GLI AMORI PROLETARI DI KAURISMAKI


Nelle sceneggiature del leggendario regista finlandese Aki Kaurismäki le storie d'amore nascono con molta naturalezza e al tempo stesso sono subito ostacolate dalle biografie degli innamorati che portano su di se tutte le pene, le disillusioni, le fatiche di vite che li collocano ai margini della società del benessere, in una Helsinki contraddittoria dove la prosperità è accumulata con i soliti metodi liberisti e il decantato welfare non è così generoso come la sua narrazione stereotipata ci fa immaginare. Nel caso del suo ultimo film per cui ha deciso di riprendere l'attività di regista che aveva abbandonato nel 2017, l'amore dei protagonisti ha un lieto fine dopo una penosa serie di vicissitudini. A proposito di questo lavoro che Kaurismaki ha intitolato Kuolleet Lehdet, cioè Les Feuilles Mortes con cui voleva rimandare alla celebre canzone di Vladimir Kosma con i versi di Prevert, il regista commenta: «sebbene fino ad oggi abbia costruito la mia dubbiosa reputazione facendo film inutilmente violenti, oggi -oppresso da tante guerre inutili e criminali- sono arrivato a scrivere una storia sui soggetti attraverso i quali l’umanità può avere un futuro: il desiderio di amore, di solidarietà, di speranza e il rispetto per gli altri, per la natura e qualsiasi essere vivo o morto». Molto puntualmente racconta anche che per scrivere la sceneggiatura ha "impiegato trenta ore in cinque giorni" e che questa rapidità è stata frutto di una lenta maturazione inconscia in cui si profilava la sua "idea di malinconia e di guerra". Proprio la guerra in Ucraina che si affaccia nelle scene in diversi momenti attraverso gli sconvolgenti notiziari solo radiofonici ascoltati dai protagonisti, è il surplus di angoscia che li inquieta vista la prossimità del conflitto e il timore che i russi potessero estendere la loro "operazione speciale" coinvolgendo nella guerra la Finlandia, europea e confinante. 

Dalla radio viene comunicata l'agghiacciante notizia del bombardamento dell'ospedale pediatrico della Mariupol assediata, gli attacchi missilistici alla periferia di Kiev, il bombardamento della stazione di Tchaplyne che ha provocato più di 20 morti e 50 feriti, nel giorno dell'Indipendenza. Nel mettere insieme tutti questi spunti il cineasta finlandese, maestro dell'ellissi, non tradisce quel suo disperato umorismo dell'assurdo che sublima la tragedia con una teatralità comica e commuovente. Il suo linguaggio non usa il naturalismo per riprendere la realtà, come fanno ad esempio i fratelli Dardenne, ma si contraddistingue da sempre per la fibra sensibile della poesia agrodolce con cui ha filmato i tristi volti dei proletari, presentandoli come esseri umani capaci di difendere la propria dignità di fronte a qualsiasi afflizione colpisca la loro miserabile condizione di vita. Se i laconici dialoghi sono attraversati da sintetiche battute d'irresistibile ironia, il montaggio millimetrico di inquadrature curatissime ricorda il cinema in studio e l'attenzione per le luci rimanda realismo poetico che ha contrassegnato la cinematografia francese alla fine degli anni Trenta. Con questi presupposti, i contenuti dell'apparato visuale sono focalizzati su tristi bar di periferia frequentati dall'emarginazione; su un universo vintage che sopravvive negli interni dei minuscoli appartamenti colorati con una tavolozza che ricorda Edward Hopper; su scenari dove la desolazione ambientale peggiora quella sociale in cui il lavoro è sfruttato dagli implacabili e impietosi comportamenti del padronato. Kaurismaki utilizza tutte le risorse dell'understatement per esprimere la sua critica nei confronti di una società che sta condannando la classe operaia a un presente precario e ad un futuro ancor peggiore. In una Helsinki slavata, malinconica, imprevedibilmente pericolosa e capitalista, basta rubare un panino scaduto e ormai scarto inservibile per la vendita in un supermercato, per essere licenziati in tronco grazie a quella bella invenzione liberista del “contratto a zero ore” che Ken Loach aveva già denunciato in Sorry We Miss te nel 2019 e che qui è stato firmato per disperazione da Ansa (Alma Pöysti, che assomiglia molto a Kati Outinen, musa del regista, che ha diretto in undici film); bastano quattro minuti di ritardo ed una attitudine nello svolgere la propria mansione cercando ristoro in qualche sorso di vodka per far licenziare una, due, tre volte Holappa (Jussi Vatanen)


Su tutto aleggia la punteggiatura della musica, protagonista dello spazio narrativo dove i dialoghi sono condensati in poche battute. Una musica pensata come un singolare patchwork di generi eterogenei, passando da un tango cantato da Gardel a una Serenade di Shubert intonata dal basso Mika Nikander, che si è esibito con l'Opera Nazionale Finlandese e appare nei titoli di coda del film come "cantante di karaoke"; dalla malinconica Sinfonia n°6 di Tchaikovsky che il regista ha usato molto spesso,  all'indie pop del  duo femminile  Maustetytöt; da Mambo italiano che si ascolta allo sgangherato pub California, alla canzone Syyspihlajan alla ("Sotto il sorbo in autunno"),  fino al brano che chiude il film con la versione finlandese di Les Feuilles mortes cantata dal mito del tango finlandese  Olavi Virta. 

