Jazzin' Primo Maggio
Allo Spazio Contempo di Milano, uno studio abitazione gestito con grazia dai padroni di casa, molti jazzisti milanesi si sono radunati per festeggiare il lavoro, o quel che ne resta, durante la serata del Primo Maggio. Un lavoro umiliato e offeso dalla contingenza economica, dove una finanza senza volto nè scrupoli detta le condizioni alla politica e impone subdolamente delocalizzazioni,cassa integrazione, licenziamenti, fallimenti, suicidi. La jam session ha visto auto-organizzarsi diversi set con organici e musicisti diversi, in una sala gremita di pubblico silenzioso e attento ad accogliere emozionalmente le improvvisazione dei solisti. Di seguito un report firmato da Sisa Bertini: un piccolo lusso che fa da coda luminosa alla serata.
JAMSESSION PRIMOMAGGIO
di Sisa Bertini
Serata molto jazz anche nell'improvvisato avvicendamento sulla scena: dopo saluti, chiacchiere, aperitivi, ecco che cominciano ad armeggiare vicino ai microfoni e tutti cercano una sistemazione, sedia, poltrona, sgabello, qualcuno resta in piedi. Io che mi sento un pò la madrina della serata, mi sono posata su una splendida Saarinen e ho incrociato le dita. Sono partiti alla ribalta Mario Rusca piano, Claudio Fasoli sax, con Franco Finocchiaro, contrabbasso e motore della rassegna. Hanno gettato l'amo da un repertorio adescatore con assoli seduttivi e tutti abbiamo abboccato solleticati dai tasti magici di Rusca, trascinati dalla passione emozionante di Fasoli mentre Finocchiaro faceva vibrare il ritmo profondo del cuore in un'atmosfera intima, quasi da confessionale. Ed ecco a seguire le fantasie solari dell'inconsueto flauto di Cesare Rotondo,impegnato in conversazioni di alto livello con l'arguta chitarra di Vittorio Chessa e l'ironico pianoforte di Dario Tosi, incalzati dai ritmi accattivanti del contrabbasso di Stefano Buratti, mentre Mimmo Tripodi alla batteria rievocava tropici lontani.
Poi siamo stati travolti dall'onda swing: Chessa, con inossidabile melodia, alla chitarra, mentre Roberto Meroni aoriva squarsi di sereno con il suo sax tenore e Marco Volpe li sosteneva spazzolando sornione la batteria. Sembrava che crisi e governi raccapriccianti non forrero mai esistiti...
All'acme della serata, il Tango. Attimi di suspense: era pur stata annunciata quest'intrusione, eppure ha sorpreso. E col fiato sospeso ci siamo lasciati commuovere dal pasionario trio - anzi "orquesta minimal" - Flores del Alma, che senza pietà ci straziava il cuore con l'archetto, affilatio come un bisturi , di Piercarlo Sacco, mentre Stefano Zicari coi suoi tasti indagava nelle pieghe dell'animo e Finocchiaro al contrabbasso, infittiva il mistero fel tango e del circuito orecchio-cervello-cuore. Per chiudere a sorpresa una milonga ironica, mordace come i suoi virtuosismi.
E fu così che ci siamo trovati davanti "quei due". Che fossero bravi era di dominio pubblico, ma vedere il Maestro Rusca fare il cazzone tenendo testa alla tromba irriverente e sfrontata di Giovanni Falzone mantenendo un livello artistico meraviglioso dalla vis comica irresistibile, ha trascinato la platea in un'allegria sfrenata culminata in un applauso catartico.
Ma l'energia di Falzone non si arresta: rimane attaccato alla tromba duettando col generoso sax di Fasoli mentre al pianoforte Antonio Zambrini sviluppa sublimi variazioni di intramontabili standard del jazz, trasportati nel ventaglio del ritmo dalle bacchette magiche di Volpe con Finocchiaro al baldanzoso contrabbasso che invece come montatura di occhiali fa il paio con Falzone.
Per fortuna a riportare la calma ci hanno pensato, dopo molte insistenze del pubblico, le chitarre di Giovanni Monteforte e di Pierluigi Ferrari, che ci hanno cullato, alternando l'appassionata energia romantica e manouche di Ferrari, al delicato contrappunto, disinvolto e un po' "cool" di un consumato maestro quale è Monteforte, che per salutarci ha avuto il garbo di scegliere le note saltellanti di Django. Quando ti dispiace che una serata volga al termine.
Poche volte ho potuto notare la fatica che fanno i jazzisti a smettere di suonare quando si divertono. A volte li ho visti scambiarsi gli strumenti e improvvisare, giocando tra pause di risate e interventi "diversamente intonati". Il pubblico certo è importante per loro, ma, in quanto pubblico io stessa, penso che non ci sarebbe musica senza musicisti, nè jazz senza voglia di stupire. Bello che possa ancora succedere.
