouages, preparando il campo al clarinetto che interviene vivace a contenere l'ostentata malinconia, ma la chitarra testarda si strugge in brevi accordi, inseguendo un capriccio a stento consolato dal suadente legno che la costringe al lieto fine. Si cambia umore, ritornando ad uno swing rapido e strappando applausi e risatine con citazioni spiritose inserite in un baldanzoso Tea for Two. Il tempo unico prosegue generoso con un improvvisato Prisoner of love, a dimostrare la stoffa jazz di Sandro, che accetta sorridente la sfida, con scontato successo. Subito dopo un Perdido con piccole, eccitanti esitazioni del clarinetto ad incalzare la chitarra trasformista, in un crescendo di toni e di ritmo verso un acme surrealista di felliniana memoria. Ci fanno gustare quindi un celebtre 3/4 scritto da Fats Waller nel 1942, Jitterburg waltz, cimentandosi in complicati intrecci conditi da un pizzico di Tirolo. Quindi un blues, in cui il clarinetto si produce in note dallo spigolo acuto, tagliando l'onda ritmica della chitarra che, biricchina, accenna temi impertinenti.



Lo swing aleggia nell'aria. Altalenanti anche nel bordero', tornano al lento ritmo della salita per un disinvolto swing, in un ammiccante tributo a Benny Goodman, trovando tante strade diverse per descrivere il tema, sfaccettato dalla chitarra e coronato da un'attacco a clarinetto spiegato che torna a ripiegarsi in un fitto dialogo con sfumature memori di tanto jazz. A chiudere la serata Ferrario intona un sommesso East of the sun, cullato e poi spronato da Di Pisa con accenti da basso, si rinvigorisce sapido, per far spazio alla chitarra che fruga eteroclita tra le sue corde a trarne continue sorprese. E dopo aver ampiamente oltrepassato l'orario dedicato al silenzio urbano, ancora non gli è permesso posare gli strumenti. Così annunciano la fuga per un Perduto amore di matrice italiana, trascinando il pubblico nello swing irresistibile del consumato brano, usato come trampolino per un pot-pourri di citazioni senza esclusione di genere, mentre il tema riduce gli squarci che si susseguono.
Sembrava finita ma Finocchiaro ci trattiene ancora per il pittoresco, consueto "dibattito", esordendo con un aforisma che vuole descrivere in sintesi il concerto appena concluso: "un matrimonio, laico e raro, tra l'eleganza del linguaggio musicale e la leggerezza della sua esposizione".



Stavolta, con le risposte dei musicisti ci facciamo un'idea di come si possa suonare un tema senza conoscerlo, appoggiandosi ovviamente alla tecnica del jazz. Chi ci riesce. E poi, di come sia cambiato lo stile di Alfredo, dai complicati virtuosismi del Club 2 (e io c'ero!), al glabro nitore che oggi lo contraddistingue, annoverandolo tra i rari ammiratori del raffinatissimo e cerebrale Jimmy Giuffrè. Mentre Sandro, out-sider a stento trattenuto, ci alletta sollecitato a parlare del suo progetto "Ridere con le orecchie", che speriamo di sperimentare presto.

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