I responsabili dell'usa e getta, secondo Latouche
Obsolescenza. Su questo argomento spinoso Serge Latouche ha approfondito un altro punto di vista relativo alla sua celebre teoria della decrescita che, a suo dire, promette di essere felice, non solo per i soggetti che la praticano ma per l'intero sistema ambientale-sociale-economico. Sulle orme delle riflessioni che partono da Epicuro (l'economia al servizio della felicità), passano per Peter Kropotkin (il punto di vista anarchico sulla futilità di molti bisogni), e arrivano a Ivan Illich (guru del pensiero libertario) e a Jacques Ellul (teorizzatore del totalitarismo tecnologico), Latouche ci spiega l'urgente necessità di coniugare i progressi tecnologici alla conservazione e alla cura dell'ambiente.
Il passaggio chiave per armonizzare questa combinazione è sempre quello sostenuto nel saggio sulla già citata decrescita felice: la decolonizzazione dell'immaginario. Solo questo processo che deve comunque avere una portata collettiva, sarà possibile neutralizzare il cinico accanimento del sistema pubblicitario, responsabile di iniettare nel corpo sociale il virus dell'insoddisfazione permanente e, conseguentemente, di pilotare l'imperioso desiderio del consumo analizzato sapientemente nel saggio di Francois de Closets Toujour plus! (Grasset, 1982).
Ed è proprio in nome di questa fiera delle vanità, oltretutto alimentata da strategie pianificate con un impatto sempre più invasivo, che la ricerca e lo sviluppo hanno programmato con precisione il ciclo di vita di un prodotto progettandolo con un difetto ad orologeria. Per sostenere il dettato del progresso, si è consapevolmente realizzato un paradosso: più tecnologia, meno vita. Per di più i beni non possono essere sottratti al loro destino di morte da interventi di riparazione, perchè il sistema produttivo ha pensato perversamente di rendere questo servizio molto più costoso di quanto costerebbe il riacquisto del prodotto nuovo di zecca: questa è stata la cosiddetta mazzata finale. Si può resistere alle sirene della pubblicità, su può rifiutare le "allettanti" proposte del piccolo credito per gli acquisti, ma si è disarmati di fronte al deperimento dei prodotti che ormai non rispondono più a nessuna etica della qualità. I beni di consumo sono quindi esposti alla condizione che dà il titolo del saggio di Latouche: usa e getta. Provate ad andare in un Apple Store chiedendo di riparare il vostro iPhone o iPad. Vi sentirete rispondere che "la filosofia dell'azienda non è orientata alla riparazione dei propri prodotti". E se protestate dicendo che il vostro tablet/telefono ha solo tre anni, vi diranno con meraviglia" ma allora è obsoleto", proponendovi un'alternativa: "conviene sostituirlo con la sua nuova versione che viste le circostanze, possiamo offrire ad un prezzo vantaggioso". Così il vostro oggetto finirà in una delle 500 navi che ogni anno scaricano - più o meno clandestinamente - in Nigeria e in Ghana gli scarti della tecnologia...anche se questa sarebbe ancora utilizzabile (nel 2002 dagli USA sono arrivati nelle discariche africane circa centotrenta milioni di telefoni cellulari funzionanti!).
E questo è un'altro enorme problema che pone questa obsolescenza pianificata, contribuendo alla minaccia della devastazione ambientale che sta correndo rapidamente verso il punto di non ritorno, e che gli stati, le multinazionali, la grande industria trattano con rimedi palliativi. Tutti si riempiono tranquillizzano orgogliosamente le popolazioni spiegando di aver imboccato la strada dello sviluppo sostenibile, secondo Latouche impossibile perchè mette in relazione due concetti incompatibili tra di loro.