Sisa Bertini
Dopo questo prezioso scritto che mi ha rimandato alla grazia del Savinio critico musicale, sento la necessità di nominare un valoroso musicista come Alberto Minetti che non ha trovato lo spazio per esibirsi, perchè dopo aver parlato di tante note sublimi, questa è stata l'unica nota stonata in una serata dove tutti i protagonisti hanno brillato per generosità, comunicando in tutti i modi il loro piacere di suonare partecipando ad un'occasione simbolica che è servita anche a far reincontrare colleghi che si erano un po' persi di vista. L'occasione di questo esordio festoso del jazz allo Spazio Contempo, è stato il prologo di una serie di concerti che verranno presentati per tutti i mercoledì di maggio, con eccellenti musicisti che si cimenteranno nell'arte del duo. La breve rassegna si chiama infatti Duets e nella mente degli organizzatori vuole essere la prima di una serie di concerti tematici che, con cadenza settimanale, verranno programmati nei mesi futuri.
di Sisa Bertini
Serata molto jazz anche nell'improvvisato avvicendamento sulla scena: dopo saluti, chiacchiere, aperitivi, ecco che cominciano ad armeggiare vicino ai microfoni e tutti cercano una sistemazione, sedia, poltrona, sgabello, qualcuno resta in piedi. Io che mi sento un pò la madrina della serata, mi sono posata su una splendida Saarinen e ho incrociato le dita. Sono partiti alla ribalta Mario Rusca piano, Claudio Fasoli sax, con Franco Finocchiaro, contrabbasso e motore della rassegna. Hanno gettato l'amo da un repertorio adescatore con assoli seduttivi e tutti abbiamo abboccato solleticati dai tasti magici di Rusca, trascinati dalla passione emozionante di Fasoli mentre Finocchiaro faceva vibrare il ritmo profondo del cuore in un'atmosfera intima, quasi da confessionale. Ed ecco a seguire le fantasie solari dell'inconsueto flauto di Cesare Rotondo,impegnato in conversazioni di alto livello con l'arguta chitarra di Vittorio Chessa e l'ironico pianoforte di Dario Tosi, incalzati dai ritmi accattivanti del contrabbasso di Stefano Buratti, mentre Mimmo Tripodi alla batteria rievocava tropici lontani.
Poi siamo stati travolti dall'onda swing: Chessa, con inossidabile melodia, alla chitarra, mentre Roberto Meroni aoriva squarsi di sereno con il suo sax tenore e Marco Volpe li sosteneva spazzolando sornione la batteria. Sembrava che crisi e governi raccapriccianti non forrero mai esistiti...
All'acme della serata, il Tango. Attimi di suspense: era pur stata annunciata quest'intrusione, eppure ha sorpreso. E col fiato sospeso ci siamo lasciati commuovere dal pasionario trio - anzi "orquesta minimal" - Flores del Alma, che senza pietà ci straziava il cuore con l'archetto, affilatio come un bisturi , di Piercarlo Sacco, mentre Stefano Zicari coi suoi tasti indagava nelle pieghe dell'animo e Finocchiaro al contrabbasso, infittiva il mistero fel tango e del circuito orecchio-cervello-cuore. Per chiudere a sorpresa una milonga ironica, mordace come i suoi virtuosismi.
E fu così che ci siamo trovati davanti "quei due". Che fossero bravi era di dominio pubblico, ma vedere il Maestro Rusca fare il cazzone tenendo testa alla tromba irriverente e sfrontata di Giovanni Falzone mantenendo un livello artistico meraviglioso dalla vis comica irresistibile, ha trascinato la platea in un'allegria sfrenata culminata in un applauso catartico.
Ma l'energia di Falzone non si arresta: rimane attaccato alla tromba duettando col generoso sax di Fasoli mentre al pianoforte Antonio Zambrini sviluppa sublimi variazioni di intramontabili standard del jazz, trasportati nel ventaglio del ritmo dalle bacchette magiche di Volpe con Finocchiaro al baldanzoso contrabbasso che invece come montatura di occhiali fa il paio con Falzone.
Per fortuna a riportare la calma ci hanno pensato, dopo molte insistenze del pubblico, le chitarre di Giovanni Monteforte e di Pierluigi Ferrari, che ci hanno cullato, alternando l'appassionata energia romantica e manouche di Ferrari, al delicato contrappunto, disinvolto e un po' "cool" di un consumato maestro quale è Monteforte, che per salutarci ha avuto il garbo di scegliere le note saltellanti di Django. Quando ti dispiace che una serata volga al termine.
Poche volte ho potuto notare la fatica che fanno i jazzisti a smettere di suonare quando si divertono. A volte li ho visti scambiarsi gli strumenti e improvvisare, giocando tra pause di risate e interventi "diversamente intonati". Il pubblico certo è importante per loro, ma, in quanto pubblico io stessa, penso che non ci sarebbe musica senza musicisti, nè jazz senza voglia di stupire. Bello che possa ancora succedere.
Sisa Bertini
Dopo questo prezioso scritto che mi ha rimandato alla grazia del Savinio critico musicale, sento la necessità di nominare un valoroso musicista come Alberto Minetti che non ha trovato lo spazio per esibirsi, perchè dopo aver parlato di tante note sublimi, questa è stata l'unica nota stonata in una serata dove tutti i protagonisti hanno brillato per generosità, comunicando in tutti i modi il loro piacere di suonare partecipando ad un'occasione simbolica che è servita anche a far reincontrare colleghi che si erano un po' persi di vista. L'occasione di questo esordio festoso del jazz allo Spazio Contempo, è stato il prologo di una serie di concerti che verranno presentati per tutti i mercoledì di maggio, con eccellenti musicisti che si cimenteranno nell'arte del duo. La breve rassegna si chiama infatti Duets e nella mente degli organizzatori vuole essere la prima di una serie di concerti tematici che, con cadenza settimanale, verranno programmati nei mesi futuri.
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