Philip Glass parla senza musica




Una autobiografia di Philip Glass? Sì, il principe dei minimalisti ha deciso di raccontarsi in un voluminoso memoriale intitolato Parole senza musica (io ho sfogliato l'edizione francese), partendo dall'idea che esiste una  risonanza di totale osmosi tra la vita e l'opera. Quindi ideare e pensare un certo tipo di musica è stato per Glass tradurre in suono il suo stile di vita. Anche se il racconto della sua vita  si rivela molto più agitata di quanto lo siano le sue pagine, dove i pattern ripetitivi introducono una sintassi musicale che guarda al timbro, alla forma, al ritmo e alla percezione delle loro combinazioni che risultano apparentemente semplici esercizi di stile. Innanzitutto il compositore sembra essersi avvicinato alla musica per rispondere a una domanda che si faceva frequentemente: da dove viene la musica? 

Glass con Robert Wilson

L'imprinting a questa inquietudine nacque in occasione di un concerto in cui Wilhem Furtwangler diresse Beethoven di fronte all'adolescente Philip che all'epoca iniziava a frequentare i jazz club di Chicago immagazzinando, come dice lui stesso "l'energia bruta" del be bop che finirà per animare le accumulazioni metriche nel suo ciclopico lavoro Music in Twelve Parts (quattro ore e rotti di musica, con cui, nel 1974, Glass si congeda dal minimalismo). 



Oltre alle notizie sulla sua collaborazione con un'altro maestro della lentezza come Bob Wilson, per l'opera Einstein on the Beach (1976), si apprende che durante il suo soggiorno parigino del 1966, durante la lavorazione ad un film con Ravi Shankar, Glass scopre la possibilità di conservare nella memoria una "immagine sonora" senza aver bisogno di annotarla. Con questa pratica ha iniziato a lavorare alle sue partiture partendo da quelle dei singoli strumenti e non da quella di assieme. 

Glass e Ginsberg

Il viaggio in India, l'amicizia con molti artisti newyorkesi e la vita dura in una città dove per sbarcare il lunario deve guidare un taxi o di traslochi, le collaborazioni con Allen Ginsberg, Doris Lessing e perfino Walt Disney, il suo primo viaggio a Parigi dove è stato alunno di Nadia Boulanger...come Astor Piazzolla, la filosofia e le discipline orientali, la sua relazione con John Cage che gli imputava di usare "troppe note", e molte altre faccende riempiono le oltre 400 pagine di un testo scritto con un'inatteso istinto affabulatorio per informarci della sua visione del mondo. 

Glass con Ravi

Ma soprattutto Glass spiega perfettamente il suo superamento del minimalismo, dove la struttura e il suo processo sono l'unico soggetto delle composizioni, per approdare a quella che lui definisce "theatre music" dove la musica il punto di partenza del linguaggio non è la musica stessa ma un soggetto esterno ad essa come lo possono essere testi, immagini, movimenti. 

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