In questo quadro delicatissimo, il ruolo del lavoratore è a dir poco organico, in quanto la metabolizzazione del suo salario è stimolata da ossessivi inviti al consumo da parte della pubblicità che sventola un'obsolescenza simbolica, e allo stesso momento dall'obsolescenza pianificata che lo obbliga a sostituire frequentemente beni che una volta coprivano un arco temporale molto più lungo (ad esempio i frigoriferi o le lavatrici che sono ormai concepiti per una vita media che, nella migliore delle ipotesi, non superi il quinquennio.. o addirittura le stampanti che non hanno un termine temporale ma a prestazione: 18000 copie e si bloccano). Stretto in questa tenaglia, il lavoratore ha l'obbligo di assolvere pienamente il ruolo di consumatore a cui è chiamato, rispettando le aspettative del mercato, pena il serio rischio di essere estromesso dal ciclo produttivo ed essere emarginato. Quindi l'identikit della piena produttività, include anche il compito di assumere diligentemente i panni del consumatore mantenendo i ritmi della catena di montaggio prevista per il consumo. La questione, se nell'epoca contemporanea sta attraversando una fase acuta, non è sua figlia. Bisogna andare alle origini del consumismo che ci riporta agli anni '20, e da allora ad una escalation che è ben riassunta da una pubblicità, oserei dire terroristica, apparsa negli stati uniti degli anni cinquanta: "Un acquisto oggi, un disoccupato in meno domani. Potresti essere tu!". Oggi, se su un muro di Genova ho letto di recente un angoscioso graffito su cui era scritto "Produci.Consuma. Crepa", Latouche esprime lo stessa raggelante consapevolezza sulla catena di montaggio planetaria nell'aforisma "Dalla fabbrica all'ipermercato. Dall'ipermercato alla fabbrica!" Anche le teorie che studiano l'insieme dei problemi elencati sono molto precedenti al concetto di decrescita razionalizzato solo nel 2001, come ad esempio quella esposta da Vance Packard in L'art de gaspillage (Calmann-Lèvy - 1962).
L'antropologo, economista, ecologista, professore emerito della Universitè de Paris-XI-Orsay, naturalmente cerca di dare una soluzione a questi problemi, dopo aver anche documentato con una serie di esempi eclatanti la lunga storia dell'obsolescenza programmata: dai colli e dai polsini non lavabili del 1872, alla durata delle lampadine deliberatamente ridotta a 1000 ore dal Cartel Phoebus stipulato nel 1924 a Ginevra; dalla durata pianificata delle automobili ideata intorno al 1930 descritta dallo storico della scienza Lewis Mumford, al nylon dei primi collant Du Pont de Nemours che nel 1940 erano praticamente indistruttibili e quindi la fibra ha dovuto essere corretta in peggio...fino all'universo contemporaneo ben rappresentato dalla Apple che progetta l'iPhone5 con la caratteristica di essere incompatibile con la versione precedente o che costruisce batterie con una durata di diciotto mesi (una class action ha fatto una causa all'impresa che ha indennizzato i clienti prima che si giungesse al processo, e questo si commenta da solo!).
Il capitolo delle soluzioni parte con una ricetta inerente al lavoro. Dice Latouche "la prima cosa è far decrescere l'orario di lavoro. Non solo siamo tossicodipendenti del consumo, ma anche del lavoro. Diminuendo gli orari del lavoro si risolverebbe il problema della disoccupazione ed insieme si ricomincerebbe a ritrovare la gioia di vivere, il tempo dell'ozio per passeggiare, per sognare, per meditare, per coltivare relazioni sociali". La seconda è quella delle garanzie dei prodotti che devono essere estese al massimo: in Francia è in corso una discussione per portarle addirittura a 10 anni, decuplicando la lunghezza media di quelle in corso. La terza è quella di rivolgersi ad un mercato di produttori sensibili all'eco-concezione dei loro prodotti. Questi sono soprattutto nei paesi del Nord Europa, come ad esempio la tedesca Xerox che ha smesso di vendere le sue macchine fotocopiatrici per noleggiarle, realizzando i propri modelli in moduli indipendenti e quindi riparabili, sostituibili, riciclabili. Il quarto è di seguire l'esempio dei soliti nordici dove vengono realizzate aree di imprese con un progetto di ecosistemi modello. E' il caso della zona industriale di Kalundborg dovei rifiuti di alcune imprese servono da materie prime per altre. Il quinto è di riprendere le attività artigianali in grado di riparare oggetti altrimenti inutilizzabili: succede ad esempio nei Repair Cafè di Amsterdam; nei Fixers Collective di Brooklin; nei Restart Project del Regno Unito.