Il duo  Maustetytöt

Sulle sue note  Ansa e Holappa, danno le spalle allo schermo allontanandosi insieme al cagnolino che lei ha adottato e che fuori dalla finzione appartiene a Kaurismaki. Un finale ottimista che citando la tenerissima scena del chapliniano Tempi moderni, ci comunica con una generosa forma di empatia umanistica per nulla sentimentalista, come l'amore sia l'unica arma utile alla disperazione dei protagonisti per resistere di fronte all'orrore del mondo, ricreando un universo privato che nella sua intimità non debba fare i conti con le regole di una società crudele, quindi una bolla dove sia ancora possibile aspirare alla speranza di una vita che valga la pena di esser vissuta. E oltre all'amore c'è anche il cinema che nei film di Kaurismali offre sollievo agli operai cinefili e che in questa pellicola di palesa anche con riferimenti silenziosi a quelle che il regista indica come le proprie "divinità domestiche", oltre a Chaplin,...Bresson,...Godard,... Ozu,...Visconti,...Huston e Jarmush a cui addirittura è dedicata la scena in cui i protagonisti assistono al suo The Dead Don't Die  (I morti non muoiono). 

La ribellione contro lo strazio delle vite solitarie di Ansa e Holappa inizia qui, al cinema, ma l'appuntamento che Holappa chiede ad Ansa a fine proiezione sarà disastrosamente fallito per un crudele scherzo del vento che allontanerà come una foglia morta il biglietto su cui la donna aveva scritto il suo numero di telefono e che era caduto per terra all'uomo fuori dal cinema quando ormai lei si era allontanata. Questo smarrimento è il semplicissimo espediente drammaturgico intorno al quale ruota la seconda parte della sceneggiatura, toccando l'universale attraverso una quintessenza della realtà. Come avrebbe potuto dire Prévert, “Helsinki è molto piccola per chi si ama…" e proprio per questo i due si riincontrano, c'è un invito a cena dove emerge un'altro inconveniente: Ansa si rende conto che Hoppala assume superalcolici con una continuità patologica e questo pregiudica la relazione anche perchè il guasto dell'alcolismo aveva colpito a morte la famiglia della donna. Dopo aver lasciato Huppala, Ansa incontra in un bar un'amica che cerca di consolarla dicendole "gli uomini sono tutti maiali", ma con una delle diverse battute acute del film lei risponde: “non è vero: i maiali sono intelligenti e amichevoli”. 

Per Ansa Helsinki ritorna ad essere il luogo cupo dove i sogni sono destinati a naufragare. Lo stesso per Huppala che decide di combattere il suo vizio pericoloso e di richiamare l'innamorata dichiarando di essere sobrio come "un topo nel deserto". Lei ci crede e i due stabiliscono di rivedersi subito dopo, ma il destino non è dalla loro: uscendo dalla cabina telefonica per recarsi a casa della donna, Huppala è travolto da un tram. Ansa è disperata perchè in quella serata piovosa in cui attendeva speranzosa l'uomo, nessuno ha suonato al suo campanello. Per attenuare la tristezza decide di adottare un cagnolino che chiamerà Chaplin e solo nell'incontro fortuito con un amico di Huppala, apprende dell'accaduto e va di corsa all'ospedale dove il ferito è ricoverato. Dopo la convalescenza uscirà insieme a lui e Chaplin per i lieto fine già commentato. 

 A 66 anni e con 23 lungometraggi al suo attivo, Kaurismaki ha realizzato un miracoloso gioiello  che, secondo il caratteristico umorismo del regista, è il  quarto film di una...trilogia  dedicata al proletariato. Anche in quest'occasione il suo cinema è resistente, fluido, puro, sorprendente al punto che in un'ora e venti minuti ha conquistato completamente la giuria di Cannes. Del resto Kaurismaki  è un personaggio amato per le sue stravaganze che in questo caso si sono limitate ad un balletto inscenato nella navata centrale della grande sala Lumière del Palais des Festivals, quando il regista si è presentato per assistere alla proiezione ufficiale del suo film. A lui è andato il meritatissimo Premio della Giuria di Cannes 2023.  Il film è uscito in Italia con il titolo Foglie al vento.

Jussi Vatanen, Alma Pöysti,  Aki Kaurismaki




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