Il volumetto è nato in Francia con il titolo Bon pour la casse. Les dèraisons de l'obsolescence programmée, come sviluppo di un introduzione che Latouche ha scritto per il libro Made to break dell'americano Giles Slade (Harvard Press, 2006), e soprattutto grazie alla regista Cosima Dannoritzer, autrice del docufilm Pret à jeter (2010; si può vedere integralmente a questo indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=HaUHEnb9Jug), che ha coinvolto lo studioso bretone nel suo lavoro di ricerca. In Italia Latouche è pubblicato da Bollati Boringhieri ed il libro ha come titolo completo: Usa e getta. Le follie dell'obsolescenza programmata. Costa14.50 euro e sono spesi benissimo (9.99 in formato eBook).
PS: chi ha raccontato l'accoglienza all'Apple Store, non ha accettato la proposta "vantaggiosa" e qualche giorno dopo, ha trovato un negozietto dove, un cortesissimo indiano ha salvato il suo iPad dal finire in una discarica africana, restituendoglielo perfettamente funzionante.
L'antropologo, economista, ecologista, professore emerito della Universitè de Paris-XI-Orsay, naturalmente cerca di dare una soluzione a questi problemi, dopo aver anche documentato con una serie di esempi eclatanti la lunga storia dell'obsolescenza programmata: dai colli e dai polsini non lavabili del 1872, alla durata delle lampadine deliberatamente ridotta a 1000 ore dal Cartel Phoebus stipulato nel 1924 a Ginevra; dalla durata pianificata delle automobili ideata intorno al 1930 descritta dallo storico della scienza Lewis Mumford, al nylon dei primi collant Du Pont de Nemours che nel 1940 erano praticamente indistruttibili e quindi la fibra ha dovuto essere corretta in peggio...fino all'universo contemporaneo ben rappresentato dalla Apple che progetta l'iPhone5 con la caratteristica di essere incompatibile con la versione precedente o che costruisce batterie con una durata di diciotto mesi (una class action ha fatto una causa all'impresa che ha indennizzato i clienti prima che si giungesse al processo, e questo si commenta da solo!).
Il capitolo delle soluzioni parte con una ricetta inerente al lavoro. Dice Latouche "la prima cosa è far decrescere l'orario di lavoro. Non solo siamo tossicodipendenti del consumo, ma anche del lavoro. Diminuendo gli orari del lavoro si risolverebbe il problema della disoccupazione ed insieme si ricomincerebbe a ritrovare la gioia di vivere, il tempo dell'ozio per passeggiare, per sognare, per meditare, per coltivare relazioni sociali". La seconda è quella delle garanzie dei prodotti che devono essere estese al massimo: in Francia è in corso una discussione per portarle addirittura a 10 anni, decuplicando la lunghezza media di quelle in corso. La terza è quella di rivolgersi ad un mercato di produttori sensibili all'eco-concezione dei loro prodotti. Questi sono soprattutto nei paesi del Nord Europa, come ad esempio la tedesca Xerox che ha smesso di vendere le sue macchine fotocopiatrici per noleggiarle, realizzando i propri modelli in moduli indipendenti e quindi riparabili, sostituibili, riciclabili. Il quarto è di seguire l'esempio dei soliti nordici dove vengono realizzate aree di imprese con un progetto di ecosistemi modello. E' il caso della zona industriale di Kalundborg dovei rifiuti di alcune imprese servono da materie prime per altre. Il quinto è di riprendere le attività artigianali in grado di riparare oggetti altrimenti inutilizzabili: succede ad esempio nei Repair Cafè di Amsterdam; nei Fixers Collective di Brooklin; nei Restart Project del Regno Unito.
Il volumetto è nato in Francia con il titolo Bon pour la casse. Les dèraisons de l'obsolescence programmée, come sviluppo di un introduzione che Latouche ha scritto per il libro Made to break dell'americano Giles Slade (Harvard Press, 2006), e soprattutto grazie alla regista Cosima Dannoritzer, autrice del docufilm Pret à jeter (2010; si può vedere integralmente a questo indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=HaUHEnb9Jug), che ha coinvolto lo studioso bretone nel suo lavoro di ricerca. In Italia Latouche è pubblicato da Bollati Boringhieri ed il libro ha come titolo completo: Usa e getta. Le follie dell'obsolescenza programmata. Costa14.50 euro e sono spesi benissimo (9.99 in formato eBook).
PS: chi ha raccontato l'accoglienza all'Apple Store, non ha accettato la proposta "vantaggiosa" e qualche giorno dopo, ha trovato un negozietto dove, un cortesissimo indiano ha salvato il suo iPad dal finire in una discarica africana, restituendoglielo perfettamente funzionante.
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